Tra le riforme settoriali previste dal PNRR, quelle sulle politiche attive del lavoro, sul sistema di istruzione, formazione e orientamento professionale, rappresentano la base per disegnare un nuovo rapporto tra sapere e mondo del lavoro.
Sull’innovazione tecnologica e sul digitale il nostro Paese sconta ritardi e deve colmare diversi gap. Lo certificano alcuni studi, concordi nel sottolineare le difficoltà del capitale umano ad avere dimestichezza con le competenze digitali e le abilità tecnologiche. Problemi noti, sui quali fatichiamo a migliorare.
Sappiamo che l’Europa andrà verso la transizione ecologica e digitale, due obiettivi – la transizione ecologica soprattutto – che non prendono in considerazione un elemento: non abbiamo ancora tutte le competenze e le conoscenze scientifiche, le tecnologie e i programmi formativi per riuscire a raggiungerli. Se non cambiamo alcuni nostri modi di fare, rischiamo di continuare a declinare. E a un certo punto, quando si declina, improvvisamente si frana.
Il Governo uscente ha lasciato in eredità alcuni tasselli della riforma, che ora dovranno essere messi a sistema, espressione di una strategia fondata sulla connessione delle politiche d’istruzione, formazione e lavoro con le politiche industriali. Oggi, a urne chiuse, sappiamo qual è lo stato di partenza ma non ancora il ventaglio degli strumenti e delle soluzioni che saranno messe in campo.
Per superare l’inerzia del sistema, occorrerebbe un patto formativo multilivello per vincere la sfida dello sviluppo del capitale umano digitale e tecnologico.
Il prossimo Governo ce la farà a farlo?
All’Italia 4.0 servono competenze tecnologiche
Un sistema imprenditoriale che fatica a trovare i profili giusti, una cronica difficoltà nell’aumentare il numero di laureati nelle materie scientifiche, competenze digitali carenti in ampi settori del mercato del lavoro, soprattutto nel pubblico impiego, giovani di alto potenziale che non trovano una collocazione ottimale, all’interno di imprese ancora molto orientate alla competitività di costo, che scontano un gap organizzativo e retributivo.
Sono stati recentemente pubblicati i dati 2022 dell’European Innovation Scoreboard. L’Italia presenta una situazione tra luci e ombre, dove il maggiore ritardo, rispetto agli altri Paesi europei, è proprio nell’ambito del capitale umano. L’unica dimensione che negli ultimi anni risulta in diminuzione: fatta 100 la media europea, la performance italiana per numero di laureati sulla popolazione è pari a 21,1. Debolezza anche nell’ambito della digitalizzazione (livello dell’indicatore rispetto alla media europea pari a 75.2) e nell’uso delle tecnologie ICT (68.5).
Una fotografia che si ritrova a specchio nello studio intitolato “Verso un New Deal delle Competenze in ambito agricolo e industriale”, elaborato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Philip Morris Italia.
Un rapporto che ci richiama alla dura realtà. La carenza di competenze è il principale fattore ostativo allo sviluppo di progetti di manifattura intelligente e di agricoltura smart. Per l’Italia 4.0 servirebbero competenze avanzate che il sistema formativo fatica a offrire: si va dalle competenze hard di intelligenza artificiale, machine learning, data science e project management, alle competenze soft, come la multidisciplinarietà e l’imprenditorialità.
Una situazione di difficoltà che si registra anche nel pubblico impiego, messo sotto osservazione dal Comitato scientifico per la valutazione dell’impatto delle riforme in materia di capitale umano pubblico, che ha condotto uno studio i cui risultati sono stati presentati nel primo Rapporto 2022 dal quale emerge un’immagine della PA impietosa, con un pubblico impiego invischiato in una “condizione di dimagrimento eccessivo conosciuto in questi anni, con un’età media elevata, competenze datate rispetto agli altri Paesi europei”.
Insomma, il ritardo digitale del Paese si spiega proprio con il basso livello delle competenze. Un effetto della scarsa propensione del sistema di istruzione e formazione all’alfabetizzazione digitale e tecnica dei cittadini, a tutti i livelli e in molti settori. A partire fin dai primi anni scolastici.
Le competenze digitali dei docenti: quale scuola vogliamo dopo il Covid
Pronti a introdurre l’informatica nella scuola dell’obbligo?
Non è un caso che in questi giorni, a poche ore dal voto, funzionari dell’Unione europea stanno incontrando i rappresentanti del Ministero dell’Istruzione per capire quali siano stati i passi che l’Italia ha fatto in questi anni per introdurre pratiche di educazione informatica di base nella scuola dell’obbligo.
Non sarà facile trovare risposte che giustifichino il mancato inserimento, nelle nostre scuole, di lezioni e laboratori che aiutino i bambini a familiarizzare con i robot, i computer, la programmazione.
