COMPETENZE DIGITALI

Lavorare nell’era digitale, così cambia l’istruzione: i nuovi trend

Secondo lo European Political Strategy Center nei trend che trasformeranno l’educazione alla base ci sono le competenze digitali. Perché il digitale senza competenze rischia di fagocitarci. Al centro devono essere le persone e la loro capacità di approcciare criticamente l’ingente offerta di informazioni

Pubblicato il 15 Dic 2017

Sandra Troia

docente, esperta in competenze digitali

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L’EPSC (European Political Strategy Center) ha recentemente reso disponibile la pubblicazione “10 Trends. Transforming education as we know”. Come sta cambiando l’educazione? Quali sono gli orientamenti che incontrano i bisogni dei cittadini sempre più digitali?

Il sistema educativo, si legge, deve reinventarsi e, in un mondo che cambia assai velocemente, educare al cambiamento e al costante aggiornamento del corredo personale di competenze.

La tendenza è che apprendiamo per tutto l’arco della vita (non solo nella prima fase), utilizziamo per formarci strumenti e supporti digitali, abbiamo la necessità di acquisire competenze nuove e diverse rispetto al passato (tra tutte spicca la competenza digitale). Siamo orientati ad utilizzare metodologie che ci consentano di essere attivi nell’esperienza di apprendimento, di sperimentare, di muoverci fluidamente tra più discipline integrandole, di misurarci con compiti e progetti concreti analogico-digitali. Siamo alla ricerca di docenti che siano per noi mentor e “allenatori” delle competenze.

È finito il tempo in cui tutto andava bene per tutti. Siamo alla ricerca di un’offerta formativa personalizzata, realizzata non solo da enti istituzionali. Le competenze guadagnano sempre più terreno anche nel mercato del lavoro. Siamo destinati ad essere selezionati non in base a titoli di studio ma per il nostro talento, le skill e il potenziale.

Una nuova competenza di base

La nuova competenza di base? È senza dubbio quella digitale.

L’EPSC porta alla nostra attenzione alcuni dati: oggi il 93% dei posti di lavoro prevede l’uso del pc e non esiste quasi nessun lavoro che non richieda il possesso di competenze digitali di livello elementare.

Siamo pronti? Ci siamo messi in moto ma non ancora avviati secondo i ritmi attesi. L’offerta formativa non è sufficiente e/o articolata in modo efficace. Nella maggioranza dei luoghi di lavoro non sono state messe in atto azioni significative per colmare la carenza di competenze digitali dei lavoratori.

Anche chi è fuori del mercato del lavoro non ha meno difficoltà. Tutti i cittadini possono (o devono) interloquire con la Pubblica Amministrazione in ambienti digitali, si misurano con lo shopping online, sistemi smart di mobilità e servizi bancari. Con quali competenze? Acquisite come? Senza competenza digitale il rischio di esclusione non si “limita” al mondo lavorativo ma all’intera sfera sociale dei soggetti. Essere compenti digitali non è un’opzione, come non è un’opzione saper leggere, scrivere e contare. Sempre digitalmente connessi (connessione tra persone-persone, persone-cose, cose-cose) è la modalità permanente della nostra società.

Il futuro è oggi

Il futuro è digitale? No. Il presente è digitale, per questo siamo in emergenza. Sono destinati a vincere la sfida di questa rivoluzione distruttiva, o a provarci, coloro che oggi dispongono di un progetto di azione, almeno, per il breve e il medio periodo.

In “10 Trends. Transforming education as we know” è presente un riferimento alla Polonia, al progetto Digital Poland finalizzato a promuovere le competenze dei cittadini di ogni età, a non lasciare indietro chi vive nelle zone rurali o ha una disabilità, a valorizzare ed incentivare gli studenti talentuosi nel settore dell’ICT (progetto e-Pioner), a rendere obbligatorio il coding sin dai primi anni di scuola. La disponibilità elevata di soggetti con un adeguato livello di competenze digitali ha sostenuto, in questo Paese, lo sviluppo nazionale del settore dell’IT attraendo investimenti.

