Non solo l’Italia, ma l’intera Ue soffre quanto a competenze digitali.
E’ una delle evidenze, su cui probabilmente non si è ancora riflettuto abbastanza, del report Digital Decade della Commissione Ue, uscito da poco.
Già, nonostante ci siano Paesi con performance d’eccellenza, l’Europa è ancora lontana dagli obiettivi fissati per i due indicatori principali: 80% della popolazione europea con competenze digitali almeno di base e 20 milioni di specialisti ICT (circa 10% degli occupati). E se lo analizziamo in dettaglio vediamo che il problema non si può ricondurre ad alcune prestazioni locali non all’altezza delle esigenze e delle ambizioni. Di più, è un problema di metodo e di sistema, e come tale è utile che sia affrontato (e il Rapporto fornisce diversi elementi per questo approccio).
La situazione europea
Alcuni aspetti sono evidenziati dal Rapporto rispetto al profilo della popolazione che non ha competenze digitali (secondo il framework DigComp 2.2), circa il 44% della popolazione europea:
- non è una questione (solo) di età, in quanto anche i giovani 16-24 anni sono presenti in quantità non trascurabile (circa il 30%), ma certamente è da considerare con attenzione il 72% di popolazione tra 65 e 74 anni che non ha competenze digitali;
- è una questione (anche) di mezzi e infrastrutture e quindi di opportunità, per cui è penalizzata la popolazione che vive nelle aree rurali;
- è una questione di livello di istruzione, di cultura generale, di competenze possedute, e lo mostrano le disparità nelle competenze digitali almeno di base tra gli individui con un livello elevato di istruzione formale (79,8%) e quelli con un livello di istruzione formale basso o assente (33,6%). Un divario di 46,2 punti percentuali. A questo si associano anche le regressioni che si sono osservate nelle rilevazioni Ocse sulle competenze degli adulti (PIAAC) e degli studenti (PISA), che tracciano le direttrici di un percorso che deve essere intrapreso in modo organico a livello di sistema educativo e, purtroppo, in gran parte appare non adeguatamente governato;
- è sempre più una condizione essenziale per il lavoro ma, in un critico circolo vizioso, avendo come possibile contesto non positivo la condizione sociale ed economica, rischia di innestare una tendenza ad incrementare divaricazioni e disuguaglianze sociali.
Eppure, ed è chiaro, ne va della sostenibilità della società e della stessa democrazia. È una spia della salute sociale, culturale, economica della società europea, vista come il macrocontesto interconnesso in cui viviamo.
Nessuno deve restare indietro
Nei termini evidenziati dal Rapporto, infatti, garantire un accesso equo alle competenze digitali e la formazione è quindi fondamentale per evitare che qualcuno venga lasciato indietro nella rivoluzione digitale. “Questo imperativo è in linea con il principio 20 del pilastro europeo dei diritti sociali, che sottolinea l’accesso universale ai servizi essenziali, comprese le comunicazioni digitali, e sostiene misure di sostegno per chi ne ha bisogno. È inoltre in sintonia con il Principio 1, il quale afferma che ogni individuo ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente inclusivi e di alta qualità, al fine di acquisire e mantenere competenze che consentano loro di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo i cambiamenti nel mercato del lavoro. La necessità di affrontare il divario digitale è sottolineata nella Dichiarazione europea sui diritti digitali e sui principi per il decennio digitale, che sottolinea il diritto di tutti all’istruzione, alla formazione e all’apprendimento permanente, come previsto dall’articolo 14 della “Carta dei diritti fondamentali del Unione Europea”.
Competenze digitali, diritto di tutti
Quindi non si tratta di competenze accessorie e facoltative, ma necessarie e obbligatorie. Diritto (e impegno) di tutti. Se in Ue il 44% di popolazione non ha queste competenze è un problema che non si può delegare (solo) ai singoli Paesi.
I Paesi Bassi e la Finlandia hanno già raggiunto e superato l’obiettivo dell’80% previsto per il decennio digitale 2030, mentre alcuni Stati membri (ad esempio la Romania) sono notevolmente indietro, con circa il 28% della popolazione target che dichiara almeno competenze digitali di base. Ma noi dobbiamo guardare al 44% che manca e al fatto che in un biennio la percentuale è migliorata solo per l’1,7%. Di questo passo ci vorrà più del doppio degli anni che ci separano dal 2030, quando si potrebbe arrivare solo al 60%, se non si interviene prontamente con azioni di miglioramento.
