la riflessione

Come il digitale sta cambiando la relazione aziende-consumatori in chiave consumistica

Il digitale non è la fuga da tutti i mali del sistema capitalistico, ma permette un dialogo e una collaborazione fra aziende e consumatori inedito e quanto mai produttivo. Ecco alcuni esempi

Pubblicato il 02 Ott 2015

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Veniamo da un’epoca, il 900, che ha visto un’evoluzione tanto rapida quanto verticale del mondo dei consumi, dello scambio delle merci e delle dinamiche di uso e fruizione dei beni acquistati. Un periodo storico di grandi mutamenti della società, che partendo dal boom economico del dopoguerra e dal relativo sviluppo di un mercato e una produzione di massa, ha conosciuto diverse teorie interpretative riguardo al processo di acquisto.

Se infatti lo sviluppo massiccio delle comunicazioni di massa ha spinto molti teorici, quali gli studiosi della Scuola di Francoforte (Adorno, Marcuse, Horkeimer ed altri), a pronosticare un mercato schiavo delle dinamiche comunicative dei mezzi di comunicazione e alienato a se stesso, con una massa informe di consumatori succube di scelte altrui, in realtà si sono progressivamente sviluppati atteggiamenti sul consumo inediti e singolari, legati sia alle subculture di consumo che al passaggio fra concezione di beni da status a style symbol come teorizzato da Jean Baudrillard, passando per atteggiamenti teoricamente devianti dalle pratiche standard ma estremamente espressivi, quali il sottoconsumo ostentativo (Riesman, 1969) ed il tribalismo (vedasi in proposito gli studi di Maffesoli e Bernard Cova).

In questo filone, con l’avvento massiccio del digitale e l’entrata nel nuovo millennio, l’espressività nel consumo, assieme ad una produzione orientata alla mass customization, sembra potere avere nuova linfa e potere negoziale verso marche ed aziende. Oggi infatti, grazie a piattaforme di incontro e discussione offerte dal Web, quali blog, forum e social network, i consumatori possono dare effettivamente vita ai loro desideri di consumo, in pieno accordo con le teorie della “coda lunga” di Anderson e del Cluetrain Manifesto.

Sebbene una certa letteratura mantenga una visione critica relativamente al mondo dei consumi e al sistema capitalistico, vedasi in proposito i lavori di Bauman e Lipovetsky con la visione ineluttabile dell’iperconsumismo, su cui si può trovare accordo, è altresì vero che alcuni fenomeni di consumo attivo, senza il Web sarebbero stati inimmaginabili. Fino a pochi anni fa pareva utopico poter dialogare così velocemente e direttamente con un’azienda per far ritornare un prodotto sul mercato. Così è stato per Algida ed il tam tam sul social network per eccellenza, Facebook, per riportare sul mercato un gelato anni Novanta che nel 2014 ha rivisto nuova vita sul mercato, il Winner Taco.

La co-creazione è poi un trend emergente particolarmente interessante di rapporto fra consumatori, in questo caso davvero consum-attori (Fabris, 2008) sempre più consum-autori o prosumer (Alvin Toffler, 1980) e aziende. Oltre al vero e proprio design e progettazione di nuovi prodotti assieme ai clienti, una novità per quanto riguarda le marche e le aziende è quella della co-creazione di valore e della condivisione di significati con il proprio pubblico. Produzione di senso che si snoda dalla creazione di contenuti variegati, da quelli testuali (Wiki e blog, ma anche commenti nei social networks ed i gruppi di discussione) a quelli visivi come video e immagini (video su piattaforme quali Youtube e Vimeo, foto su social networks come Flickr, Instagram e Pinterest), senza escludere prodotti di senso più complessi ed esperienzali quali rendering, modellazione 3D e produzione software.

Emblematico, per quanto riguarda il riconoscimento verso i propri prosumer sensoriali, il comportamento di Porsche, un brand di lusso, tradizionalmente orientato a una clientela esclusiva, che ha deciso di celebrare il primo milione di fan su Facebook decorando con i nomi di ventisettemila appartenenti alla propria fan page la livrea di una 911 GTR 3 Hybrid in edizione speciale, ospitata nel Museo Porsche di Stoccarda. Successivamente, Porsche ha addirittura inserito i volti dei fan per decorare la Cayman celebrativa dei due milioni. Un processo di avvicinamento e generazione di valore inedito per un brand elitario, che decide però di avere una strategia di condivisione del “sogno” di cui il marchio si fa ambasciatore, coinvolgendo la propria base di appassionati.