Uomo-macchina

Le macchine svolgeranno il lavoro al nostro posto? Ci sono molti interrogativi, in alcuni casi timori, intorno a questo aspetto. Non c’è dubbio che le macchine hanno modificato e modificheranno il nostro modo di lavorare. Nel 2014 la charity inglese NESTA ha pubblicato “Our Work Here is Done: Visions of a Robot Economy”. È questa una lettura che riporta l’attenzione sull’importanza delle scelte politiche e le influenze culturali ed economiche, che ci guida a considerare che siamo noi stessi a contribuire in modo significativo al modo in cui le tecnologie si integreranno nelle nostre vite.

Dobbiamo imparare a considerare, come ci suggerisce la pubblicazione dell’EPSC, che ad “imparare non sono solo le persone”. Le macchine sono sempre più performanti, presenti anche nei settori tradizionali come, per esempio, quello dell’agricoltura e dell’allevamento e richiedono nuove competenze digitali.

Strumenti intelligenti come robot e droni possono aiutare i coltivatori a ridurre i mancati raccolti dovuti a parassiti, a contenere l’impiego di pesticidi attraverso una diagnosi precoce che mette in allarme gli operatori e consente loro di intervenire prontamente.

Soluzioni tecnologiche analoghe a quelle che si utilizzano nel fitness possono essere “vestite” da animali. Un esempio: la wearable technology può essere utilizzata per monitorare la fertilità e lo stato di salute di un animale (o una pianta); l’allevatore attraverso il proprio smartphone può essere costantemente informato.

Formarsi nella società digitale

E nel settore della formazione? Nel caso dell’US Advanced Research Project Agency è emerso che tutor digitali migliorano le performance degli studenti. Le macchine, ripetiamolo, stanno imparando; i compiti che sistemi di intelligenza artificiale sono in grado di portare a termine divengono via via più complessi ed articolati.

L’EPSC indica come possibile uno scenario futuro con la competizione tra uomini e macchine non solo per mansioni/lavori semplici o lavori che richiedono un basso livello di conoscenze.

Il suggerimento offerto? Per vedere la nostra specie valorizzata il terreno della competizione deve spostarsi su creatività, problem solving, negoziazione, adattabilità, pensiero critico, lavoro collaborativo, empatia, emozioni e comunicazione interculturale. Chi si occupa di progettare e realizzare esperienze formative dovrebbe riorientare in questa direzione l’offerta formativa.

Un trend favorito dal digitale, individuato nella pubblicazione, è il passaggio dalla standardizzazione alla personalizzazione dei percorsi di apprendimento. Si punta a valorizzare il potenziale dei soggetti, elemento centrale di un’economia che è costruita intorno alle risorse umane.

Perché personalizzare? Serve a fare emergere il talento e le capacità non solo di chi è tra i banchi di scuola ma, anche, di chi è attivo nel mondo del lavoro. Il primo passo richiesto è cambiare prospettiva, mettere al centro i progressi personali del soggetto. Le tecnologie ci offrono un aiuto, consentono di contenere il costo di questa nuova organizzazione centrata sui bisogni della persona. L’apprendimento, nell’ambiente digitale, può più agevolmente essere trasformato in un’esperienza “fatta su misura” in cui gli individui si approcciano ai compiti seguendo una modalità personale, acquisendo conoscenze e competenze assecondando il proprio ritmo di apprendimento. Il beneficio di un tale approccio ha ricadute positive non solo sui soggetti talentuosi ma anche su chi è portatore di bisogni educativi speciali1.

Come riferimento a casi reali, “10 Trends. Transforming education as we know” riporta l’esperienza di Singapore nella personalizzazione dell’apprendimento in classe realizzata raccogliendo ed elaborando i dati dell’esperienza formativa degli studenti.

