Emoji, messaggi vocali, clip video: la sempre maggiore immediatezza, facilità e naturalezza con la quale le nuove tecnologie ci permettono di esprimere i nostri stati d’animo ci sta rendendo tutti più emotivi e consapevoli dei nostri stati interiori? O l’esternalizzazione compulsiva ed istantanea del nostro sentire mina la nostra capacità di contenere e gestire le nostre emozioni, rendendoci maggiormente impulsivi?
Su questi punti si sta interrogando una crescente quantità di studi (citati qui sotto in bibliografia).
Sebbene non sia ancora chiaro se e quanto le nuove tecnologie siano effettivamente in grado di modificare le nostre emozioni (al momento le ricerche non sono in grado di darci una risposta netta e precisa, sempre che una risposta simile possa esistere), una cosa è certa: le nuove tecnologie cambiano il modo con il quale noi esprimiamo i nostri sentimenti e le nostre emozioni, cambiano la percezione e il significato che noi diamo a ciò che proviamo dentro di noi, e di conseguenza cambiano la percezione della nostra Realtà e quindi il rapporto che noi abbiamo con essa.
Emozioni e tecnologia: una questione millenaria
A fronte di ricerche che vorrebbero testimoniare che le nuove tecnologie opererebbero in noi dei cambiamenti anche fisiologici, emergono altre ricerche che non solo sottolineano le falle delle prime, ma indicherebbero anche che in realtà le nuove tecnologie opererebbero dei mutamenti fisiologici e biologici così irrilevanti da essere trascurabili.
Di sicuro, la tecnologia ha sempre suscitato in noi fortissime emozioni contrastanti: da una parte ammirazione, stupore, aspettative elevate per uno strumento che dovrebbe magicamente risolvere i problemi del mondo, dall’altra astio, odio, paura, terrore nei confronti di uno strumento che ad ogni innovazione sembra corrodere un pezzettino della nostra autonomia e, soprattutto, della nostra egemonia sulla nostra realtà.
La tecnologia ha infatti trovato sempre i suoi adoratori e i suoi detrattori, talvolta sotto forma di superstizioni, altre volte sotto forma di religioni, oppure di norme create con il pretesto di salvaguardare l’essere umano.
Ma quanto la tecnologia invece influenza le nostre emozioni? In che modo le nostre emozioni cambiano con le nuove tecnologie?
Un quesito che fino a pochi decenni fa era relegato a quei pochi ambiti che prendevano in considerazione l’interazione Uomo-Ambiente, come ad esempio l’architettura, con l’avvento del digitale è diventato di importanza fondamentale per via di due elementi:
- La sovrabbondanza di offerta obbliga gli sviluppatori dei servizi digitali a fornire agli utenti un’esperienza il più coinvolgente possibile, in modo da tenerli sulla loro piattaforma
- Gli strumenti digitali, per via della loro flessibilità e fluidità, comportano una comunicazione a due vie, in cui lo strumento influenza l’utente e viceversa, generando quindi un vero e proprio dialogo
Suscitare esperienze cariche di emozioni e significato è ambito della User Experience Design (UX Design), ma in questo articolo ci interessa andare ancora più a fondo: in che modo la tecnologia sta cambiando le nostre emozioni e il modo con il quale noi le percepiamo?
Sebbene le ricerche valide e approfondite su questo argomento siano ancora scarse, possiamo rispondere a questa domanda analizzando il nostro rapporto con il mondo e con gli strumenti tecnologici.
Il linguaggio è la chiave di tutto
L’essere umano comunica probabilmente più di ogni altro animale presente sulla Terra.
Ma il linguaggio non è solamente un modo per indicare dei concetti:
- Un linguaggio è un codice;
- un codice è rappresentazione, quindi una chiave di interpretazione della Realtà che ci circonda
Per cui il linguaggio ci fornisce un’interpretazione, e di conseguenza una percezione, un punto di vista della nostra Realtà ben preciso. Indirizzando come percepiamo e interpretiamo il mondo che ci circonda, influisce anche sulle nostre emozioni, in un rapporto biunivoco.
