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Come l’intelligenza artificiale cambia giornalismo e editoria



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L’IA generativa ha gettato nello scompiglio l’industria dei media: il timore di molti è che strumenti come ChatGPT creino direttamente le news sottraendo ulteriore spazio ai produttori tradizionali di informazione o che erodano la credibilità di chi opera nel settore. Ma non tutte le posizioni sono improntate alla difesa. C’è chi intravede anche opportunità e…

Pubblicato il 22 mag 2023

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

Alessandro Longo

Direttore agendadigitale.eu



chatgpt

Sarà tutto un nuovo giornalismo con l’intelligenza artificiale: molti esperti lo prevedono e alcune aziende già cominciano a vivere questa dimensione. Sì, tra i settori più colpiti dall’AI dopo l’exploit di ChatGPT vi è quello dei media e del giornalismo. I timori legati all’utilizzo sempre più invasivo dell’intelligenza artificiale generativa (GAI) sono molti e per lo più legittimi, ma le posizioni sono variegate e non tutte sono sulla difensiva.

Al recente Festival Internazionale del Giornalismo a Perugia, ad esempio, sono sfilate le diverse posizioni del mondo del giornalismo.

L’IA generativa e il giornalismo

Alessandra Galloni della Reuters ha difeso il ruolo del giornalista indipendente che potrà fornire credibilità anche ai servizi online più personalizzati realizzati con l’aiuto dell’intelligenza artificiale.

Un tema ripreso da Gina Chua di Semafor, che caldeggia l’utilizzo dell’intelligenza artificiale come strumento per aumentare la produttività: “i modelli linguistici estesi aprono la nostra mente offrendoci l’opportunità di fare cose che non potevamo neppure immaginare”. Lisa Gibbs dell’Associated Press, ha sottolineato i rischi che l’intelligenza artificiale generativa avrà sui posti di lavoro, già colpiti nell’ambito dell’industria dei media prima ancora dell’apparizione di ChatGPT.[1]

Il settore dei media teme fortemente che le piattaforme, i gatekeepers, come li definisce l’Unione Europea, riescano nell’intento di ridefinire alcune aree importanti dei propri modelli di business e che in alcuni casi, come Google con i sistemi di ricerca o i social di Meta, creino direttamente le news sottraendo ulteriore spazio ai produttori tradizionali di informazione, sottraendo ulteriore ossigeno, quello della pubblicità, agli editori dei media tradizionali.

Il timore è legittimo, ma per le piattaforme, in particolare per Google, il passaggio non è facile. Nel momento in cui il motore di ricerca fornisce direttamente le informazioni al navigatore, senza più passare per i siti dei media, una delle fonti principali di ricavi da inserzioni, verrebbe fortemente penalizzata.

Occorrerebbe procedere ad una canalizzazione molto estesa, ma questo finirebbe, paradossalmente, per chiudere gli accessi alla rete, sui quali si basa la raccolta pubblicitaria di Google e di altre piattaforme.

Gli utilizzi dell’AI in giornalismo

Intanto qualcuno sperimenta.

  • Il New York Times utilizza l’apprendimento automatico per decidere quanti articoli gratuiti mostrare ai lettori prima che raggiungano il paywall.
  • La Bayerischer Rundfunk, un’emittente pubblica tedesca, modera i commenti online con l’aiuto dell’AI.
  • Associated Press ora lo impiega anche per creare “liste di inquadrature” dei video, descrivendo chi e cosa c’è in ogni clip.
  • Man mano che l’intelligenza artificiale migliora, sta assumendo ruoli più creativi. Uno di questi è la raccolta di notizie. Alla Reuters, le macchine cercano pattern notiziabili in grandi insiemi di dati.
  • Associated Press utilizza l’ai per il “rilevamento di eventi”, analizzando i social media alla ricerca di notizie.
  • In occasione di una conferenza sul giornalismo tenutasi il mese scorso a Perugia, Nick Diakopoulos della Northwestern University ha mostrato come Chatgpt, un chatbot di successo, possa essere utilizzato per valutare la notiziabilità dei documenti di ricerca. I giudizi del suo modello e quelli dei redattori umani avevano un coefficiente di correlazione dello 0,58, forse una corrispondenza sufficiente per aiutare una redazione impegnata in un primo vaglio.
  • Qualcuno usa l’AI per editing e scrittura. Semafor, una startup che si occupa di notizie, utilizza le AIper correggere le storie.
  • Radar ai, un’azienda britannica, crea articoli basati sui dati per i giornali locali. I suoi cinque giornalisti umani hanno redatto più di 400.000 storie parzialmente automatizzate dal 2018.
  • A novembre Schibsted, una società di media norvegese, ha lanciato uno strumento di ai per trasformare lunghi articoli in brevi pacchetti per il social network Snapchat. I dirigenti delle testate giornalistiche vedono un potenziale nel rimodellare automaticamente le storie per formati o pubblici diversi.

