I recenti rapporti in tema di competenze digitali pubblicati da Istat, da Ocse, dall’Osservatorio Competenze Digitali e dall’iniziativa Repubblica Digitale, evidenziano una situazione nazionale non positiva, che non beneficia ancora degli impatti delle azioni del Piano operativo della strategia per le competenze digitali (da poco aggiornato), molte delle quali finanziate nel PNRR e in gran parte ancora nelle fasi iniziali.
La quota di popolazione con competenze digitali almeno di base rimane stabile al 46% e il mismatch tra domanda e offerta di professionisti ICT si dimensiona oltre le 100mila posizioni mancanti, configurando una carenza di sistema da superare e con un trend preoccupante relativo alle competenze delle fasce giovanili.
Ma andiamo per ordine.
Competenze digitali di base, il ruolo necessario del sistema educativo
Il rapporto Istat “Cittadini e ICT” conferma il dato non positivo della maggioranza della popolazione senza competenze digitali almeno di base, zavorrato da un dato della popolazione della fascia 16-19 che è peggiorato di circa tre punti, ed è adesso del 55,9%, inferiore di quasi sei punti rispetto alla fascia 20-24, in una dinamica di popolazione in decrescita.
Come puntualizza Istat, è utile anche comprendere come si distribuiscono questi valori sulle cinque aree di competenza considerate (e riferite al quadro DigComp: “Alfabetizzazione all’informazione e ai dati”, “Comunicazione e collaborazione”, “Creazione di contenuti digitali”, “Sicurezza” e “Risoluzione dei problemi”). In particolare, si registra l’84% della popolazione con competenze almeno di base nel dominio della “Comunicazione e collaborazione” (quasi l’80% è con competenze avanzate), il 75,3% in quello legato all’”Alfabetizzazione su informazioni e dati”, il 73,6% nella “Risoluzione di problemi”. Nei domini “Creazione di contenuti digitali” e “Sicurezza” si registrano invece le quote più elevate di persone con nessuna competenza digitale tra gli utenti di Internet, rispettivamente il 26,8% e il 27,9%.
Con una differenza significativa: mentre la creazione di contenuti digitali vede carenze soprattutto nelle fasce over 44, nell’area della sicurezza in nessuna fascia di età si registra una maggioranza con competenze superiori a quelle di base. A questo si aggiunge che in quest’ultima area e livello di competenza, rispetto al 2021, si registra un decremento di 1,3 punti percentuali, mentre per tutti gli altri invece si registrano incrementi significativi; in particolare, aumenta di 4 punti percentuali la quota di persone con competenze digitali avanzate nel dominio “Comunicazione e collaborazione” e di quasi 3 punti percentuali nel dominio “Risoluzione di problemi”.
Un andamento, questo, che chiaramente identifica:
- l’area di competenza della “Sicurezza” come una delle primarie aree di attenzione e intervento per le azioni in corso di sensibilizzazione, formazione e facilitazione rivolte ai cittadini e inquadrate nel Piano operativo della strategia;
- la fascia giovanile 16-24 anni, e in particolar modo 16-19, come la fascia che evidenzia più criticità (agenda prima di tutto nei cicli di istruzione e formazione superiore) in quanto la principale nella quale si evidenziano fenomeni di regressione, con una correlazione significativa con quelli indicati dal recente rapporto Ocse PISA, dove i quindicenni italiani (insieme a diversi coetanei di altri paesi Ocse), hanno mostrato una regressione di 15 punti rispetto al punteggio medio conseguito nel 2018 in matematica.
In un contesto in cui continua a crescere l’utilizzo di Internet (circa l’86% della popolazione 16-74 anni), anche se non raggiunge ancora i livelli dei Paesi europei di riferimento e sale anche l’utilizzo dei servizi digitali per l’acquisto di prodotti e servizi (raggiungendo circa il 57% della popolazione tra 18 e 74 anni), la compresenza di una quota maggioritaria di popolazione non in possesso di competenze di base su tutte le cinque aree DigComp rimane senz’altro preoccupante.
Da questo punto di vista non aiuta il dato stabile registrato nelle imprese secondo la rilevazione Istat “Imprese e Ict” per quanto riguarda la quota di addetti che utilizzano dispositivi connessi a Internet (circa il 56% nelle Pmi e circa il 54% nelle grandi imprese), pur essendo un risultato positivo l’assenza di regressione dopo l’incremento rilevato nel periodo pandemico.
