L’ambiente di apprendimento è fondato su principi e pratiche didattiche innovative che mettono al centro gli studenti con il loro impegno attivo, promuovono l’apprendimento cooperativo ben organizzato, prevedono docenti capaci di sintonizzarsi sulle motivazioni degli studenti, sono sensibili alle differenze individuali, pongono forte enfasi sui feedback formativi, promuovono l’interconnessione orizzontale fra aree di conoscenza e discipline.
Uno “spazio di apprendimento” innovativo può oggi essere fisico e virtuale insieme, ovvero “misto”, arricchendo il contenuto della didattica di risorse digitali fondate sulla realtà virtuale e aumentata.
Approccio trialogico, “4P” e tinkering: le tecnologie come veri ambienti di apprendimento
In ogni caso nell’ambiente di apprendimento lo studente deve essere protagonista attivo e può utilizzare le tecnologie come strumento mediale per diventare attivo costruttore della conoscenza. Esso è caratterizzato da flessibilità, adattabilità, multifunzionalità e mobilità, connessione continua con informazioni e persone, accesso alle tecnologie, alle risorse educative aperte, al cloud, apprendimento attivo e collaborativo, creatività, utilizzo di molteplici metodologie didattiche innovative. Tali spazi si configurano come ambienti smart per la didattica, ecosistemi di apprendimento che rafforzano l’interazione studenti-docenti-contenuti risorse.
Lavorare o non lavorare per “ambienti di apprendimento” è principalmente una scelta legata agli obiettivi di apprendimento che l’insegnate vuol perseguire, alla finalità che egli vuol attribuire al proprio ruolo, agli scopi che dovrebbero essere perseguiti dalla scuola nella società contemporanea.
Adottare una didattica di questo tipo può aiutare ad affrontare alcuni dei problemi di apprendimento che si creano nelle classi, come, per esempio, la difficoltà degli studenti a “seguire” le lezioni tradizionali, a mantenere un impegno prolungato, ad approfondire i temi, a percepire la significatività dei contenuti didattici, e la dimenticanza già nel breve periodo degli apprendimenti che sembravano essere stati acquisiti a una prima valutazione.
Lavorare per “ambienti di apprendimento” implica per il docente, inoltre, una consistente ristrutturazione dei propri presupposti concettuali sull’apprendimento e sull’insegnamento e una riorganizzazione delle proprie pratiche didattiche.
Cosa sono gli “ambienti di apprendimento”?
Gli elementi che li costituiscono
L’espressione “ambiente di apprendimento” è entrata da qualche tempo anche nel lessico educativo italiano. La troviamo in iniziative pilota di innovazione didattica promosse dal Ministero dell’Istruzione, impiegata dagli editori per evidenziare la natura di nuovi prodotti editoriali e di formati più ricchi del “libro di testo”, usata dagli insegnanti quando intendono designare un approccio didattico caratterizzato da elementi di novità rispetto alla lezione tradizionale.
Il significato che questa espressione assume nella pratica non è sempre univoco e ha spesso più un valore evocativo che descrittivo di qualcosa di preciso, tanto sul piano dei concetti che su quello delle pratiche.
Educare all’incertezza per innovare la scuola: metodi e strategie
E’ fondamentale dunque promuovere la realizzazione di “Ambienti di apprendimento innovativi”, ossia ambienti e spazi di apprendimento attrezzati con risorse tecnologiche innovative, capaci di integrare nella didattica l’utilizzo delle tecnologie. Il nucleo dell’”ambiente di apprendimento” è costituito dalle relazioni organizzative e dalle dinamiche combinate di questi quattro elementi ed è fondato su principi e pratiche didattiche innovative che mettono al centro gli studenti con il loro impegno attivo, promuovono l’apprendimento cooperativo ben organizzato, prevedono docenti capaci di sintonizzarsi sulle motivazioni degli studenti, sono sensibili alle differenze individuali, pongono forte enfasi sui feedback formativi, promuovono l’interconnessione orizzontale fra aree di conoscenza e discipline. Uno “spazio di apprendimento” innovativo può oggi essere fisico e virtuale insieme, ovvero “misto”, arricchendo il contenuto della didattica di risorse digitali fondate sulla realtà virtuale e aumentata. Esso è caratterizzato da flessibilità, adattabilità, multifunzionalità e mobilità, connessione continua con informazioni e persone, accesso alle tecnologie, alle risorse educative aperte, al cloud, apprendimento attivo e collaborativo, creatività, utilizzo di molteplici metodologie didattiche innovative. Tali spazi si configurano come ambienti smart per la didattica, ecosistemi di apprendimento che rafforzano l’interazione studenti-docenti-contenuti-risorse.