La situazione problematica che Singapore deve gestire è l’aumento del numero di allievi per classe nella scuola primaria (fino a 40). Un numero così elevato di studenti non consente ai docenti di personalizzare il percorso formativo. Il Governo locale, per questo motivo, sta esplorando un utilizzo innovativo delle tecnologie legato ai dati (frequenza scolastica, risultati nei test, la partecipazione in classe, autovalutazione, valutazione, …). Questi ultimi sono messi insieme e combinati per individuare aspetti d’eccellenza o criticità, costruire meglio programmi didattici, accompagnare e sostenere gli studenti affinché abbiano un ruolo attivo nel proprio apprendimento, personalizzare e valutare i fattori collegati agli esiti degli studenti2.

Un mondo interconnesso

Le sfide con le quali come cittadini ci misuriamo a livello locale e globale (cambiamento del clima, al cibo, emergenza acqua, energia, salute, governo di società multiculturali) stanno crescendo in complessità e richiedono interdisciplinarietà. L’esperienza formativa dovrebbe, si legge nella pubblicazione dell’EPSC, configurarsi come una sorta di “ponte” per comprendere le cause e le sfide complesse dei tempi moderni e sviluppare soluzioni innovative. Ad ostacolare questo approccio è, in Europa, la resistenza di scuola ed università ad aprirsi in modo significativo a collaborazioni con altre realtà. Questo “isolamento” contrasta con il modello di interconnessione del mondo odierno3. Le collaborazioni tra scuola, enti pubblici e realtà del privato sono invece auspicabili perché favoriscono il rinnovamento dei curricula con la sperimentazione di intersezioni tra discipline con positivi effetti sull’impiego.

La tecnologia può contribuire a realizzare un apprendimento interdisciplinare? Sì, se è considerata non solo come disciplina, ma come elemento trasversale (come è trasversale la competenza digitale alle altre competenze chiave). Sulla trasversalità ha puntato anche la Finlandia. Il Paese ha vantato negli ultimi 40 anni uno dei sistemi scolastici con le migliori performance al mondo, regolarmente al top dei risultati delle valutazioni PISA (i cui test si focalizzano su come gli studenti risolvono problemi applicando ciò che sanno). Nonostante i successi costanti, ha definito recentemente un nuovo curriculum puntando sull’apprendimento collaborativo e non solo. Gli allievi lavorano con più docenti simultaneamente e seguendo un approccio interdisciplinare che integra il digitale.

Opportunità e ambienti di apprendimento fluidi

L’EPSC evidenzia che il numero di attori che offrono piattaforme digitali, propongono nuove modalità per apprendere o contenuti sta crescendo esponenzialmente e non si limita all’offerta istituzionale. Più di 800 università rendono fruibili lezioni attraverso applicazioni digitali. Oggi possiamo formarci sui temi che ci interessano in ogni momento e in qualsiasi luogo utilizzando smartphone e tablet. E non è tutto. Le piattaforme “peer to peer”, sempre di diffuse, consentono ad un elevato numero di soggetti, eterogenei per formazione e provenienza geografica, di essere attivamente coinvolti ed imparare gli uni dagli altri.

La crescente diversità di attori attivi nel settore dell’educazione crea, inoltre, nuove opportunità di formarsi in diversi momenti della vita.

Un esempio citato è quello dell’Ecole 42 in Francia, una università senza docenti, autogestita da imprenditori che oprano nel settore tecnologico. Centinaia sono i programmi basati su progetti e formazione tra pari. L’ingresso è legato esclusivamente al merito, gli studenti sono selezionati, le loro performace verificate periodicamente e il curriculum è “gamificato”. I dati parlano chiaro: quasi l’80% degli studenti hanno un lavoro prima di concludere i corsi e il 100% sono impiegati al termine.

Training per trovare occupazione

Sempre più aziende che si occupano di tecnologie e software creano piattaforme di apprendimento in cui individui e compagnie possono acquisire nuove competenze digitali e certificazioni riconosciute.