Un vento di innovazione che non abbiamo intercettato e che invece ha contagiato diversi Paesi europei, come testimoniato dallo studio della Commissione europea “Reviewing Computational Thinking in Compulsory Education”, che ha raccolto le esperienze di 29 Paesi europei sull’introduzione, nella scuola dell’obbligo, di concetti di base dell’informatica per lo sviluppo delle competenze di pensiero computazionale.
“A livello europeo – ha dichiarato Veronica Mobilio della Direzione generale dell’Istruzione, della gioventù, dello sport e della cultura della Commissione europea – stiamo implementando il Piano d’azione sulle competenze digitali e nell’ambito del Piano è prevista una Council Recommendation sull’offerta formativa per le competenze digitali”. La raccomandazione, che sarà presentata a marzo del prossimo anno, punterà a supportare l’introduzione di una materia come l’informatica nel curriculum, rafforzando l’offerta formativa dalla scuola primaria e secondaria, fino ad arrivare all’università e alla formazione degli adulti.
Iniziative sulle quali c’è già chi si è mosso: la prima è stata la Slovacchia, poi anche Francia e Inghilterra hanno cambiato i curricula scolastici, mentre in Danimarca è in corso una sperimentazione molto ampia.
E in Italia? Abbiamo in programma di farlo? Riusciremo, grazie ai fondi del PNRR, a cambiare le indicazioni nazionali e a introdurre nei piani scolastici elementi di informatica?
Istituti tecnici e professionali: prove di rilancio
Dal Ministero dell’Istruzione arriva la notizia del finanziamento di oltre 48 milioni di euro per l’anno formativo 2022/2023 e uno stanziamento complessivo di 1,5 miliardi di euro dal 2022 al 2006, per aumentare il numero degli iscritti e potenziare le strutture formative degli Istituti tecnici superiori.
La riforma degli Istituti tecnici superiori (diventati “ITS Academy”), che si appresta a entrare nel pieno dell’operatività dopo l’approvazione definitiva del Parlamento, punta a rilanciare un fronte della formazione ampiamente sottovalutato nel corso degli anni. Il nostro sistema di specializzazione è insufficiente e sappiamo che il numero degli iscritti al sistema degli ITS Academy dovrebbe crescere di almeno 40 volte per essere al passo con quello tedesco, arrivando a toccare quota 200 mila iscritti.
“Vogliamo costruire – ha dichiarato il Ministro Bianchi – una filiera verticale e allo stesso tempo un patto educativo grazie al quale imprese, università, tessuto produttivo, territori, ITS Academy mettano a disposizione risorse e competenze per consolidare l’identità di questo segmento formativo e concorrere alla migliore istruzione dei nostri giovani”.
Innovazione, rete con i territori, potenziamento dell’attività laboratoriale. Queste le principali caratteristiche della riforma. Tra le novità per gli Istituti tecnici spiccano:
- la ridefinizione e l’aggiornamento degli indirizzi per rafforzare le competenze linguistiche e STEM e orientare alle discipline inerenti “Industria 4.0”, connettersi maggiormente al tessuto socioeconomico di riferimento, valorizzare la metodologia didattica per competenze;
- la previsione di meccanismi per dare continuità tra l’istruzione tecnica e quella terziaria (ITS Academy);
- la realizzazione di “Patti educativi 4.0”, per far sì che istituti tecnici e professionali, imprese, enti di formazione accreditati dalle Regioni, ITS Academy, università e centri di ricerca possano condividere risorse professionali, logistiche e strumentali;
- la strutturazione di un piano formativo mirato per i docenti degli istituti tecnici, coerentemente con le specificità dei contesti territoriali;
- l’erogazione diretta da parte dei Centri provinciali di istruzione per gli adulti (CPIA) di percorsi di istruzione tecnica non in rete con le istituzioni scolastiche di secondo grado o non adeguatamente sufficienti rispetto alle richieste dell’utenza e del territorio;
- il riconoscimento di certificazioni che attestino le competenze delle studentesse e degli studenti dopo il primo biennio e dopo il secondo biennio, in corrispondenza con il secondo e il terzo livello del Quadro europeo delle qualifiche.
Politiche del lavoro: misure su occupabilità e Fondo nuove competenze
Anche sul fronte delle politiche attive del lavoro qualcosa si muove. Uno degli ultimi atti firmato dal Ministro del lavoro è il decreto – in attesa di essere firmato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – che regola il Fondo Nuove Competenze, il programma guida per la formazione dei lavoratori occupati nell’ambito del Piano Nazionale Nuove Competenze, riformato e rifinanziato con 1 miliardo di euro.
ANPAL, l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro, gestirà la misura e pubblicherà nel mese di ottobre l’avviso che consentirà alle aziende di candidare i loro progetti.