Ambiente vs corso
Anche se oggi “ambiente di apprendimento” è spesso utilizzato per designare un vero e proprio “ambiente” fisico, una più efficace organizzazione degli spazi scolastici ovvero l’insieme delle risorse logistiche, tecniche e didattiche che caratterizzano l’ambiente-scuola, questa espressione, quando compare in letteratura scientifica, viene usata come metafora da contrapporre a una ben più nota, il “corso”.
Essa si sviluppa all’interno dell’epistemologia costruttivista per designare un contesto di insegnamento e di apprendimento che rompe con le teorie e con le pratiche che caratterizzano la didattica tradizionale, quella che si svolge in un’aula, dove l’insegnante realizza la sua attività sulla base di un programma ben strutturato e gli studenti “seguono”, ripetono e rispondono a domande volte a una loro valutazione.
Ognuno di noi vive in un proprio ambiente (fisico, culturale, sociale…) e cerca di attribuirgli un significato personale. Per far questo esplora l’ambiente nei molteplici aspetti, fa uso di numerose risorse, s’inserisce in relazioni già stabilite e ne attiva di nuove con lo scopo di correlarsi efficacemente con l’ambiente stesso, di soddisfare i propri bisogni, di padroneggiarlo.
Quindi, la metafora di “ambiente” designa un contesto in cui l’apprendimento venga attivato, supportato e costruito e in cui ciascuno sia in grado di attribuire al proprio processo di conoscenza un significato, personale, ma socialmente e culturalmente mediato.
La condizione prima perché sia possibile generare un apprendimento con queste caratteristiche è che l’ambiente sia ricco di risorse e che a ciascuno sia data la possibilità di attraversarlo in modo non vincolato da una strutturazione didattica rigida: questa è la prima caratteristica di un apprendimento centrato su chi apprende (learner-centred).
Per sintetizzare, dunque, un ambiente d’apprendimento è composto dal soggetto che apprende e dal “luogo” in cui esso agisce, usa strumenti, raccoglie e interpreta informazioni, interagisce con altre persone (Wilson, 1996).
Di “ambienti di apprendimento” (learner centred o problem solving oriented) ne sono stati concepiti e sviluppati numerosi che si differenziano per la focalizzazione concettuale (ad esempio, alcuni rendono operativa la “flessibilità cognitiva”, altri l’“apprendimento situato”), ma che condividono tutti lo stesso insieme di principi epistemologici: l’apprendimento non è un processo trasmissivo, ma una pratica intenzionale, premeditata, attiva, cosciente, costruttiva, che comprende attività reciproche di azione e riflessione (Jonassen e Land, 2012).
Un “corso”, invece presenta risorse limitate a disposizione di coloro che apprendono (uno o più docenti, dei materiali didattici) e un percorso vincolato e determinato dalla pianificazione didattica (apprendimento centrato sui contenuti, content-centred). Il “corso” è un sistema strutturato attorno ai principi di apprendimento della disciplina e predeterminato in sede di progettazione con poche possibilità di cambiamento.
Quindi, l’“ambiente di apprendimento” rappresenta un sistema dinamico, aperto, forse caotico, in cui le persone che apprendono hanno la possibilità di vivere una vera e propria “esperienza di apprendimento”; esso è ricco e ridondante di risorse per poter essere funzionale alle differenti situazioni reali in cui si svilupperà il processo formativo, determinato dai sistemi personali di conoscenza che caratterizzano ciascun allievo. Gli “obiettivi di apprendimento” rappresentano, in questa prospettiva, più la direzione del percorso che la meta da raggiungere. I “contenuti” non sono pre-strutturati e sono presentati da una pluralità di prospettive; non tutti devono essere appresi ma rappresentano una “banca dati” cui attingere al bisogno.
Come funzionano gli “ambienti di apprendimento”?