Alcuni percepiscono un profondo cambiamento in ciò che questo significa per l’industria dell’informazione. L’AI “cambierà il giornalismo nei prossimi tre anni più di quanto il giornalismo sia cambiato negli ultimi 30 anni”, prevede David Caswell di BBC News in un’intervista all’Economist. Rimescolando le informazioni provenienti da Internet, i modelli generativi stanno “mettendo a soqquadro l’unità fondamentale del giornalismo”: l’articolo. Invece di un’unica prima stesura della storia, sostiene Caswell, le notizie potrebbero diventare “una sorta di ‘zuppa’ di linguaggio che viene vissuta in modo diverso da persone diverse”.

Un fenomeno che un po’ già si è visto con Google e i social, che hanno rotto l’unità del prodotto giornale, destrutturando e depotenziando le prerogative dei giornali di indicare, nella pagina, gerarchia e contesto delle notizie. Con l’AI forse il fenomeno arriverà alle estreme conseguenze.

Al tempo stesso bisogna rilevare, come in un recente studio di NewsGuard, la nascita di 150 siti di disinformazione, alimentati dalla pubblicità di Google, creati con l’intelligenza artificiale.

Le preoccupazioni delle piattaforme

Lo stesso Sundar Pichai di Google esprime con convinzione le preoccupazioni per l’utilizzo esteso dell’intelligenza artificiale generativa, spingendosi sul terreno più insolito, per lui, ossia quello della regolazione: “il tempo con cui riusciamo a pensare e ad adattarci come istituzioni sociali non sembra in grado di stare al passo con la velocità con cui la tecnologia sta evolvendo (ma fortunatamente) un elevato numero di persone ha iniziato a preoccuparsi delle implicazioni prima di quanto non è stato fatto in precedenza…Non spetta solo all’azienda decidere. Penso che lo sviluppo dell’AI generativa non debba includere solo ingegneri, ma anche scienziati sociali, etici, filosofi e così via”[2].

Satia Nadella, dall’alto degli oltre dieci miliardi di dollari investiti da Microsoft in OpenAI, vede, invece, un accogliente mondo in rosa per l’intelligenza artificiale generativa. Misurando l’uso dell’ambiente Microsoft 365, la società ha valutato che il 57% del tempo è dedicato alla comunicazione e solo il restante 43% del tempo rimane per attività creative. Con la creatività che langue, due terzi del management intervistato lamenta la scarsa capacità innovativa e l’inadeguata attitudine a risolvere i problemi dei team.

Secondo Nadella i benefici dell’intelligenza artificiale supereranno di gran lunga gli effetti negativi: “Il fulcro dell’illuminismo è stato la creazione di tecnologie che consentono agli uomini di aumentare la conoscenza, di fare scienza e di migliorare la condizione umana…Dire ‘bene ora ci fermiamo’ non mi sembra l’approccio corretto.”[3]

Non siamo ancora in grado di predire lo sviluppo di questo confronto, né di capire in quale misura davvero il lavoro di produttore dei contenuti possa essere svolto in modo economicamente conveniente dall’intelligenza artificiale generativa.

È certo, tuttavia, che anche il modus operandi delle piattaforme e quindi il loro modello di raccolta pubblicitaria che fino ad oggi si è dimostrato vincente, potrebbe essere messo in crisi se le piattaforme stesse spingessero oltre il loro ruolo di intermediari delle informazioni diventando intermediari-produttori.

AI e media

Ma quali sono le applicazioni che hanno aperto la strada all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’industria dei media?

Netflix ha cominciato ad applicare l’intelligenza artificiale nella compilazione dei cast e nella visualizzazione delle raccomandazioni del motore di ricerca e perfino negli algoritmi di compressione dell’immagine.

La 20th Century Fox usa le tecniche di machine learning per costruire i trailer basandoli sui momenti che più tengono desta l’attenzione degli spettatori, ma riesce anche a elaborare predizioni su quale tipo di audience e di fruizione attende i film esistenti o quelli che stanno per uscire.