La situazione in questo campo sembra stagnante (e non si incrementa globalmente la formazione in ambito lavorativo su questo tema) anche se ci sono dei miglioramenti, ad esempio sulla convergenza di genere, dove nell’ultimo periodo si osserva un incremento maggiore nella popolazione femminile di persone con competenze digitali almeno di base.
Ma non basta: ci vuole, chiaramente, un nuovo approccio, innovativo, per cambiare ritmo di crescita. E bisogna partire dai dati.
Quale approccio per invertire la rotta
Per questa ragione è molto interessante il report pubblicato di recente dal Joint Research Centre sulle politiche di sostegno per affrontare il divario di competenze digitali con un elenco dei nove gruppi a cui bisogna dare la massima priorità: giovani di età compresa tra 16 e 24 anni, con un basso livello di istruzione formale e NEET (di età compresa tra 16 e 35 anni senza lavoro, istruzione e formazione); individui di età compresa tra 55 e 64 anni; individui di età compresa tra 25 e 64 anni con un livello di istruzione formale di basso livello; individui di età compresa tra 25 e 64 anni con un’istruzione formale di livello medio; individui disoccupati; individui inattivi; cittadini di paesi extra-UE; individui che vivono in aree rurali; individui impiegati in occupazioni semi-qualificate e poco qualificate.
Un altro elemento interessante per valutare il tipo di approccio più efficace è quello fornito dall’Eurobarometro 2024, in cui si rileva che il 72% degli intervistati ritiene che una maggiore istruzione e formazione per sviluppare le proprie competenze nell’uso dei servizi digitali faciliterebbe in modo significativo l’uso quotidiano delle tecnologie digitali, e il 74% pensa lo stesso riguardo al ricevere supporto umano per aiutarli ad accedere e utilizzare le tecnologie e i servizi digitali. Quindi accesso più semplice alla formazione, ma anche formazione mirata e personalizzata.
Lo stato delle roadmap nazionali per il decennio digitale
Come si evince dalla documentazione del report, ventisei Stati membri hanno fornito una traiettoria per raggiungere l’obiettivo relativo alla popolazione con almeno competenze digitali di base. La maggior parte dei valori obiettivo nazionali ipotizzati per il 2030 sono in linea con il valore obiettivo dell’UE. Otto Stati membri hanno ipotizzato un valore obiettivo inferiore al valore obiettivo dell’UE (tra cui l’Italia, poiché ha scelto di non inserire previsioni su azioni ancora non definite e finanziate oltre il 2026) e 3 Stati membri (Spagna, Finlandia e Paesi Bassi) hanno assunto un valore obiettivo superiore al valore obiettivo dell’UE. La Bulgaria è l’unico Stato membro che ha esplicitamente fatto riferimento al raggiungimento dell’equilibrio di genere per questo obiettivo.
Le misure previste
Gli Stati membri hanno segnalato un totale di 292 misure che contribuiscono al raggiungimento di questo obiettivo, con un bilancio totale di 24,8 miliardi di euro. Circa il 55% di questo budget proverrà da fonti comunitarie, circa il 40% da fonti nazionali e il restante 5% da fonti regionali.
Le misure previste si dividono principalmente tra azioni per le competenze digitali nell’istruzione formale, anche per migliorare le competenze digitali di studenti e insegnanti e fornire infrastrutture/risorse digitali per l’apprendimento; azioni per l’inclusione digitale, anche per migliorare le competenze digitali dei gruppi vulnerabili; azioni per le persone attualmente occupate, compresi ampi programmi di miglioramento delle competenze e di riqualificazione, nonché iniziative specifiche (ad esempio, per i dipendenti pubblici e i dipendenti delle PMI) per la governance e altre iniziative di supporto, comprese iniziative a sostegno di un ecosistema di competenze e attività di monitoraggio e valutazione relative alle competenze digitali.
