È ancora presto per dirlo, ma probabilmente, quando non dovremo più preoccuparci del contagio avremo la lucidità necessaria per comprendere come la pandemia ha cambiato il nostro rapporto con l’informazione e le informazioni, con le fonti alle quali attingiamo per ottenerle e, naturalmente, con i social network, che di questa emergenza sono stati protagonisti, in alcuni casi in positivo, in altri in negativo.
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La rivincita della competenza
E qui è il punto: gli ultimi 15 mesi hanno restituito agli italiani il bisogno di ricercare affidabilità e competenza. Come a bordo di un aereo in turbolenza, nel giudicare il pilota i nostri concittadini sono tornati a sperare che fosse prima di tutto capace di guidarlo. Così si spiega la crescita di fiducia, che in certe fasi è stata quasi “fede”, nei confronti delle istituzioni, dai capi del Governo a Sindaci e Presidenti delle Regioni.
Si spiega anche così l’altissima fiducia che gli italiani esprimono nei confronti del nuovo Presidente del Consiglio Mario Draghi (75% il giorno della nomina) e di un governo tecnico che, del principio di competenza, è stato innalzato a simbolo dai media ma, a onor del vero, anche dagli stessi cittadini.
Ma ancora di più, simbolo del prepotente ritorno al principio di competenza è l’altissima esposizione mediatica di esponenti del mondo della scienza e della sanità latu sensu. Virologi, epidemiologi e primari non sono stati chiamati solo per una forma di “spettacolarizzazione della scienza”, ma anche e soprattutto perché sentivamo il bisogno di informazioni certe.
Anche se tra loro spesso divisi, beati monoculi in terra caecorum, la loro competenza è stata in ogni caso un prezioso appiglio di certezze in un contesto pieno di dubbi, paure e incertezze.
Secondo lo stesso principio, il bisogno di informazioni certe ha dato un duro colpo alla disinformazione che circolava (e, beninteso, continua a circolare) sui social network.
In questo contesto, infatti, anche il mondo dell’informazione ha raccolto le conseguenze della “rivincita della competenza”.
Attendere è la migliore strategia
Di certo, la strategia migliore per valutare l’impatto di un “cigno nero” come l’attuale pandemia sulla società italiana, probabilmente, è attendere. Attendere, prima di tutto, che l’emergenza passi, ma anche che la coscienza collettiva sedimenti il cambiamento trasformandolo in nuove abitudini, quella “nuova normalità” di cui spesso parliamo e che ancora, verosimilmente, non siamo in grado di rappresentare.
Tra qualche anno, passata la connessione emotiva con gli aspetti drammatici dell’emergenza sanitaria, probabilmente avremo la lucidità per analizzarne le conseguenze sul nostro rapporto con la realtà, in ogni sua declinazione. Avremo abbandonato i drammatici bollettini quotidiani e allora, liberi dal peso della paura, studieremo il modo in cui questa emergenza sanitaria ha trasformato le nostre vite.
Cosa sarà cambiato? Proviamo a fare degli esempi futuribili: forse il nostro rapporto con l’igiene, cui dedicheremo attenzioni ancora maggiori di quanto non facessimo prima, o anche la nostra attenzione nel contatto con le persone che non conosciamo, o magari le nostre consuetudini a bordo di mezzi pubblici di trasporto e lo stesso rapporto che svilupperemo con il concetto di mobilità. È possibile che, grazie agli strumenti digitali, considereremo l’ipotesi di spostarci da una città all’altra solo nel caso di riunioni importanti, e avremo una maggiore propensione a considerare lo strumento digitale non un surrogato ma un sostituto del contatto fisico, soprattutto nei rapporti di lavoro.
Un’opinione più consapevole
Da un lato, l’eccessiva mole di informazioni, molte delle quali non vere né verificate, ha spinto in molti a tornare a ricercare le notizie più importanti attraverso i canali ufficiali e le fonti di informazione verificate. Dall’altro, la nostra nuova abitudine a praticare quotidianamente analisi statistiche e trend numerici ci ha abituati ad associare un’informazione a un numero, a un sopporto oggettivo che le desse concretezza e ne certificasse il senso.
Insomma, ci siamo abituati a verificare le notizie e a dare un occhio a fonti e numeri prima di decidere se accettarle o meno. Come abbiamo già commentato insieme in rapporto alla diffusione dei vaccini e alla pronta risposta degli italiani dopo la potenziale “tempesta perfetta” degli effetti collaterali, i primi segnali indicano un’opinione più consapevole delle informazioni che riceve e capace di discriminarle di più e meglio.
Conclusioni
La domanda a questo punto è: e i social? Perdono appeal? Probabilmente no, anzi. I cittadini continuano a fidarsi, e molto, dei social network, ma sanno che su Facebook, Twitter, Instagram & co esiste l’informazione fatta bene, affidabile e sicura, e la disinformazione, pericolosa e capace di creare danni.
Abbiamo sviluppato gli anticorpi contro la disinformazione? Probabilmente no, ma forse abbiamo scoperto che la competenza, raccontata bene, è il vaccino.