Di qui la necessità di attivare al più presto le azioni già definite (ad esempio i punti di facilitazione previsti dai progetti finanziati con l’investimento PNRR “Competenze digitali di base” e attualmente in progressiva attivazione) e sostenere l’approccio (descritto nel Piano operativo della strategia) per il rafforzamento delle sinergie tra le azioni di sensibilizzazione, comunicazione e formazione previsti da diversi Ministeri e soggetti pubblici, privati e del terzo settore. Avendo quindi un focus sia sul ciclo di istruzione che sul sistema di apprendimento permanente, inclusa così la formazione di preparazione al lavoro, nelle organizzazioni, e per gli over 65.
Professionisti ICT, quali proposte per superare il mismatch domanda-offerta
Come riportato nel Piano operativo della strategia, l’obiettivo del Decennio digitale europeo di raggiungere circa la quota del 10% di specialisti Ict sul totale degli occupati è molto ambizioso per la UE, che parte da un valore attuale inferiore al 5%, e naturalmente per l’Italia, che parte da un valore inferiore e che deve affrontare un problema strutturale di sviluppo di professionalità su questo fronte, che coinvolge l’intero sistema educativo, oltre che il suo rapporto con il mondo del lavoro.
Per fotografare il mismatch tra domanda e offerta di professionisti in Ict, e la sua conseguenza come zavorra rispetto all’evoluzione digitale delle organizzazioni, il rapporto Istat “Imprese e Ict” fornisce un interessante dato per le imprese sopra i 250 addetti: a fronte di un 24% che si è avviato all’utilizzo di tecnologie di Intelligenza Artificiale in diversi settori aziendali, è significativa la percentuale del 15% di quelle che vorrebbero ma non possono e che per la metà addebitano la causa alla mancanza di competenze interne.
Questo dato si lega al mismatch evidenziato dall’Osservatorio competenze digitali 2023 (realizzato dalle maggiori Associazioni ICT in Italia: AICA, Anitec-Assinform e Assintel, in collaborazione con Talents Venture): nel 2022 sono stati circa 219mila gli annunci pubblicati online per reclutare professionisti ICT (con un incremento del 116% rispetto a quattro anni fa), ma università, ITS e scuole superiori inseriscono nel mercato del lavoro solo 44.000 professionisti all’anno. Con una richiesta soprattutto di sviluppatori software ed esperti dell’ingegneria delle reti e dei sistemi.
Anche qui, come ho cercato di tracciare in un recente libro, l’approccio dovrebbe prevedere un intervento di medio-lungo termine sul sistema educativo (a partire dalla scuola primaria con l’insegnamento dell’informatica) e di breve-medio di raccordo tra azioni di formazione ed esigenze delle organizzazioni, favorendo logiche di sviluppo di ecosistemi di innovazione.
Su questo solco si muove il gruppo di lavoro costituito nell’ambito della Coalizione di Repubblica Digitale ed è coerente con le tre proposte dell’Osservatorio: “(i) riformare il sistema universitario e scolastico, garantendo una formazione ICT accessibile e inclusiva; (ii) “digitalizzare” il mercato del lavoro, sia attraverso il rinnovamento degli schemi di apprendistato e dei dottorati industriali, sia promuovendo l’up-skilling e il re-skilling della forza lavoro attuale; (iii) sviluppare un “ecosistema digitale”, promuovendo l’imprenditorialità ICT e la creazione di network collaborativi di filiera, avviando una rivoluzione culturale che coinvolga l’intero sistema Paese, dalla sfera educativa a quella aziendale”.
Da questo punto di vista il Piano operativo della strategia è già un primo passo di identificazione delle azioni utili in questa direzione, ma occorre certamente anche rafforzare il quadro complessivo di intervento, come ci si aspetta dalle proposte del gruppo di lavoro citato.
Una strategia basata sui dati
Soprattutto in una situazione di carenza strutturale sulle competenze digitali come quella italiana, legata naturalmente all’alto livello di analfabetismo funzionale e dalla presenza di diversi divari (di genere, di reddito e occupazione, generazionali, territoriali, tra zone urbane e rurali), è sempre più importante definire gli interventi e le azioni a partire dall’analisi dei dati.
Partire dai dati consente di valutare l’impatto e l’efficacia delle azioni, di cogliere fenomeni non del tutto attesi (come la regressione che coinvolge le fasce più giovani), per identificare le aree di primaria attenzione (vedi il tema della sicurezza) e le opportunità che non possono non essere colte (vedi il mismatch su alcune competenze, come quelle specialistiche Ict incluse quelle sulle tecnologie di Intelligenza Artificiale) se non si vuole perseverare in una situazione che penalizza insieme lo sviluppo delle persone e delle imprese.
Conclusioni
L’auspicio è che questo approccio, che già permea la strategia per le competenze digitali, diventi cultura comune, per un percorso di analisi, valutazione e miglioramento in grado di attuare la necessaria visione trasformativa in una logica di co-progettazione e realizzazione sinergica. Mettendo al centro la “questione competenze”.