Crescere con il digitale oggi si può mettendo in sinergia competenze, ricerca, nuove opportunità formative, per un orizzonte di crescita che sia aperta, libera e altamente competitiva, grazie anche all’accelerazione che darà l’Intelligenza Artificiale. Come è stato negli anni Sessanta, quando il boom economico è stato sostenuto dalla Legge 1859 del 1962 che introdusse l’obbligo di scuola media inferiore per l’alfabetizzazione di massa, così oggi un Paese che vuole essere competitivo e responsabile per l’economia del futuro deve puntare sulle “competenze digitali” assumendole come “competenze di cittadinanza”.
Soft skill vs. hard skill
Oggi le competenze digitali sono diventate una condizione per trovare lavoro e per restare al lavoro. E mentre le generazioni nate dopo il 1980 sono arrivate già dotate di skill digitali, perché si sono formate in un contesto a crescente digitalizzazione e interconnessione, le generazioni precedenti, che sono ancora nel mercato del lavoro, devono essere supportate. Le persone dai quaranta ai sessant’anni sono il target di un’alfabetizzazione digitale di massa perché possano rimanere occupati oggi e occupabili per tutta la loro vita lavorativa. Tra l’altro non bastano più solo le soft skill (autonomia, fiducia in sé stessi, flessibilità, resistenza allo stress, precisione, capacità organizzative) ma servono anche hard skill digitali, che si sviluppano attraverso percorsi strutturati.
Per far fronte a questa sfida, serve un approccio formativo coerente, che si caratterizza per tre elementi costitutivi:
- “Modello Lego”. i veloci cambiamenti in atto spingono le persone adulte verso la “formazione ricorrente”, intesa come brevi percorsi formativi, centrati su una o poche skill, che si aggiungono al portafoglio di competenze posseduto. Questo approccio ha delle assonanze con l’aggiunta di uno o più mattoncini a una costruzione Lego già creata ed è esattamente ciò che serve per accompagnare milioni di persone nel mantenimento della propria occupabilità.
- “Plug&Play”. L’attività formativa è centrata sullo sviluppo di skill, che sono immediatamente spendibili nell’attività lavorativa.
- “Riconoscibilità”. La diffusione delle “micro-credenziali”, che certificano il possesso di una certa skill, rende riconoscibili le skill e anche per questa via aumenta l’occupabilità.
Anche per questo la realtà italiana, da Nord a Sud indistintamente, ci dice che in tutte le classi dimensionali, dalle piccole alle grandi imprese, aumenta velocemente la domanda di competenze digitali.
Lavoro: due persone su tre devono avere competenze digitali
Il campo della ricerca sulle competenze digitali – esplorato grazie alla collaborazione di InfoCamere che ha analizzato i dati dell’indagine Excelsior di Unioncamere e Anpal – è molto vasto e ha preso in considerazione sei anni di evoluzione della domanda di lavoro di aziende di diverse dimensioni e in tutta Italia.
Dal 2017 al 2022, la domanda di lavoro per la quale è richiesto il possesso della capacità di utilizzare “competenze digitali” è passata dal 57,7% al 64% (+11%). Nello stesso periodo, è rimasta sostanzialmente stabile quella relativa ai “linguaggi matematici e informatici” (da 50,9% a 51,9%), mentre è cresciuta in modo contenuto quella relativa all’applicazione di “tecnologie 4.0” (da 34,2% a 37.5%).
Di fatto, per due persone su tre, il possesso di competenze digitali è una condizione “sine qua non” per essere occupabili. Il dato che balza agli occhi è quello che della classe aziendale di dimensioni da 50 a 499 dipendenti, dove si registra un incremento di posizioni con il possesso di competenze digitali (da 61,7% nel 2017 a 67,9% nel 2022) e un decremento di quelle in cui si richiedono capacità di utilizzare linguaggi matematici e informatici (da 54,3% a 52,8%).
Va anche sottolineato che tra il 2017 e il 2022, c’è di mezzo la pandemia da Covid 19, che è stata un’occasione “forzata” per un grande apprendimento di massa e che potrebbe essere un riferimento concreto di come procedere ottimizzando risorse e evitando errori.