Infine il digitale può essere anche un’interessante grande palestra per beta-testing e per raccogliere insights dall’uso e dalla significazione degli utenti verso gli oggetti, tanto da poter essere il punto di partenza per lo sviluppo di nuovi prodotti ma anche per il rilancio ed il recupero di vecchi concept che sembravano destinati all’oblio. Chi avrebbe mai pensato infatti che con l’avvento delle macchine fotografiche compatte e le reflex digitali, con la relativa crisi di aziende specializzate nella produzione di pellicole, Polaroid sarebbe risorta dalle proprie ceneri? Con la complicità indiretta e la diffusione massiccia di Instagram, VSCOcam, Retrica e altre applicazioni e social networks basati sulla condivisione di foto e sulla manipolazione delle stesse con filtri ispirati alle “imperfezioni” che hanno reso mitici apparecchi come la serie 600 di Polaroid e reso celebre la lomografia, il 2015 vede il lancio di una nuova linea di macchine digitali compatte del marchio americano. Macchine che uniscono la praticità del digitale e l’uso del sistema operativo Android con l’analogico, permettendo sia di condividere online i propri scatti sia, in una sorta di nostalgico ritorno al futuro, di stampare le foto direttamente dall’apparecchio.

Sicuramente il digitale non è la fuga da tutti i mali del sistema capitalistico di gestione della produzione e del mercato, ma permette un dialogo e una collaborazione fra aziende e consumatori inedito e quanto mai produttivo, a condizione che i consumatori rendano salienti ed organizzate le loro proposte e che le aziende e i loro brand abbiano l’intelligenza e la predisposizione ad ascoltare e dialogare con i loro pubblici online, perché se è impossibile non comunicare, come teorizzato dalla scuola di Palo Alto di Watzlawick, i mercati non possono che essere conversazionali e dialogare negli spazi online che si prestano a raccogliere, diffondere e validare questi discorsi.

Massimiliano Moschin, Studioso di Web Marketing e Relazioni Pubbliche

Bibliografia

Anderson C., The long tail, New York, Hyperion, 2006

Baudrillard J., La società dei consumi: i suoi miti e le sue strutture, Bologna, Il Mulino, 1976

Bauman Z. Consumo dunque sono, Bari, Laterza, 2010

Boaretto A., Noci G., Pini F.M., Marketing Reloaded, leve e strumenti per la co-creazione di esperienze multicanale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2011

Donaggio E., La Scuola di Francoforte. La storia e i testi, Torino, Einaudi, 2005

Fabris G.P., Il nuovo consumatore: verso il post-moderno, Milano, Franco Angeli, 2010

Fabris G.P., Societing, Milano, Egea, 2009

Levine R., Locke C.,; Searls D., Weinberger D., The Cluetrain Manifesto: The End of Business as Usual. New York, Perseus, 2000

Lipovestsky G., Una felicità paradossale. Sulla società dell’iperconsumo, Milano, Raffaello Cortina, 2007

Maffesoli M., Il tempo delle tribù. Il declino dell’individualismo nelle società postmoderne, Milano, Guerini e Associati, 2004

Riesman D., A che serve l’abbondanza?, Milano, Bompiani, 1969

Ritzer G., Jurgeson N., Production, Consuption, Prosumption: The nature of capitalism in the age of the digital ‘prosumer’, Journal of Consumer Culture, New York, Sage Publications, 2010

Rossi C., Marketing collaborativo e online value co-creation. L’impresa e la sfida del consumatore produttivo, Milano, Franco Angeli, 2014

Toffler A., The third wave, New York, Bantam Books, 1980

Shankar A,. Cova B., Kozinets R., Consumer tribes, London, Taylor&Francis, 2007

Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., Pragmatica della comunicazione umana, Studio dei modelli interrativi, delle patologie e dei paradossi, Roma, Astrolabio Ubaldini, 1978

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