L’esempio citato dall’EPSC è quello della multinazionale tedesca SAP che ha organizzato MOOC (corsi online aperti su larga scala) su argomenti che spaziano dalla produzione alla raccolta, elaborazione ed analisi dei dati. Il centro di apprendimento SAP offre contenuti didattici che consentono l’autoformazione nel rispetto dei ritmi personali di apprendimento, l’accesso ad una comunità di studenti con esperti e “stanze” dedicate all’apprendimento collaborativo. Il valore aggiunto di questi corsi è che offrono certificazioni per area e livelli di competenza che sono riconosciute da tutti i partner e clienti SAP.

Scuola e occupazione

Secondo l’EPSC il collegamento tra scuola tradizionale e mondo del lavoro è in crescente rottura. Nel passato l’educazione formale era una garanzia per il lavoro. Oggi non è più così. L’Europa ha il numero più elevato di soggetti formati della propria storia, nonostante questo

il livello di disoccupazione è preoccupante. Non solo per i giovani è difficoltoso trovare un lavoro, ma lo trovano in settori diversi da quello per cui si sono formati. Qual è la ragione più comune di questa situazione? I soggetti non possiedono le competenze richieste dal mercato. Chi offre lavoro ha difficoltà a trovare soggetti con le competenze di cui necessita per crescere ed innovare.

È in atto una doppia crisi che riguarda da una parte la difficoltà a trovare occupazione e dall’altra la carenza di soggetti con le competenze ricercate. La criticità è determinata da un’insufficiente interazione tra chi eroga istruzione/formazione e chi offre lavoro. La responsabilità di tale situazione non è tuttavia imputabile solo a scuola e università. Anche le aziende raramente, si evidenzia, mostrano una fattiva apertura a collaborare e, in questo modo, la richiesta di competenze specifiche ha una limitata possibilità di essere tradotta in curricula.

Il digitale può contribuire a ridurre gli effetti negativi di questo mancato incontro. Strumenti digitali con informazioni aggiornate in tempo reale stanno supportando scuole ed università ad offrire una guida alla carriera agli studenti. Nella pubblicazione dell’EPSC si fa riferimento, per esempio, a test che possono abbinare studenti e percorsi universitari e/o lavori che sono affini ai loro interessi e alla loro personalità. Gli studenti sono messi in grado di mappare digitalmente i percorsi di carriera e visualizzare informazioni relative a soggetti reali che operano nel settore, al livello dei salari, alle fluttuazioni della domanda nel mercato del lavoro. Questo consente loro di compiere scelte più informate sui loro studi futuri e sui percorsi di sviluppo professionale.

L’Open Data Institute e Nesta hanno, nel recente passato, dato valore ai dati aperti del Regno Unito con “Open Data Challenge”. Il progetto “Skills Route”, che ha concorso e vinto nella sezione “Education Open Data Challenge” realizzando un tool online che utilizza gli open data per facilitare la scelta del percorso di studi di giovani studenti, è un esempio concreto di come con le risorse digitali si possa rendere disponibile un aggiornato e qualificato servizio di orientamento.

Formare cittadini digitali competenti

Gli studenti non sono in grado di distinguere notizie vere e notizie false? Con l’uso di account che operano in modo automatico (bot), oggi, come mai in passato, è facile disinformare.

L’EPSC conferma l’allarme: con l’uso di algoritmi, i social media possono creare potenti camere d’eco, rinforzando credenze, visioni, animosità e posso essere utilizzati per influenzare l’opinione pubblica.

È necessario, per vivere in una sana democrazia, formare cittadini con competenze (media literacy) che consentano loro di discernere tra informazioni attendibili e non attendibili.

I provider dei social media possono contribuire in questo percorso di crescita di competenze che, in ogni caso, deve vedere in prima linea il sistema educativo a guidare i soggetti dai primissimi anni.

In “10 Trends. Transforming education as we know” è inserita, a questo proposito, l’esperienza che ha visto insieme il Governo italiano e importanti compagnie che si occupano di digitale4.

È stato promosso un percorso formativo nelle scuole pubbliche per riconoscere le notizie false e le teorie cospirative online. Laura Boldrini, presidente della Camera, che ha condiviso il progetto con il MIUR, sostiene, si riporta, la necessità di formare una nuova generazione di votanti italiani in grado di difendersi dalle menzogne architettate assecondando le paure dei soggetti.