Disney, con il progetto Story Print, riesce a visualizzare gli storytelling consentendo di comparare diverse soluzioni prima di metterle in produzione.

Comcast usa il machine learning per valutare con buona accuratezza se un tecnico deve raggiungere la sede del cliente che manifesta problemi di connessione.[4]

Con lo sviluppo dell’AI generativa l’impatto è ancora più profondo, investe:

  • la creazione di contenuti, la produzione e la gestione dei risultati;
  • l’esperienza dell’utente sia in termini di fruizione sia di audience;
  • la capacità di guadagno che i contenuti prodotti possono generare.[5]

Intanto la Tv assiste, negli Stati Uniti al diffondersi dei “cord cutters” e dei “cord nevers” ossia di coloro che disdicono gli abbonamenti alla TV via cavo o che sanno di non volerli sottoscrivere.

Questo sospinge le TV a contaminarsi in modo crescente con i social network: non si tratta semplicemente delle pubblicità dei programmi sulle pagine di Facebook, ma del fatto che molti social network offrono contenuti video che hanno concordato di distribuire con i produttori. E Google sta lanciando una serie di pacchetti TV su YouTube. Di nuovo, l’avvicinarsi alla produzione allontana al tempo stresso dalla raccolta pubblicitaria, per lo meno da quella oggi consolidata.

Fig. 1. Indici delle aziende AI in confronto alla media (MSCI-World) 4 gennaio 2021=100. Fonte Goldman Sachs, MSCI, The Economist

Editori: difendersi da AI o abbracciarla?

Alcune case editrici di alto livello, specializzate in pubblicazioni tecniche e scientifiche cominciano a temere che l’intelligenza artificiale generativa (GAI) possa erodere i loro margini e quindi influire negativamente sulle quotazioni.

Pearson, Relx e Wolters Kluwerstanno valutando se GAI sia una minaccia o un’opportunità. Pearson ha una offerta di servizi che include esami e dispense di studio, la proliferazione di scritture fatte con chatbot rende gli esami on line pressoché privi di valore e gli stessi materiali didattici possono essere realizzati a costi molto contenuti: la minaccia sulle vendite e sui margini è concreta.

Le altre due compagnie sono specializzate in pubblicazioni accademiche e professionali: “GAI gestita come un business tecnologico potrebbe funzionare come un drone che sorvola i giardini cintati delle aziende registrando il contenuto e vendendo riassunti poco costosi”[7]

La miglior strategia di difesa potrebbe rivelarsi quella di rafforzare la qualità dei propri prodotti, rispetto alla competizione “low cost”, come ha cominciato a fare Relx. In generale si apre l’opzione di dotarsi di proprie chatbot che offrano accesso a diversi livelli di servizio, ossia a riassunti e ai contenuti originali.

Infine, i tre editori si stanno attrezzando a difendere i propri diritti di autore nelle sedi opportune, anche quelle che si riveleranno costose di doversi difendere in sede civile contro colossi come Microsoft o Google.

Intanto, OpenAI comincia a controllare se la sua ChatGPT viene utilizzata per campagne politiche, dalla produzione di prodotti di comunicazione e lobby ai contenuti sui temi ad elevato rischio politico, come l’emigrazione. OpenAi sostiene di avere diversi strumenti di controllo, basati su classificazione effettuate con il machine learning per controllare se qualcuno invia milioni di messaggi indirizzati all’elezione dei candidati,

E il tema è caldo dal momento che l’utilizzo di IA generative in politica sta crescendo in mod esponenziale, come si vede dalla figura 1 dove il dato del 2023 alla fine dell’anno risulterà3-4 volte più elevato del 2022.

*) gennaio-marzo

Conclusioni

Se OpenAI comincia a moderare o selezionare i propri clienti, si ripropone in forma nuova il tema che ha investito da anni le piattaforme, ovvero se esse sono da considerare editori. Nel fare questo OpenAI aprirà la strada al regolatore che si porrà, e in effetti se lo è già posto, il quesito se difendere GAI dall’essere fagocitata dalle piattaforme e quindi non poter esprimere tutto il suo potenziale innovativo, o se difendere gli utenti e il sistema istituzionale dall’invadenza di AI. È assai probabile che ci saranno diversi interventi, sia a tutela dei consumatori e della privacy, sia a tutela della concorrenza. Insomma, gli investimenti corrono, ma il campo di corsa non è ancora ben delimitato.