I punti più qualificanti del decreto sono:
- L’orientamento della formazione alla creazione di competenze digitali (all’interno del quadro di riferimento DigComp) e utili alla transizione ecologica (riferimento alla classificazione ESCO).
- Il rafforzamento della qualità dei programmi formativi, con i fondi interprofessionali che costituiranno il canale di accesso privilegiato al Fondo Nuove Competenze (per i datori di lavoro che non hanno fondi interprofessionali la formazione dovrà essere erogata da enti accreditati a livello nazionale o regionale).
- La copertura, da parte del Fondo, del 100% dei costi contributivi, assistenziali e previdenziali (al netto degli eventuali sgravi contributivi fruibili nel mese di approvazione dell’istanza di accesso al Fondo) e del 60% della retribuzione oraria delle ore destinate alla formazione (prevista una premialità per chi intraprende percorsi di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario).
Questo intervento, rivolto a lavoratori occupati, si integra con l’attuazione del Programma Nazionale Garanzia Occupabilità Lavoratori (GOL), la riforma delle politiche attive prevista dal PNRR e finanziata con circa 5 miliardi.
La buona notizia è che la partenza delle attività a livello territoriale è avvenuta in tempi diversi, ma già da qualche mese tutte le Regioni sono risultate pienamente operative. Il Programma GOL sta proseguendo a ritmo sostenuto e dal Ministero del Lavoro fanno sapere che, al 9 settembre 2022, sono stati stipulati già 175.132 patti di servizio, prevedendo così di raggiungere il target europeo dei 300mila presi in carico dal programma già da ottobre, con 3 mesi di anticipo rispetto a quanto concordato con la Commissione europea. Grazie a questo importante traguardo l’Italia potrà quindi accedere agevolmente al finanziamento di 4,4 miliardi di euro previsto dal PNRR.
Un Patto delle competenze da affiancare al PNRR
Nel programma presentato alle elezioni politiche dalla coalizione di centro-destra, che si appresta a formare il nuovo Governo, nell’ambito della scuola/formazione si trovano generiche indicazioni, come quella di ‹‹rivedere in senso meritocratico e professionalizzante il percorso scolastico››, la ‹‹valorizzazione e promozione delle scuole tecniche professionali volte all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro››, oppure la volontà di ‹‹incentivare i corsi universitari per le professioni STEM››
Indicazioni troppo vaghe, che dovranno essere meglio esplicitate e messe a sistema perché la sfida per il nuovo Governo non sarà tanto quella di modificare il PNRR, ma di onorarne gli impegni.
Per poter ragionare in ottica di sistema il primo passo che dovrebbe compiere il nuovo Governo è quello di una mappatura nazionale dei bisogni professionali delle imprese, a partire dai dati già a disposizione a livello territoriale. Sulla base di questa, si potrebbero così costruire partenariati strutturali pubblico-privati per colmare i divari di competenze, orientando la formazione e canalizzando la ricerca.
Tre le proposte di intervento che sembrano prioritarie: 1. rafforzare il coinvolgimento delle imprese nei piani didattici degli Its e dei percorsi universitari; 2. promuovere l’offerta di contenuti STEM a tutti i livelli del sistema scolastico (nella XVII legislatura Maria Chiara Carrozza, attuale Presidente del CNR, presentò una proposta di legge per l’istituzione dell’insegnamento di princìpi di informatica nella scuola primaria e secondaria); 3. incentivare la collaborazione tra mondo accademico e aziende attraverso lo strumento dei dottorati industriali e la creazione di ecosistemi per il trasferimento tecnologico, favorendo un maggiore dialogo con le imprese per captarne le reali esigenze (i fondi alle Università potrebbero essere distribuiti anche in base a queste dimensioni).
L’orizzonte è quello di creare un patto delle competenze, da cui far scaturire un nuovo programma formativo multilivello, in continuità con la linea tracciata dal PNRR, affinché il Paese dia nuove opportunità di lavoro ai giovani e proceda lungo la strada dello sviluppo tecnologico e digitale.
Investire in capitale umano è l’unica via possibile
La qualità del capitale umano, oggi più che mai, è l’elemento chiave della competitività delle imprese, delle nostre amministrazioni pubbliche e della crescita dell’intera economia.
Un sistema di istruzione primaria e secondaria, formazione tecnica post scuola e quella continua, interazione pubblico-privato, sono le condizioni essenziali per la crescita, perché investire sulle competenze è l’unica strada che abbiamo per proiettarci nel futuro.
Le sfide non riguardano solo singole aziende o singole amministrazioni ma, sempre di più, richiedono approcci ecosistemici e integrati. Non possiamo permetterci nessuna esitazione perché è da qui che passa il futuro delle nostre imprese e dei nostri giovani.