Il linguaggio non è un’entità statica, ma qualcosa di molto fluido che muta con il tempo e le esperienze che un gruppo sociale vive nel corso della sua vita.
Infatti ha forti valenze culturali.
I nuovi luoghi dell’evoluzione del linguaggio
Una volta era l’Agorà, la piazza in cui chiunque poteva esprimersi.
Qui il linguaggio fluiva liberamente: alcune persone parlavano, altre ascoltavano, e il linguaggio si evolveva insieme ad esse.
Poi è arrivata la scrittura, la stampa, la stampa mobile, garantendo una maggiore diffusione dei prodotti culturali, e con essa l’evoluzione del linguaggio.
La radio e la televisione, insieme ad altri mass media, hanno accelerato questo processo.
Oggi le piazze sono diventate virtuali, e sono nati i social network digitali.
Questi sistemi, avvalendosi dell’elemento digitale, hanno permesso all’essere umano nuove modalità di interazione e nuovi modi di comunicare le esperienze, in cui l’appiattimento del tempo e dello spazio sono la caratteristica principale.
E se ad ogni nuovo strumento l’uomo deve ideare nuovi termini ed espressioni che siano in grado di rappresentare velocemente ed efficacemente l’esperienza di utilizzo dello strumento stesso, il digitale si presenta così “disruptive” da obbligarci non solo all’ideazione di nuovi termini, ma anche a nuove visioni e prospettive della nostra realtà.
Così alcuni termini come stumble, troll, check-in, status, assumono un significato spesso completamente differente quando si spostano online.
Il termine “friend” diventa un verbo, e “to unfriend” viene dichiarato parola dell’anno 2009 dal New Oxford English Dictionary: il digitale irrompe nelle nostre vite e nella nostra cultura, e ci rimane.
Nel 2013 invece l’Oxford Dictionaries introduce nei suoi vocabolari una nuova parola che sarà destinata a portare grandi gioie nei ragazzi e grandi dolori nei loro genitori: “selfie”.
Non solo: il digitale ci offre modalità di espressione più visive e, quindi, che penetrano maggiormente dentro di noi in quanto si tratta di un linguaggio più naturale.
Non più solo testo
Noi siamo stati abituati ad esprimerci attraverso la scrittura, ma deve essere necessariamente così?
In origine erano le pitture rupestri, poi i geroglifici, infine il testo, sicuramente più agevole e duttile delle forme di comunicazione precedenti, ma non necessariamente la migliore e l’ultima possibile.
Del resto i professionisti del linguaggio e dei problemi del linguaggio sanno benissimo quanto leggere e scrivere un testo comporti per la nostra mente delle montagne russe non indifferenti.
E poi arrivano le emoji…
L’invasione inizia in sordina con gli smiley, semplice sequenza di caratteri che riproduceva stilizzate le emozioni, con l’evoluzione dei dispositivi elettronici diventano vere e proprie faccine che esprimono emozioni, stati d’animo, situazioni di vita, tanto che nel 2015 la parola dell’anno eletta dall’Oxford Dictionaries è proprio un’emoticon!
Con il tempo le emoticon sostituiscono slang e modi dire, come rilevato da uno studio a opera della stessa Instagram.
Del resto perché prodigarsi in svariate parole quando puoi esprimere lo stesso identico concetto con una semplice faccina?
Più veloce, più immediato, ma anche più naturale.
L’evoluzione del modo con il quale comunichiamo non si ferma alle emoji.
Infatti è ormai abitudine comune inviare messaggi vocali oppure, come fanno gli adolescenti, comunicare attraverso mini-clip video usando applicazioni quali Snapchat oppure le storie di Instagram o gli stati di WhatsApp.
Il testo, una volta elemento principe per la comunicazione tra esseri umani, ha ormai perduto la sua centralità, diventando semplicemente una forma di comunicazione tra le molte possibili.
Stiamo ritornando verso una forma di comunicazione più naturale per noi esseri umani?
Forse.
Di sicuro questi sistemi abbattono le barriere e rendono la comunicazione più democratica, arrivando anche a permettere ad un bambino di quattro anni di comunicare stati d’animo a distanza inviando ai suoi genitori faccine e disegnini.
