Alcune recenti pubblicazioni di studi e sondaggi consentono di focalizzare l’attenzione su diversi cambiamenti in atto, dall’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale (IA) nel contesto lavorativo ai criteri di valutazione dei selezionatori delle aziende all’approccio dei giovani verso l’informazione, la disinformazione e l’IA. Ma andiamo con ordine.
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Le attività nelle aziende con l’IA
Anthropic, startup americana di IA, ha avviato una serie di studi volti a comprendere gli effetti dell’IA sui mercati del lavoro e sull’economia nel corso del tempo. Il primo lavoro “Which Economic Tasks are Performed with AI? Evidence from Millions of Claude Conversations” utilizza una metodologia empirica, basandosi sull’analisi di milioni di conversazioni reali su Claude.ai.
I principali riscontri di questo studio sono:
- l’uso dell’IA è più concentrato nello sviluppo software e nella documentazione tecnica;
- circa il 36% delle occupazioni mostra un utilizzo dell’IA in almeno un quarto delle attività associate. Solo il 4% delle occupazioni utilizza l’IA per almeno il 75% delle attività;
- l’IA è utilizzata maggiormente per l’aumento delle capacità umane (57%) rispetto all’automazione (43%);
- l’uso dell’IA è più diffuso nelle occupazioni con salari medio-alti, come programmatori e data scientist, ma è meno frequente nelle posizioni con salari più bassi o più alti.
Naturalmente l’analisi è limitata anche dalla base di dati osservata, e vengono riconosciute diverse limitazioni, tra cui la potenziale inaccuratezza nella classificazione delle attività e la mancanza di informazioni sull’effettivo utilizzo degli output dell’IA da parte degli utenti, ma i risultati sono comunque significativi.
Tra le considerazioni finali una mi sembra particolarmente interessante, relativa all’approccio all’uso dell’IA. L’analisi evidenzia infatti la distinzione tra gli utenti che utilizzano i sistemi di intelligenza artificiale per automatizzare completamente le attività, e coloro che li utilizzano come strumenti collaborativi che migliorano le loro capacità. Questa differenza è importante sia per i lavoratori che per la produttività. Come emerge dall’analisi e da diversi studi, quando l’intelligenza artificiale è utilizzata come partner per aumentare le capacità anziché da sostituto, si riscontra un miglioramento della produttività, mantenendo al contempo un coinvolgimento significativo degli individui nel loro lavoro. Questo approccio può certamente essere da base per (re)indirizzare le priorità delle policy sull’evoluzione dell’IA, supportando ad esempio lo sviluppo di sistemi collaborativi di IA, garantendo al contempo anche un’adeguata preparazione lì dove si ritiene che l’automazione possa essere socialmente più vantaggiosa.
Un ingrediente fondamentale per poter favorire nelle organizzazioni la consapevolezza necessaria per realizzare un approccio che favorisca politiche per l’aumento di capacità con l’IA e la complementarietà tecnologica invece che verso la sostituzione è la presenza diffusa di competenze digitali, in particolar modo competenze avanzate.
Così, in questo quadro è interessante capire come stanno cambiando i criteri per le selezioni e le assunzioni nelle organizzazioni, e quindi il peso crescente delle competenze digitali avanzate.
Il peso delle competenze digitali avanzate nei processi di selezione
Su questo fronte è molto significativa la recente indagine dal titolo “Digital economy, technological competencies and the job matching process” realizzata dalla Fondazione Bruno Kessler e dall’Università di Trento su tre contesti europei, Germania, Italia e Regno Unito, che rappresentano diversi sistemi di istruzione e mercato del lavoro. Utilizzando un sondaggio online, è stato chiesto a circa 700 manager per Paese, responsabili delle decisioni di assunzione nella propria organizzazione, di valutare candidati ipotetici con diversi livelli di competenze digitali, istruzione e altre caratteristiche socio-demografiche, su diversi tipi di lavori, simulando così il processo di assunzione.
