competenze digitali

Adulti senza freni sui social: i boomers e l’utopia di essere sempre dalla parte giusta

Sempre più persone popolano i meandri del web senza avere capacità e competenze cognitive e civiche che permettano di utilizzare la rete con un approccio critico e attento. Un problema di educazione digitale che riguarda prevalentemente gli adulti, e che va affrontato

Pubblicato il 30 Ago 2022

Antonio Guadagno

Ingegnere, consulente informatico, docente, formatore

boomer on the web

Anche se Internet e il Web sono essenzialmente appannaggio dei giovani e della fascia di popolazione più scolarizzata, da qualche tempo si riscontra un cospicuo aumento del numero di persone che, abbattendo in parte la barriera del digital divide, si catapulta nei meandri dei social media. Non tutti però sono in possesso di capacità e competenze cognitive e civiche che permettano di utilizzare la rete con un approccio critico e attento, ma anche e soprattutto rispettoso.

L’incompetenza nell’era digitale: effetto Dunning-Kruger e analfabetismo funzionale

Dal bar del paese alle piazze virtuali: addio ai filtri della buona educazione

Quando le interazioni sociali avvenivano nel bar del paese o del quartiere, in piazza o in un circolo, e quindi la profondità comunicativa era spazialmente circoscritta, la credibilità del “comunicatore” era soppesata a monte: “chi lo ha detto? Ah, vabbè…” era una frase che si sentiva dire spesso.

Oggi, di contro, con il massivo utilizzo delle piattaforme social, ci si può imbattere (anche interagendo tramite commenti, like, condivisioni) in contenuti pubblicati da persone delle quali non si ha conoscenza diretta e di cui non è possibile accertarne l’attendibilità o la vera natura.
Di contro, la possibilità di “finto” anonimato può portare alla rimozione dei filtri tipici della buona educazione.

A causa di queste insidie, i più seguiti (e in parte protetti) sono i giovanissimi e i giovani (Z Generation e Millennials), anche se i più “pericolosi” sono gli adulti (X Generation e Baby Boomers).

Dal digital divide all’information gap

Secondo un recente report di We Are Social, si riscontra, rispetto all’anno precedente, un aumento delle persone connesse a Internet, che sono quasi 51 milioni (+1,7%), ma soprattutto quelle attive sulle piattaforme social, che sono oltre 43 milioni (+5,4%).

Attenzione però: man mano che quote crescenti di popolazione si affacciano al digitale, superando il digital divide, cresce il numero di Italiani esposti all’information gap, non essendo in grado di discernere sia la qualità di una notizia che il suo peso specifico.
Ci si immerge in un mare di notizie senza porsi tanti problemi sulla relativa attendibilità; anzi, spesso si è (in)consapevoli fautori della loro proliferazione a causa di un commento o una condivisione.

Adulti (in)consapevoli

Internet ha ingigantito la quantità e la varietà di notizie e informazioni disponibili, ma ha anche trasformato le modalità di relazionarsi a esse; inoltre, attraverso i social network, si sta verificando una non banale alterazione del modo di vedere e vivere la realtà.

Da anni le Istituzioni (la Commissione Europea, il Governo italiano), la Scuola e tante Organizzazioni sono impegnate tramite progetti e finanziamenti specifici, a promuovere tutti gli strumenti necessari per un uso positivo della rete, ma anche per prevenire, riconoscere, rispondere e gestire eventuali situazioni problematiche.
L’attenzione al riguardo si è concentrata essenzialmente su bambini e adolescenti, puntando a far riconoscere opportunità e pericoli, diritti e doveri legati all’utilizzo di elementi insiti nella loro quotidianità.

Sono stati lasciati a sé stessi i soggetti meno giovani, meno esposti alle minacce della rete, ma più indifesi nella gestione della propria presenza all’interno delle comunità virtuali. E ciò è diventato più evidente da quando si è messo da parte il passatempo primario, la condivisione e la socializzazione, a favore della ricerca di notizie bypassando i canali tradizionali, con la possibilità di esprimere la propria opinione, anche in maniera veemente e senza filtri.

Come ha scritto Arturo Di Corinto, ciò non è successo solo perché “abbiamo messo armi potentissime in mano ad adulti che si comportano come bambini che bisticciano, tifano, si mostrano crudeli verso gli altri, dimentichi di ogni forma di empatia”.

C’è anche un problema di educazione digitale: internet e le piattaforme social consentono a ognuno di essere sia consumatori di informazioni che produttori di contenuti (i cosiddetti prosumer). Ma Baby Boomers e X Generation hanno a volte difficoltà sia nel ruolo di ricettori che in quello di comunicatori.

Secondo Daria Grimaldi, aumenta la disponibilità di contenuti ma alle persone non interessa approfondire le proprie conoscenze. Si sceglie razionalmente di rimanere ignoranti, ma ci si sente in dovere di condividere le proprie idee pubblicamente.
Non si dispongono quindi adeguati strumenti che ci mettano in grado di selezionare, estrarre e convogliare le informazioni in maniera utile e interpretabile, a causa della loro rapidissima diffusione orizzontale, senza alcuna verifica coerente delle fonti.

Boomer alle prese con l’effetto Dunning-Kruger

La pandemia, i vaccini, la guerra, la crisi economica, la siccità, gli immigrati, lo sport, la pizza …Qualsiasi sia l’argomento trattato, per esempio su Facebook ma in maniera più imponente su Twitter, un articolo di una testata giornalistica, un post di un personaggio in vista o semplicemente una foto o una considerazione, possono generare una discussione aperta.

In nome della sacrosanta libertà di espressione ognuno si sente in pieno diritto di dire la propria su qualsiasi argomento, anche contrapponendosi, con impeto e tralasciando ogni spirito critico, a persone realmente competenti. Senza alcuna base culturale, facendo perdere all’esperto vero la sua funzione di guida.
Come? Grazie all’immensa memoria del Web e alla conseguente rapida e capillare diffusione delle informazioni, a volte inventate, altre inverosimili o artatamente manipolate.

La facilità a reperire da qualche parte dati e notizie, non necessariamente affidabili, a supporto delle proprie convinzioni rafforza l’utopia di essere dalla parte giusta del ragionamento e quindi di avere in pugno la conoscenza.
Tale presunta percezione della propria cultura porta alla necessità di dire la propria “a prescindere”, generando un bisogno compulsivo di commentare. A tale proposito, quante volte è capitato su Twitter di trovare, in risposta a un lancio di una testata giornalistica, la frase (resa dallo scrivente meno acerba): e a me che importa!

Lo schermo consente di nascondersi, grazie al proprio profilo online; ciò provoca la rimozione dei filtri tipici della comunicazione “in presenza” e il ricorso a frasi che non hanno niente a che fare con la buona educazione.

Conclusioni

Per evitare che ci si perda nei meandri del Web, i motori di ricerca e i social network si avvalgono di algoritmi per selezionare e personalizzare i contenuti che vengono proposti cercando di avvicinarsi il più possibile ai desideri del navigatore attraverso lo studio del digital footprint: like, commenti, hashtag, condivisioni e ogni forma di interazione.

Se, per esempio, si ha un interesse spiccato per un argomento, l’algoritmo presenterà con probabilità maggiore i contenuti a esso collegati, senza discernere sulla relativa qualità o attendibilità.
Ciò rinchiude l’utente nelle cosiddette filter bubbles, che determinano una sorta di allontanamento rispetto a ciò che viene ritenuto in contrasto con il suo punto di vista, rafforzandone l’autoreferenzialità.

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