Se le emoji nascono e vengono utilizzate per veicolare stati d’animo ed emozioni, possono queste influenzare ciò che sentiamo dentro di noi?
Può un’emoji pilotare le nostre emozioni?
Di sicuro può pilotare il modo con il quale noi interpretiamo il messaggio a cui l’emoji in questione è associato.
Sempre più studi dimostrano che un’emoji può essere utilizzata per aiutarci a rendere meno ambiguo un messaggio di testo, ma può essere utilizzata anche per modificare il contesto emotivo del messaggio, quindi l’intenzionalità del mittente, e di conseguenza come interpreteremo il messaggio e come reagiremo ad esso.
In altre ricerche si parla di un incontro tra il proprio stato d’animo e l’interazione con l’emoji.
Sotto questo punto di vista l’emoji ha una funzione di conferma del nostro stato d’animo anche in qualità di riceventi il messaggio, e rinforza ciò che sentiamo dentro di noi perché ci offre conferme al nostro stato d’animo e alla nostra percezione.
Stiamo diventando tutti più emotivi?
Non sappiamo ancora se emoji, messaggi vocali, clip video, ci stanno rendendo più emotivi, ma possiamo iniziare a porci alcune domande su come l’esteriorizzazione continua e quasi compulsiva dei nostri stati interiori impatta sul nostro modo di sentire.
Si chiama “affect labeling” la pratica di inserire le emozioni all’interno di un testo, parlare di queste, e assegnare agli eventi della nostra vita una valenza emotiva.
Da numerose ricerche effettuate utilizzando le tecniche del questionario e di neuroimaging è emerso che parlare delle proprie emozioni negative, quali rabbia e tristezza, e di narrare gli episodi della nostra vita inserendo connotazioni emotive, riduce la risposta dell’amigdala e altre regioni limbiche agli stimoli emotivi.
Questo vuole dire che narrare i propri eventi negativi esprimendo le emozioni provate ci aiuta a ridurre il carico emotivo dell’evento stesso.
Quindi esprimere i propri sentimenti negativi ad esempio su Facebook può aiutarci a ridurre il carico emotivo?
Inoltre, e più importante: forse le persone sentono inconsapevolmente il bisogno di esprimere le proprie emozioni online al fine di scaricarle all’esterno e quindi sgravare la propria mente da questo fardello?
E a questo punto possiamo pilotare le emozioni che proviamo, e come le proviamo, semplicemente scegliendo attivamente le parole che usiamo, sfruttando i social network per raccontare noi stessi e ridurre lo stress del conservare dentro di noi l’emozione?
Può una reazione su Facebook aiutarci in questa direzione?
Sotto questo punto di vista la condivisione di emozioni e sentimenti sui social network potrebbe avere anche un effetto catartico.
E ci pone domande sul lato oscuro di questo meccanismo.
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Bibliografia e sitografia
9 ways Facebook changed how we talk.
11 Ordinary Words That Have New Meaning In Social Media.
Aldunate N, Villena-González M, Rojas-Thomas F, López V and Bosman CA (2018) Mood Detection in Ambiguous Messages: The Interaction Between Text and Emoticons. Front. Psychol. 9:423. doi: 10.3389/fpsyg.2018.00423
How has social media changed language?
How Your Language Affects Your Wealth and Health
Lindquist KA, MacCormack JK and Shablack H (2015) The role of language in emotion: predictions from psychological constructionism. Front. Psychol. 6:444. doi: 10.3389/fpsyg.2015.00444
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Matthew D. Lieberman, Naomi I. Eisenberger, Molly J. Crockett, Sabrina M. Tom, Jennifer H. Pfeifer, and Baldwin M. Way (2007) Putting Feelings Into Words: Affect Labeling Disrupts Amygdala Activity in Response to Affective Stimuli, Association for Psychological Science.
Selfie named by Oxford Dictionaries as word 2013
Technology is messing with our emotions
The Deeper Meaning of Emojis: What You Need to Know on How Social Media is Changing Communication.