I risultati mostrano che avere competenze digitali più avanzate aumenta significativamente l’occupabilità in diversi profili lavorativi, sia per lavori di alto che di medio livello. In particolare, mentre il possesso di competenze digitali di base è ormai una precondizione, e avere competenze intermedie aumenta la probabilità di essere assunti del 2,7% in una situazione di allineamento tra profilo ricercato e qualifiche del candidato, il possesso di competenze digitali avanzate aumenta la probabilità del 7,1% anche in situazioni dove il candidato ha meno qualifiche di quanto richiesto. Le competenze digitali avanzate aumentano l’occupabilità più dell’istruzione terziaria, soprattutto nel Regno Unito, mentre in Germania e Italia, il conseguimento di un’istruzione formale continua ad avere un forte impatto sull’occupabilità, a meno che non si tratti di competenze digitali avanzate, che hanno comunque un effetto positivo. È interessante notare che un livello avanzato di competenze digitali migliora l’occupabilità persino più di una qualifica classica come il livello di istruzione.
Sono da considerare comunque le dinamiche diverse presenti nei Paesi esaminati. In Germania, il sistema di istruzione duale rende i titoli di studio e le certificazioni un elemento centrale nella selezione dei candidati. In Italia, il tessuto economico, costituito principalmente da micro e piccole imprese (spesso a conduzione familiare) che operano principalmente in settori a bassa tecnologia come la subfornitura nel settore manifatturiero o i servizi a bassa intensità di conoscenza, tende ancora a fare più affidamento sull’istruzione formale come principale segnale per la previsione di correlazione con la produttività del lavoro. Lo studio evidenzia anche che in settori in rapida evoluzione, come la tecnologia e l’IA, c’è spesso un’elevata domanda di competenze iper-specifiche, e se un lavoratore possiede le competenze digitali più recenti e richieste, può essere assunto anche con un livello inferiore di istruzione formale, privilegiando la possibile risposta nel breve all’esigenza di business.
Come valutare i risultati di questo studio? Una considerazione è che diventa sempre maggiore la necessità di attenzione all’integrazione istituzionale del processo di incontro tra domanda e offerta di lavoro, nella consapevolezza che, in tempi di cambiamento tecnologico sostenuto, questa integrazione è dinamica. E come tale richiede un monitoraggio continuo per garantire tempestività e flessibilità del sistema educativo, allo stesso tempo evitando di rimanere abbagliati dai trend mediatici ed estemporanei.
Sviluppare le competenze digitali avanzate nelle scuole e nelle università
In questo contesto è di grande rilievo il lancio di Edvance, primo Digital Education Hub italiano per l’istruzione superiore dedicato alla cultura digitale avanzata, frutto della collaborazione tra Università, Conservatori e Accademie. Edvance è un progetto finanziato dall’Unione europea – Next Generation EU nell’ambito del bando PNRR, Missione 4, Componente 1, Investimento 3.4 “Didattica e competenze universitarie avanzate” e vede la partecipazione di 17 università italiane e AFAM, per un unico ecosistema digitale a supporto dell’apprendimento che aggrega l’offerta di tutte le università partner, in un portale hub accessibile a tutti.
Edvance si colloca nell’ambito delle iniziative necessarie a favorire lo sviluppo di competenze digitali avanzate, con facile accesso per tutti e in una logica di apprendimento permanente, con diversi elementi significativi e caratterizzanti:
- centinaia di insegnamenti online di qualità e gratuiti per la formazione sulle competenze digitali avanzate (Data literacy, Intelligenza Artificiale, Sostenibilità Digitale) di studenti e lavoratori;
- previsione di microcredenziali e open badge per favorire la spendibilità della formazione in ambito professionale e curriculare;
- approccio transdisciplinare rispetto a scienze della vita, economia, ingegneria, sociologia, design e arti, con forte integrazione dell’Intelligenza Artificiale a supporto dell’apprendimento per studenti e lavoratori,
- collaborazione strutturata con il mondo delle imprese per garantire un’offerta formativa attenta al mercato del lavoro in evoluzione;
- formazione per docenti ed educational technologist su metodi e strumenti per la formazione digitale ed ibrida, con un focus particolare sull’intelligenza artificiale e l’open education.