Note

  1. ) Marina Adami, Eduardo Suarez, Gretel Kahn, Matthew Leake, Priscille Biehlmann, International Journalism Festival 2023: what we learnt in Perugia about the future of news, Reuthers Institute, April 11, 2023.
  2. ) Patrizia Godi, Sundar Pichai, CEO di Google: la società si prepari all’impatto dell’AI generativa, Computerworld, 18.4.2023
  3. ) Alana Semuels, Microsoft’s CEO Responds to Concerns About AI, Time, May 9, 2023.
  4. ) Yuriy Mykhaylyuk, AI is the Future of Media, GlobalLogic, December 2022.
  5. ) Anil Jain, Lluis Canet, Three ways media leaders can leverage generative AI, Google Cloud, April 19, 2023-
  6. ) Sabrina Silverberg, Andrew R. Kopsidas, Generative AI: Media and Entertainment Considerations.
  7. ) Financial Times, AI/publishers: tehe best defence will be attack, May 10, 2023.2

AI: gli editori e le piattaforme

Mario Dal Co

L’intelligenza artificiale vista dai Media

Tra i settori più in subbuglio dopo l’exploit di inizio d’anno di ChatGPT vi è quello dei media e della produzione di contenuti. Al recente Festival Internazionale del Giornalismo a Perugia, sono sfilate tutte le posizioni.

Alessandra Galloni della Reuters ha difeso il ruolo del giornalista indipendente che potrà fornire credibilità anche ai servizi on line più personalizzati realizzati con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. Un tema ripreso da Gina Chua di Semafor, che caldeggia l’utilizzo dell’intelligenza artificiale come strumento per aumentare la produttività: “i modelli linguistici estesi aprono la nostra mente offrendoci l’opportunità di fare cose che non potevamo neppure immaginare”. Lisa Gibbs dell’Associated Press, ha sottolineato i rischi che l’intelligenza artificiale generativa avrà sui posti di lavoro, già colpiti nell’ambito dell’industria dei media prima ancora dell’apparizione di ChatGPT.[1]

Il settore dei media teme fortemente che le piattaforme, i gatekeepers, come li definisce l’Unione Europea, riescano nell’intento di ridefinire alcune aree importanti dei propri modelli di business e che in alcuni casi, come Google con i sistemi di ricerca o i social di Meta, creino direttamente le news sottraendo ulteriore spazio ai produttori tradizionali di informazione, sottraendo ulteriore ossigeno, quello della pubblicità, agli editori dei media tradizionali.

Il timore è legittimo, ma per le piattaforme, in particolare per Google, il passaggio non è facile. Nel momento in cui il motore di ricerca fornisce direttamente le informazioni al navigatore, senza più passare per i siti dei media, una delle fonti principali di ricavi da inserzioni, verrebbe fortemente penalizzata. Occorrerebbe procedere ad una canalizzazione molto estesa, ma questo finirebbe, paradossalmente, per chiudere gli accessi alla rete, sui quali si basa la raccolta pubblicitaria di Google e di altre piattaforme.

Le preoccupazioni dei gatekeeper

Sundar Pichai esprime con convinzione le preoccupazioni per l’utilizzo esteso dell’intelligenza artificiale generativa, spingendosi sul terreno più insolito, per lui, ossia quello della regolazione: “il tempo con cui riusciamo a pensare e ad adattarci come istituzioni sociali non sembra in grado di stare al passo con la velocità con cui la tecnologia sta evolvendo (ma fortunatamente) un elevato numero di persone ha iniziato a preoccuparsi delle implicazioni prima di quanto non è stato fatto in precedenza…Non spetta solo all’azienda decidere. Penso che lo sviluppo dell’AI generativa non debba includere solo ingegneri, ma anche scienziati sociali, etici, filosofi e così via”[2].

Satia Nadella, dall’alto degli oltre 10 miliardi di dollari investiti da Microsoft in OpenAI, vede, invece, un accogliente mondo in rosa per l’intelligenza artificiale generativa. Misurando l’uso dell’ambiente Microsoft 365, la società ha valutato che il 57% del tempo è dedicato alla comunicazione e solo il restante 43% del tempo rimane per attività creative. Con la creatività che langue, due terzi del management intervistato lamenta la scarsa capacità innovativa e l’inadeguata attitudine a risolvere i problemi dei team.