Organizzare contesti di insegnamento e di apprendimento improntati alla logica degli ambienti di apprendimento significa ritenere che la conoscenza si “costruisce” e non si “trasmette”:
- la costruzione di conoscenza avviene attraverso l’attività ed è “inserita” nell’attività stessa;
- la conoscenza è ancorata nel contesto in cui le attività si sviluppano ed è da questo indirizzata;
- il significato si sviluppa nella mente di chi conosce e nelle sue relazioni con il contesto;
- la costruzione di significato è indotta da un problema, da una domanda e, per questo, richiede lo sviluppo della padronanza di quel problema;
- un problema può essere affrontato da molteplici prospettive;
- la costruzione di conoscenza richiede articolazione, espressione e rappresentazione di cosa si sta apprendendo, del significato che si sta costruendo;
- la costruzione di significato deve essere condivisa con altri. (adattato da: Jonassen et al. 1999).
La natura del processo di costruzione di conoscenza richiede che la persona che vi si impegna abbia la possibilità di agire in un contesto complesso, ricco di opportunità, di stimoli, di risorse: “un luogo dove le persone possono lavorare assieme e supportarsi l’un l’altro mentre usano una varietà di strumenti e di risorse informative nel loro compito di conseguire gli obiettivi di apprendimento e di risolvere problemi”(Wilson, 1996).
Secondo Perkins (1991) in un “ambiente di apprendimento” a chi apprende viene data la possibilità di: determinare i propri obiettivi di apprendimento; scegliere le attività da svolgere; accedere a risorse informative ed a strumenti; lavorare con supporto e guida.
In un “ambiente di apprendimento” autentico il formatore è chiamato a svolgere il ruolo di allenatore (coach) e di facilitatore (Perkins, 1991); in esso infatti l’apprendimento è sostenuto, ma non controllato e diretto, in esso “l’apprendimento è stimolato e supportato” (Wilson, 1996).
Gli allievi, dunque, possono determinare i propri obiettivi di apprendimento, scegliere le attività da svolgere, hanno accesso a risorse informative (libri, courseware, video…) e a strumenti (word processor, e-mail, motori di ricerca, ecc.), possono lavorare con un supporto e una guida.
La natura di un “ambiente di apprendimento” implica che, inizialmente, non venga completamente definito ed “impacchettato”: se l’allievo deve godere di una certa libertà di scelta, un certo livello di incertezza e di non-controllo deve essere messo nel conto. Infatti, chi apprende è la persona migliore a decidere cosa sia significativo per lui. Avere un ambiente di apprendimento libero da costrizioni di tempo e di spazio è fondamentale per costruire e condividere conoscenza. (Conceição-Rumble, S., Daley B.J., 1998).
Perché un simile contesto non sia caotico (anche se tale potrebbe apparire all’esterno e a chi studia), è necessario che chi governa il processo sia continuamente presente alle dinamiche, come in un perenne stato di allerta, per evitare che il tutto precipiti nel caos e imploda, perché non ben progettato e supportato.
Compito di chi progetta “ambienti di apprendimento” dovrebbe essere quello di creare le condizioni per attivare e supportare un ciclo di attività cognitive, che iniziano con la raccolta, registrazione e analisi di dati, proseguono con la formulazione e la verifica di ipotesi nonché la riflessione sui propri livelli di comprensione e di apprendimento, per concludersi con la costruzione di senso personale delle informazioni, che è la dimostrazione di un apprendimento autentico (Crotty 1994).
La classe di Bayes: un esempio di ambiente di apprendimento con le tecnologie
Le tre tipologie del modello di classe di Bayes
Secondo questo modello di classe di Bayes, il tempo-scuola di insegnanti e studenti nell’era digitale risulterà suddiviso in tre tipologie di attività di insegnamento/apprendimento:
- Tool box;
- Problem solving cooperativo;
- Situation room.
Il tempo da dedicare a ciascuna attività è ovviamente flessibile in relazione agli argomenti trattati, alle necessità della programmazione e al contesto situato della classe. Tuttavia, il problem solving cooperativo (e cioè la seconda delle fasi che di seguito descriveremo) dovrebbe comunque rimanere quella predominante nel rispetto del carattere pragmatico esperienzale. In sintesi la scansione logica e temporale funzionale alla costruzione di una Classe di Bayes è la seguente.
Tool box
È l’avvio del processo didattico: si tratta di una attività solo apparentemente paragonabile alla didattica frontale tradizionale. In realtà, l’insegnante si vedrà impegnato nel delineare i tratti concettuali essenziali alla comprensione dell’area tematica da affrontare, evidenziando le connessioni interdisciplinari e i nuclei tematici fondamentali. Il tutto, facendo emergere le logiche di indagine e le metodologie di ricerca di volta in volta funzionali al contesto in questione. L’applicazione di un tale approccio didattico, già a questo primo step, richiede: una selezione dei contenuti da proporre alla classe e un approccio metodologico e critico all’indagine nei differenti campi del sapere. Tutto ciò per predisporre gli studenti all’acquisizione progressiva di competenze critiche e abilità analitiche, funzionali alle attività di ricerca e di scoperta che caratterizzano la seconda fase. L’insegnante dovrà, infatti, presentare contemporaneamente gli elementi base delle questioni in gioco e la metodologia attraverso la quale gli studenti impareranno a fare da soli.