Valutazioni e prospettive
Come sottolinea il rapporto, il divario delle competenze digitali rischia di ampliare le disuguaglianze esistenti. Con la rapida evoluzione della tecnologia, le persone prive di competenze digitali adeguate potrebbero avere difficoltà a ottenere un impiego o potrebbero essere costrette ad accettare lavori meno retribuiti, oltre che avere difficoltà nell’esercitare i propri diritti sociali e in genere di cittadinanza.
Per fronteggiare questa situazione, anche valutando non ancora sufficiente lo sforzo dei singoli Stati Membri, la commissione Ue ha messo in campo diverse iniziative di grande respiro, come il Piano di educazione digitale, la Coalizione europea per le competenze digitali con la sua piattaforma di condivisione a cui tutte le piattaforme nazionali sono connesse (incluso il sito Repubblica Digitale, piattaforma della Coalizione italiana), l’agenda per le competenze, e iniziative l’anno europeo delle competenze. Sarebbe però utile spingere di più sulla co-progettazione di iniziative-programma che possano sostenere nei singoli Paesi un approccio validato come efficace dalle esperienze realizzate, costruendo anche una rete di interscambio di pratiche e strumenti. Già la Coalizione europea si sta muovendo in questo senso, ma forse è necessario che questo metodo di azione in rete e in coprogettazione diventi strutturale, anche supplendo alla natura molto eterogenea delle diverse Coalizioni nazionali, pur nell’ambito dell’autonomia organizzativa dei Paesi.
In questo contesto le Coalizioni nazionali potrebbero rappresentare, con un ruolo di coordinamento della rete delle iniziative nazionali e luogo di confronto e coprogettazione europeo, il cardine per un approccio capillare, multistakeholder e insieme organico e agile, in forte connessione e sinergia con le istituzioni nazionali e territoriali, che in diversi casi sono già presenti nei Board di guida delle Coalizioni, come è il caso, ad esempio, di Italia e Grecia.
La carenza di specialisti ICT che penalizza le aziende
Come sottolinea il Rapporto, nell’UE siamo ancora di fronte a un sostanziale divario di competenze digitali avanzate. Le aziende si trovano ad affrontare una crescente concorrenza per i talenti con competenze digitali, in particolare le piccole e medie imprese. Oltre alla significativa carenza di specialisti ICT, l’UE si trova ad affrontare anche un significativo divario di competenze digitali nelle professioni più tradizionali non legate alle ICT. Gli esempi includono specialisti di settore necessari per sbloccare il potenziale delle soluzioni digitali innovative nella transizione verde al fine di mantenere la competitività dell’UE nella prossima economia a zero emissioni di carbonio.
Negli ultimi anni sono stati compiuti progressi significativi nella presenza di specialisti ICT. Il numero di specialisti ICT impiegati nell’UE è aumentato tra il 2014 e il 2023 di quasi il 55%. Nel 2023, quasi 9,8 milioni di specialisti ICT contribuivano all’occupazione nell’UE (un aumento del 4,1% rispetto al 2022). Tuttavia, questo valore è ancora ben al di sotto dell’ambizioso obiettivo del Decennio Digitale di 20 milioni di specialisti ICT impiegati nell’UE entro il 2030.
Impiegare 20 milioni di specialisti ICT nell’UE entro il 2030 equivale al 10% dell’occupazione totale dell’UE, ma nel 2023 solo il 4,8% circa dell’occupazione totale dell’UE lavorava come specialisti ICT (0,2 punti percentuali in più rispetto al 2022, praticamente stabile).
Specialisti delle ICT: il divario tra gli Stati Ue
Inoltre, è da considerare che vi sono differenze sostanziali tra gli Stati membri, con la Svezia che è vicina al raggiungimento dell’obiettivo del decennio digitale per gli specialisti delle ICT, ma altri Stati membri sono chiaramente in ritardo.
E le prospettive, se non si cambia l’approccio, non sono molto positive: confrontando l’evoluzione del numero di specialisti in TIC nell’UE, e la traiettoria di riferimento stimata per il futuro sulla base di dati storici emerge che, nel 2023, l’UE aveva 0,9 milioni di dipendenti al di sotto del valore necessario per essere sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo del 2030 e, secondo la tendenza attuale, nel 2030 il numero di specialisti ICT nell’UE sarà di circa 12,2 milioni invece dell’obiettivo di 20 milioni.