Secondo Nadella i benefici dell’intelligenza artificiale supereranno di gran lunga gli effetti negativi: “Il fulcro dell’illuminismo è stato la creazione di tecnologie che consentono agli uomini di aumentare la conoscenza, di fare scienza e di migliorare la condizione umana…Dire ‘bene ora ci fermiano’ non mi sembra l’approccio corretto.”[3]

Non siamo ancora in grado di predire lo sviluppo di questo confronto, né di capire in quale misura davvero il lavoro di produttore dei contenuti possa essere svolto in modo economicamente conveniente dall’intelligenza artificiale generativa.

E’ certo tuttavia che la ridefinizione dei modelli di business potrebbe riguardare non solo il vecchio mondo dell’editoria, stampa e TV, ma anche il modus operandi delle piattaforme e quindi il loro modello di raccolta pubblicitaria. Che fino ad oggi si è dimostrato vincente sulla concorrenza di stampa e TV, ma che potrebbe essere messo in crisi se le piattaforme stesse spingessero oltre il loro ruolo di intermnediari delle informazioni diventando intermediari-produttori.

AI e media

Ma quali sono le applicazioni che hanno aperto la strada all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’industria dei media?

Netflix ha cominciato ad applicare l’intelligenza artificiale nella compilazione dei cast e nella visualizzazione delle raccomandazioni del motore di ricerca e perfino negli algoritmi di compressione dell’immagine.

La 20th Century Fox usa le tecniche di machine learning per costruire i trailer basandoli sui momenti che più tengono desta l’attenzione degli spettatori, ma riesce anche a elaborare predizioni su quale tipo di audience e di fruizione attende i film esistenti o quelli che stanno per uscire.

Disney, con il progetto Story Print, riesce a visualizzare gli story telling consentendo di comparare diverse soluzioni prima di metterle in produzione.

Comcast usa il machine learning per valutare con buona accuratezza se un tecnico deve raggiungere la sede del cliente che manifesta problemi di connessione.[4]

Con lo sviluppo dell’AI generativa l’impatto è ancora più profondo, investe:

  • la creazione di contenuti, la produzione e la gestione dei risultati;
  • l’esperienza dell’utente sia in termini di fruizione sia di audience;
  • la capacità di guadagno che i contenuti prodotti possono generare.[5]

Intanto la Tv assiste, negli Stati Uniti al diffondersi dei “cord cutters”e dei “cord nevers” ossia di coloro che disdicono gli abbonamenti alla TV via cavo o che sanno di non volerli sottoscrivere.

Questo sospinge le TV a contaminarsi in modo crescente con i social network: non si tratta semplicemente delle pubblicità dei programmi sulle pagine di Facebook, ma del fatto che molti social network offrono contenuti video che hanno concordato di distribuire con i produttori. E Google sta lanciando una serie di pacchetti TV su YouTube. Di nuovo, l’avvicinarsi alla produzione allontana al tempo stresso dalla raccolta pubblicitaria, per lo meno da quella oggi consolidata.

I trend. Opportunità e rischi

Nel 2022 gli investimenti di venture capital in chatbot, assistenti virtuali e vocali sono cresciuti quasi del 60% e la tendenza continuerà anche nel 2023 estendendosi alla sanità al design, ai modelli finanziari, alla logistica e all’e-commerce.

Questa espansione degli investimenti nelle piccole aziende innovative pone due questioni.

La prima riguarda il rischio di accentuata concorrenza, che comincia ad essere percepito anche da big tech. Google sostiene che GAI non è un settore di mercato protetto e che quindi vi è un rischio di compressione dei margini che potrebbe penalizzare proprio che ha fatto maggiori investimenti.

La seconda riguarda gli utenti. Una estesa applicazione degli strumenti GAI porterà all’insorgere di problemi relativi al coppyright sia nei confronti di chi teme che i propri contenuti siano plagiati, sia nei confronti di chi, avendo usato GAI per produrli, rivendicherà propri diritti.

E vi saranno nuove frontiere da scoprire a proposito di privacy, tutela del lavoro, dei dati, dei sistemi informatici: una estensione del contenzioso civilistico e commerciale, ma non solo, che potrebbe rivelarsi molto ampia.[6]

Consapevole dei rischi degli investimenti nella fase iniziale e pre-competitiva delle nuove tecnologie, e fra questi i rischi di regolazione sono tra i più rilevanti, il mondo finanziario ha guardato con guardinga attenzione alla crescita di investimenti in AI negli anni recenti. Solo negli utlimi mesi, dopo l’esplosione di ChatGPT ha cominciato a prendere in considerazione le aziende del settore con maggiore convinzione.