L’iniziativa va quindi nella direzione dell’apprendimento permanente e dello sviluppo di quelle competenze digitali avanzate che diventano sempre più differenzianti e ricercate nel mondo del lavoro.
Ma i giovani come si stanno avvicinando all’uso dell’IA? E con quanta consapevolezza digitale?
Giovani, IA e disinformazione
Dati interessanti in questo contesto emergono dall’indagine Eurobarometer Youth 2024 , di recente pubblicazione, che ha coinvolto giovani tra 16 e 30 anni di tutti i paesi dell’UE su diversi temi.
Nel contesto della nostra analisi emergono come elementi di particolare significatività:
- l’uso di applicazioni basate sull’IA, rilevante. Infatti, il 57% dei giovani intervistati, con grande prevalenza nella fascia 16-24, ha risposto di averlo fatto negli ultimi 12 mesi (59% la quota degli italiani), soprattutto a scopo di studio e ricerca (selezionato dal 36% degli intervistati, 50% la quota degli italiani), oltre che di intrattenimento (29%, 35% la quota degli italiani), seguito da vicino dall’assistenza nei compiti scolastici e dal lavoro creativo;
- le principali fonti di informazioni su questioni politiche e sociali, che vedono prevalere le piattaforme di social media (menzionate dal 42% degli intervistati), in particolare Instagram, TikTok, Youtube, sebbene seguite da vicino dalla TV (selezionata dal 39%). Le tre fonti successive sono menzionate ciascuna da circa uno su quattro intervistati: stampa online e/o piattaforme di notizie (26%), amici, familiari o colleghi (25%) e piattaforme video (ad esempio YouTube, ecc.). Tra gli intervistati italiani prevale ancora la TV (52%) rispetto ai social media (44%), come succede nella media UE per la fascia d’età 25-30;
- l’esposizione a disinformazione e fake news che è percepita come rilevante. Una significativa maggioranza (76%) dei giovani ritiene, infatti, di essere stata recentemente esposta a disinformazione e fake news. In nove paesi dell’UE, più della metà degli intervistati dichiara di essere stata esposta a disinformazione “spesso” o “molto spesso”, con le percentuali più elevate (sopra il 50%) da Malta, Ungheria, Grecia, Lussemburgo e Belgio. Al contrario, la quota di coloro che ritengono di non essere mai stati esposti a disinformazione e fake news è più alta in Romania (19%), seguita dalla Bulgaria (11%). L’Italia si colloca in posizione mediana, con il 40%.
La maggior parte dei giovani dichiara di sentirsi sicura di saper riconoscere la disinformazione: il 18% si sente “molto sicuro” (16% in Italia) e il 52% “abbastanza sicuro”. (55% in Italia) Meno di un intervistato su cinque dichiara di non sentirsi sicuro (il 22% “non molto sicuro” e il 4% “per niente sicuro”).
Spunti di riflessione
Rileviamo pertanto che, soprattutto nella fascia 16-24 anni e nonostante ci sia tra i Paesi ancora un divario in termini di competenze digitali, il trend sembra consolidarsi verso un uso sempre maggiore dell’IA per esplorare, migliorare e aumentare le proprie capacità, il che si associa positivamente con i risultati degli studi che abbiamo fin qui brevemente analizzato. Un trend certamente da favorire, tenendo però in primaria attenzione la necessità di privilegiare l’uso dell’aumento di capacità rispetto alla sostituzione da automazione e che un fattore fondamentale per favorire questo approccio è la presenza di consapevolezza digitale, che si intreccia fortemente con il mantenimento della capacità di formarsi un’opinione in questo contesto così fortemente esposto, come percepito dalla maggioranza.
Non è un caso che a commento del rapporto dell’Eurobarometer la presidente del Parlamento UE Metsola abbia affermato che “Il panorama dell’informazione sta cambiando rapidamente. Poiché la maggior parte dei giovani si informa prevalentemente sui social media, i politici e le piattaforme dei social media hanno una responsabilità particolare nel combattere la crescente disinformazione”. E noi, la società, abbiamo una responsabilità nel pretenderlo e nel definire strumenti perché questo accada. Anche per questa ragione la diffusione delle competenze è fondamentale.