Divario di genere nell’ICT: lo stato dell’arte
Il divario di genere, se per le competenze digitali di base è ormai presente solo per le persone con oltre 45 anni, rimane sostanziale sul fronte ICT e negli ultimi dieci anni si sono registrati pochi progressi. Nel 2012, solo il 17% degli specialisti ICT impiegati nell’UE erano donne, una cifra che è aumentata solo leggermente al 19,4% entro il 2023. Un dato con disparità significative tra gli Stati membri: nel 2023, la Bulgaria registrava la percentuale più alta di donne specializzate in ICT, pari al 29,1%, mentre la Repubblica Ceca era in ritardo con appena il 12,4%.
Un recente studio di McKinsey Digital citato nel rapporto Ue aiuta a comprendere perché l’UE si trova ad affrontare sfide nell’attrarre e trattenere donne qualificate nel campo della tecnologia, grazie a un esame del percorso dall’istruzione iniziale all’ingresso professionale.
Secondo lo studio esistono due principali punti di abbandono femminile: al termine dell’istruzione secondaria e all’ingresso nel mondo del lavoro. Inoltre, oltre la metà delle donne che lavorano nel settore tecnologico abbandonano il settore a metà della loro carriera. Si tratta di una percentuale più che doppia rispetto a quella degli uomini e fa sì che molte meno donne ottengano posizioni di leadership. Anche la partecipazione delle donne all’imprenditorialità e all’innovazione digitale è bassa: meno del 15% delle start-up sono attualmente fondate o co-fondate da donne e la maggior parte degli investimenti va a team di soli uomini.
Il ruolo degli insegnanti nell’incentivazione delle STEM
Nel rapporto si evidenzia inoltre come sia da considerare attentamente la relazione tra la carenza di giovani che si dedicano ai settori STEM e il livello insufficiente di competenze digitali tra gli insegnanti, che svolgono un ruolo cruciale nel promuovere l’interesse degli studenti in questi campi. La mancanza di interesse è anche legata a idee sbagliate da parte sia dei giovani che dei loro genitori riguardo all’accessibilità e all’attrattiva delle carriere nel settore delle ICT e alla mancanza di modelli di ruolo diversificati (in particolare tra le donne e le minoranze). La mancanza di consapevolezza e di promozione delle donne mentori e modelli di ruolo è un altro elemento importante su cui agire.
La formazione nelle imprese
Una nota positiva è l’aumento delle imprese che forniscono formazione interna per sviluppare o aggiornare le proprie competenze ICT, ma l’accesso a tale formazione rimane in gran parte dipendente dalle dimensioni dell’azienda. Nel 2022, il 58% delle aziende con 250 o più dipendenti ha fornito formazione ai propri specialisti ICT, ma solo il 26% delle aziende con 50-249 dipendenti e solo il 7% delle aziende con 10-49 dipendenti ha fornito tale formazione.
Percentuali che in ogni caso rivelano la scarsa attenzione allo sviluppo sistematico delle competenze concepito come investimento e naturale gestione aziendale.
Le competenze legate all’intelligenza artificiale
Per soddisfare la futura domanda del settore solo per quanto riguarda le competenze legate all’intelligenza artificiale, si stima che tra 0,5 e 2,8 milioni di cittadini dell’UE dovranno acquisire queste competenze nei prossimi 5 anni, mentre tra 1,2 e 3,7 milioni di individui dovranno acquisire competenze nel cloud competenze informatiche.
Queste carenze strutturali spingono i Paesi Ue a fare sempre più affidamento sui talenti stranieri: negli ultimi quattro anni, la percentuale di cittadini dell’UE che lavorano come specialisti in ICT in un altro Stato membro è rimasta relativamente stabile (dal 3,2% nel 2019 al 3,7% nel 2023). Al contrario, la percentuale di cittadini di paesi terzi impiegati come specialisti in ICT nell’UE è costantemente aumentata, passando dal 7,6% nel 2019 al 10,9% nel 2023.