La polarizzazione delle maestranze
Le macchine fanno sempre di più lavori che facevano le persone e questo sembra produrre un “effetto spiazzamento”: ovvero, quando si digitalizzano alcuni processi, alcune attività cognitive vengono internalizzate dalle macchine e non richiedono più uno sforzo umano per la loro elaborazione, analisi e interpretazione.
I dati mostrano un “andamento asimmetrico”: alla diminuzione o stasi della richiesta di esperti di “linguaggi matematici e informatici” corrisponde una crescita a favore delle “competenze digitali”. Come si spiega? Se in passato “i calcoli” li facevano le persone, oggi sono eseguiti dalle macchine, dall’Intelligenza Artificiale, pertanto – paradossalmente – alle persone è richiesto uno sforzo inferiore per accedere a certi mestieri.
Questo fenomeno ha una doppia valenza: da un lato, è un fattore positivo, perché uno sforzo inferiore per accedere a certi mestieri e quindi rende “occupabili” nelle attività più semplici e “povere” (perché la componente più complessa è fatta dalle “macchine”); dall’altro, questo fenomeno può generare una crescente “polarizzazione” nel mercato del lavoro, tra chi sarà capace di acquisire anche complessi “linguaggi matematici e informatici” e potrà essere impiegato nelle attività a maggior impegno cognitivo e chi no.
“Sbarbatelli impertinenti” e over 50 in difficoltà
Per le posizioni manageriali o apicali è dato per scontato che si abbiano “competenze digitali” e conoscenza dei “linguaggi matematici e informatici”, ma dato l’inverno demografico che viviamo è certo che il gap tra domanda e offerta di lavoro si presenta con un gap che non è colmabile col susseguirsi delle generazioni. Lo scenario è pieno di insidie. I giovani in possesso di “competenze digitali” accedono a posizioni apicali, ma trovano sempre più over 40-50enni in difficoltà, ma con lunga esperienza di lavoro, e questo può determinare un clima aziendale di contrasti tali da deprimere anche le performance dell’impresa stessa.
Le ricerche recenti parlano di “whippersnappers”- sbarbatelli impertinenti – che scavalcano colleghi più attempati, ma con minori o senza skill digitali. Una “situazione esplosiva” se non sarà affrontata con urgenza. In altri ambiti, invece, il calo della domanda di sapersi destreggiare con “linguaggi matematici e informatici” riguarda le posizioni più operative proprio perché, queste, vengono incorporate dalle macchine.
Commercio settore più a rischio
Dalla lettura settoriale dell’analisi condotta da InfoCamere, il Commercio risulta essere quello più sotto pressione. È quello che mostra il bisogno di inserire rapidamente “dosi massicce” di personale in possesso sia di “competenze digitali” sia di “linguaggi matematici e informatici”. Gap che può essere colmato soltanto “iniettando” competenze alle persone che già lavorano nel comparto perché il ricambio generazionale non è sufficiente. Il rischio concreto che il Commercio sta correndo è la perdita di un certo numero di imprese piccole che, nell’impossibilità di trovare i profili richiesti dovranno posticipare o annullare i piani di innovazione (digitale) del loro sistema di offerta.
Per completezza, va anche detto che l’inserimento di figure con un profilo di competenze di questo tipo genera un effetto trascinamento, ovvero si trascina dietro la necessità di adeguare le pratiche gestionali e manageriali di queste imprese: e questa è una sfida sia per la comunità imprenditoriale sia per le rappresentanze datoriali.
Le competenze digitali servono in tutto il paese
Il dato che balza agli occhi è quello della classe 50-499 dipendenti, dove si registra un incremento di posizioni con il possesso di competenze digitali (da 61,7% nel 2017 a 67,9% nel 2022) e un decremento di quelle in cui si richiedono capacità di utilizzare linguaggi matematici e informatici (da 54,3% a 52,8%). Questo perché nelle imprese più piccole potrebbero esserci ancora processi a maggiore contenuto di lavoro umano in cui il trade off tra calcolo e giudizio è ancora in corso.