Rinnovare l’università europea

Chiude la pubblicazione un focus sull’università e l’esperienza italiana. L’Europa, secondo l’EPSC, non è sufficientemente competitiva nell’offerta di formazione universitaria. Ne è prova la classifica mondiale (è preso come riferimento “The Times Higher Education World University Rankings”) in cui dominano le università americane e qualche università del Regno Unito. Nessuna università dell’Europa a 27 è tra le prime 25 nel 2016/2017.

Per l’Italia? Eccelle il Politecnico di Torino con iI 94% dei laureati che trova impiego dopo un anno dalla laurea. Si è riusciti a conseguire questo importante risultato attraverso un’attenta calibrazione tra specializzazione, partnership e innovazione. L’Ateneo ha stabilito una stretta collaborazione con industrie ed enti locali, ha puntato ad essere un laboratorio per la sperimentazione di servizi, persegue una politica di internazionalizzazione, stabilendo scambi con altre università nel mondo e accordi per internati.

Digitale minaccia o opportunità?

Il digitale senza competenze rischia di fagocitarci. Al centro devono essere le persone e la loro capacità di approcciarsi criticamente all’offerta strabordante di informazioni di ogni tipo e qualità.

A rendere il digitale un’opportunità può essere solo un buon progetto, una visione chiara degli obiettivi che vogliamo perseguire e dei valori che intendiamo affermare. Non è solo questione di tecnologia. Abbiamo bisogno di imparare a mettere al servizio dei nostri bisogni le soluzioni digitali, non rincorrerle ed adeguarci ad esse.

Digitale e formazione sono un abbinamento vincente se la logica non è, solo, quella del contenimento dei costi. L’investimento di risorse necessarie per l’implementazione di risorse e ambienti di apprendimento digitali deve essere valutato sempre con molta attenzione, mai sottovalutato, lasciato al caso o alla buona volontà di pochi (o molti). Il digitale di qualità non si improvvisa e, spesso, è meno “facile” di come possa apparire ad un non addetto ai lavori. È indispensabile puntare sulla professionalità e sul suo riconoscimento.

Un nuovo trend che dovremmo incoraggiare è quello che analisi puntuale dei bisogni, spirito critico, problem solving, creatività e valori si accompagnino sempre al digitale. Perché possa essere un’opportunità la rivoluzione digitale deve essere tagliata secondo le nostre misure, vestirci per valorizzarci, saper guardare lontano.

______________________________

1 Anche l’utilizzo del digitale per personalizzare richiede competenze specifiche da parte di chi progetta e realizza le esperienze di apprendimento; per averne una visione dettagliata possiamo riferirci al nuovo framework europeo DigCompEdu. Nell’area dedicata all’Empowering Learners, per esempio, la competenza specifica digitale per la differenziazione e personalizzazione è declinata come usare le tecnologie calibrandole ai bisogni dei bisogni e ritmi di apprendimento di chi apprende.

2 È importante evidenziare che le soluzioni digitali, per quanto sofisticate e all’avanguardia, nulla possono se non accompagnate dalle competenze dei soggetti coinvolti nel processo d’apprendimento. Volendo individuare le competenze che un intervento come questo richiede ai docenti, possiamo ricercarle nell’area DigCompEdu 4 “Valutazione” (4.1 Strategie valutative, 4.2 Analisi dei risultati, 4.3 Feedback e pianificazione). A chi forma è chiesta anche di operare in modo che studenti e genitori siano in grado di utilizzare i risultati raccolti digitalmente per attivarsi in percorsi di miglioramento.

3 In Italia, a questo proposito, le “LINEE GUIDA PER LA CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE NEL PRIMO CICLO DI ISTRUZIONE” del MIUR portano l’attenzione sugli strumenti per valutare le competenze e sui compiti di realtà (ovvero una richiesta rivolta allo studente di risolvere una situazione problematica, complessa e nuova, quanto più possibile vicina al mondo reale).

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