Le roadmap strategiche nazionali del decennio digitale
Dal Rapporto emerge come ventiquattro Stati membri abbiano fornito un obiettivo per gli specialisti ICT, mentre 13 Stati membri hanno assunto un valore obiettivo inferiore al valore obiettivo dell’UE e solo uno Stato membro ha assunto un valore obiettivo superiore al valore obiettivo dell’UE. 11 Stati membri hanno dichiarato che intendono aumentare la percentuale di donne specializzate in ICT.
Gli Stati membri hanno segnalato per questo obiettivo un totale di 176 misure (con un bilancio totale di 9,5 miliardi di euro). Circa il 30% di questo bilancio proviene da fonti comunitarie, circa il 55% da fonti nazionali e il restante 15% da fonti private.
Le misure si concentrano principalmente sulle competenze digitali nell’istruzione formale e nell’istruzione superiore, sul sostegno delle competenze digitali avanzate delle persone attualmente occupate, sulla governance e altre iniziative di sostegno, compresa la definizione di strategie e piani d’azione legati alle competenze digitali avanzate, il miglioramento dell’equilibrio di genere promuovendo le competenze digitali avanzate e altamente specializzate delle donne.
Cosa fare: approcci per potenziare gli specialisti ICT e le competenze digitali avanzate
In questa situazione è necessario un cambio di approccio a livello europeo. Il rapporto evidenzia alcuni ambiti di azione suggeriti per potenziare gli specialisti ICT e le competenze digitali avanzate in generale:
- introdurre le materie STEM (compreso l’insegnamento delle competenze digitali) nelle prime fasi del ciclo educativo per suscitare interesse tra i giovani, in linea con le proposte da tempo avanzate per l’introduzione della disciplina informatica nelle scuole primarie;
- promuovere attivamente le materie STEM per attrarre più giovani (in particolare donne), ad esempio presentando modelli di ruolo visibili per abbattere le barriere sociali, conducendo campagne mirate di sensibilizzazione;
- incorporare la formazione sulle competenze digitali nei programmi di formazione degli insegnanti e garantire una formazione continua per gli insegnanti in servizio e i dirigenti scolastici al fine di migliorare la competenza e la fiducia degli insegnanti nel digitale;
- promuovere l’istruzione professionale come scelta attrattiva e pertinente per il mercato del lavoro, offrendo esperienze di apprendimento adattate alle esigenze del settore;
- facilitare la collaborazione tra università per sfruttare competenze e risorse e promuovere legami più stretti tra industria e istituzioni accademiche (ad esempio, tramite professori a contratto, partenariati strategici e progetti di collaborazione per fornire agli studenti più opportunità concrete di esperienza);
- rispondere al fatto che l’offerta non sarà sufficiente a sostenere l’attuale ritmo di sviluppo tecnologico integrando i programmi di istruzione formale con micro-credenziali e iniziative di apprendimento come corsi a breve termine e apprendimento online;
- incoraggiare la diversità nel settore delle ICT, ad esempio organizzando campagne di sensibilizzazione (ad esempio, in collaborazione con le Coalizioni nazionali per le competenze digitali), fornendo borse di studio, tirocini, istruzione e opportunità di formazione (ad esempio campi estivi) e altro sostegno (ad esempio eventi di orientamento allo studio) per i gruppi sottorappresentati, in particolare le donne.
Le opportunità di finanziamento Ue
La Commissione Ue offre numerose opportunità di finanziamento per promuovere le competenze digitali avanzate nell’UE attraverso il programma Digital Europe con lo sviluppo di programmi educativi specializzati a diversi livelli accademici, corsi di formazione a breve termine che coprono diverse aree digitali chiave (ad esempio, intelligenza artificiale, scienza dei dati, sicurezza informatica, IoT, cloud computing). Questi programmi offrono anche opportunità di formazione in settori specifici come la sanità, le imprese, i trasporti, l’agricoltura, le catene alimentari e i sistemi energetici.
Conclusioni
Emerge chiara la necessità di un cambio di approccio, che risponda agli spunti già presenti nel Rapporto e non solo spinga per partnership pubblico-privato negli interventi formativi di breve termine e nei percorsi specialistici e universitari, ma che consenta di innalzare la formazione aziendale e (anche) nelle amministrazioni pubbliche. Con direttrici chiare e finanziamenti finalizzati a livello di strategia europea, massimizzando gli scambi e le cooperazioni nella Ue.