Dal punto di vista dei territori, il quadro che emerge è abbastanza omogeneo, nel senso che non si ravvisano sostanziali differenze tra le aree geografiche, Sud e Isole, Nord, Centro. L’omogeneità è almeno in parte spiegata dalle vocazioni settoriali dei territori. Ad esempio, il Lazio ha una forte vocazione per i servizi, che si specchia nella richiesta elevata di “competenze digitali”, così come avviene per il Nord e il Sud per le aziende. La domanda di competenze digitali, ad esempio, in Campania è del 65,2% superiore anche al Veneto (63,4%) e all’Emilia-Romagna (63,3%).
In sei anni, grandi svolte
Il sessennio 2017-2022 è di particolare interesse sul fronte della domanda di competenze, per diverse ragioni. Quando arriva il 2017, sono passati 6 anni da quell’aprile 2011, quando alla fiera di Hannover viene usato il termine tedesco «Industrie 4.0», un concetto ombrello sotto il quale c’è un esteso programma di introduzione delle tecnologie digitali nei processi manifatturieri. È il punto di avvio della cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale, che prima ci ha aperto le fabbriche intelligenti e ha trasformato intere filiere produttive e poi si è estesa a tutti i meandri della società, cambiando per sempre i nostri comportamenti. Il Governo italiano vara il Piano Nazionale Industria 4.0, che è stato lo strumento-guida per le tante imprese italiane che hanno intuito le potenzialità della digitalizzazione e hanno avuto la visione per realizzarla. Tra il 2017 e il 2022, c’è di mezzo la pandemia da Covid 19 del 2020, che è stata un’occasione forzata per un grande apprendimento di massa. In più, a metà del guado c’è quell’aprile 2021, quando il Governo italiano presenta in via ufficiale alla Commissione UE il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR), che include un pacchetto coerente di riforme e investimenti per il periodo 2021-2026. Si tratta di 222,1 miliardi di euro (buona parte a debito), di cui 40,3 (18,1%) per la trasformazione digitale e l’innovazione e altri 59,5 (26,8%) per la rivoluzione verde e la transizione ecologica.
Conclusioni
La road map della transizione digitale italiana è a un punto cruciale. La svolta vera potrà arrivare quando il digitale riuscirà a prendere forma e sostanza nel quotidiano delle persone. Piuttosto che azioni rivolte a questo o quel settore dell’economia o della Pubblica amministrazione, per ridurre il gap digitale con gli altri Paesi è indispensabile elaborare una visione condivisa di Paese. La priorità è avviare un processo che metta la componente digitale al centro di un rinnovamento culturale diffuso che miri ad allargare la base dei cittadini – soprattutto quelli che fanno impresa – con competenze digitali adeguate.
Negli ultimi dieci anni, le cariche di governo nelle imprese del nostro Paese sono cresciute di circa 125mila unità, ma nelle stanze dei bottoni dell’azienda-Italia ci sono sempre meno giovani e sempre più over50. Una doppia sfida in cui le difficoltà di alfabetizzare i boomers al digitale non devono nascondere quelle di valorizzare i nativi digitali. La presenza di questi ultimi in posizioni-chiave nelle imprese sarà determinante per costruire un Paese più moderno e competitivo. Sono loro, infatti, la prima generazione nella storia nata e cresciuta in una modalità di full immersion digitale. Ma, come ha osservato Luciano Floridi, i cosiddetti millennials più che portatori di competenze, sono portatori di aspettative digitali: verso un mondo che by design deve offrire soluzioni digitali alle esigenze quotidiane. Queste aspettative vanno riempite di contenuto, offrendo percorsi educativi adeguati durante gli studi e opportunità di lavoro corrispondenti a vocazioni coltivate e competenze acquisite.
Nota metodologica
Lo studio – realizzato nell’ambito dell’11ma edizione del Digital Meet – il Festival del digitale italiano, promosso da Fondazione Comunica – analizza i principali risultati dell’analisi della domanda di competenze digitali in Italia nelle imprese per il periodo 2017-2022. L’elaborazione è stata condotta dal team di Analisi Evoluta del Dato di InfoCamere utilizzando i dati del Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere-ANPAL.
L’indagine ha riguardato in particolare le entrate previste dalle imprese nel periodo osservato e che richiedevano nei candidati: capacità di utilizzare linguaggi e metodi matematici e informatici; capacità di utilizzare competenze digitali; capacità di applicare tecnologie 4.0.