Lo si si vede dal recupero delle quotazioni nei mesi recenti, rispetto all’andamento medio MSCI-World, dopocirca due anni in cui le imprese impegnate nell’intelligenza artificiale avevano registrato una performance relativa negativa. come riportato nella figura seguente.

Fig. 1. Indici delle aziende AI in confronto alla media (MSCI-World) 4 gennaio 2021=100. Fonte Goldman Sachs, MSCI, The Economist

Editori: difendersi da AI o difendere AI?

Alcune case editrici di alto livello, specializzate in pubblicazioni tecniche e scientifiche cominciano a temere che l’intelligenza artificiale generativa (GAI) possa erodere i loro margini e quindi influire negativamente sulle quotazioni.

Pearson, Relx e Wolters Kluwerstanno valutando se GAI sia una minaccia o un’opportunità. Pearson ha una offerta di servizi che include esami e dispense di studio, la proliferazione di scritture fatte con chatbot rende gli esami on line pressoché privi di valore e gli stessi materiali didattici possono essere realizzati a costi molto contenuti: la minaccia sulle vendite e sui margini è concreta.

Le altre due compagnie sono specializzate in pubblicazioni accademiche e professionali: “GAI gestita come un business tecnologico potrebbe funzionare come un drone che sorvola i giardini cintati delle aziende registrando il contenuto e vendendo riassunti poco costosi”[7]

La miglior strategia di difesa potrebbe rivelarsi quella di rafforzare la qualità dei propri prodotti, rispetto alla competizione “low cost”, come ha cominciato a fare Relx. In generale si apre l’opzione di dotarsi di proprie chatbot che offrano accesso a diversi livelli di servizio, ossia a riassunti e ai contenuti originali.

Infine, i tre editori si stanno attrezzando a difendere i propri diritti di autore nelle sedi opportune, anche quelle che si riveleranno costose di doversi difendere in sede civile contro colossi come Microsoft o Google.

Intanto, OpenAI comincia a controllare se la sua ChatGPT viene utilizzata per campagne politiche, dalla produzione di prodotti di comunicazione e lobby ai contenuti sui temi ad elevato rischio politico, come l’emigrazione. OpenAi sostiene di avere diversi strumenti di controllo, basati su classificazione effettuate con il machine learning per controllare se qualcuno invia milioni di messaggi indirizzati all’elezione dei candidati,

E il tema è caldo dal momento che l’utilizzo di GAI in politica sta ctrescendo in mod esponenziale, come si vede dalla figura 1 dove il dato del 2023 alla fine dell’anno risulterà3-4 volte più elevato del 2022.

*) gennaio-marzo

Se OpenAI comincia a moderare o selezionare i propri clienti, si ripropone in forma nuova il tema che ha investito da anni le piattaforme, ovvero se esse sono da considerare editori. Nel fare questo OpenAI aprirà la strada al regolatore che si porrà, e in effetti se lo è già posto, il quesito se difendere GAI dall’essere fagocitata dalle piattaforme e quindi non poter esprimere tutto il suo potenziale innovativo, o se difendere gli utenti e il sistema istituzionale dall’invadenza di AI. E’ assai probabile che che ci saranno diversi interventi, sia a tutela dei consumatori e della privacy, sia a tutela della concorrenza. Insomma, gli investimenti corrono, ma il campo di corsa non è ancora ben delimitato.

  1. ) Marina Adami, Eduardo Suarez, Gretel Kahn, Matthew Leake, Priscille Biehlmann, International Journalism Festival 2023: what we learnt in Perugia about the future of news, Reuthers Institute, April 11, 2023.

  2. ) Patrizia Godi, Sundar Pichai, CEO di Google: la società si prepari all’impatto dell’AI generativa, Computerworld, 18.4.2023

  3. ) Alana Semuels, Microsoft’s CEO Responds to Concerns About AI, Time, May 9, 2023.

  4. ) Yuriy Mykhaylyuk, AI is the Future of Media, GlobalLogic, December 2022.

  5. ) Anil Jain, Lluis Canet, Three ways media leaders can leverage generative AI, Google Cloud, April 19, 2023-

  6. ) Sabrina Silverberg, Andrew R. Kopsidas, Generative AI: Media and Entertainment Considerations.

  7. ) Financial Times, AI/publishers: tehe best defence will be attack, May 10, 2023.2

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