Pertanto, in questa fase i discenti verranno messi nelle condizioni di impossessarsi della “cassetta degli attrezzi” per analizzare e affrontare le tematiche introdotte dall’insegnante – una Tool box insieme metodologica e tecnologica. Le infrastrutture tecnologiche necessarie per questa prima fase del setting sono: (1) una connessione wifi a banda larga (che copra tutte le classi dell’istituto scolastico); (2) un notebook per l’insegnante; (3) un video proiettore o una lavagna interattiva multimediale (LIM); (4) un ambiente virtuale per l’apprendimento (Learning Managment Sistem / Virtual Learning Environment) che permetta di gestire i contenuti digitali e le attività didattiche che si svolgeranno online; (5) device digitali (tablet, notebook) destinati al lavoro attivo degli studenti.
È fondamentale, quindi, che la spiegazione dei “nuclei fondanti” delle singole discipline rispetti gli stili di apprendimento degli studenti, utilizzando di volta in volta il codice multimediale più appropriato. Per fare ciò l’insegnante dovrà ricavare dalle basi dati online (libri digitali) degli editori e/o dai materiali disponibili in rete i contenuti digitali (audio, video, immagini, ecc.) o da libri e altre fonti cartacee (che andranno digitalizzati per essere inseriti nell’ambiente di apprendimento virtuale) più utili alla rappresentazione del tema trattato. Questa fase della Tool box non dovrebbe mai superare un terzo delle ore che il docente ha stabilito di dedicare a questa o quell’area tematica.
Problem solving cooperativo
Questa fase rappresenta il momento centrale. Gli studenti saranno organizzati dall’insegnante in piccoli gruppi e abilitati a lavorare all’interno di una classe virtuale. Quindi, sulla base di una scelta di attività cooperative online, dovranno approfondire, analizzare ed eventualmente risolvere i problemi emersi durante la Tool box.
In questa seconda fase, gli studenti agiranno come piccoli ricercatori, sostituendo lo studio tipicamente concepito come sforzo mnemonico con un’indagine razionale modellata sulla logica della scoperta scientifica e implementata dagli strumenti di simulazione digitale dell’esperienza e/o di esplorazione e documentazione di fenomeni reali all’interno o all’esterno della scuola. Durante questa porzione del “tempo scuola” l’insegnante assumerà quindi una funzione di supporto, di scaffolding e di tutoring. Vestendo i panni di un direttore di una serie di piccoli gruppi di ricerca (i gruppi di lavoro), il docente dovrà pertanto affiancare e sostenere i suoi “ricercatori” nella loro attività indagine e revisione razionale delle varie ipotesi ed evidenze di volta in volta emerse dal lavoro dei gruppi.
Facciamola visionaria: scuola digitale fra creatività e collaborazione
Nello specifico, si tratterà soprattutto di illustrare in pratica le modalità di formulazione di un’ipotesi di ricerca e come si procede, problema per problema, alla sua revisione logica e/o empirica attraverso un’applicazione “qualitativa” della cosiddetta razionalità bayesiana. Non è necessario, a tale scopo, che gli studenti (e i docenti) conoscano il teorema di Bayes e la sua dimostrazione, ma è sufficiente l’apprendimento sul campo della sua pratica euristica. Dunque, è possibile riplasmare lo stesso concetto di classe, nei termini di gruppi di lavoro bayesiani, resi possibili oggi anche grazie all’infrastrutturazione tecnologica del lavoro in aula e nell’extrascuola. Con il termine “gruppi di lavoro bayesiani” pensiamo a gruppi cooperativi in presenza e online che siano in grado di imparare scoprendo insieme e, al contempo, massimizzando il valore della creatività soggettiva e del talento individuale di ciascun membro del gruppo medesimo. Questa specifica caratteristica, implicita nella logica bayesiana, nella sua estensione didattica rappresenta un potente mezzo di valorizzazione dell’atteggiamento critico e della capacità degli studenti di impostare e risolvere problemi ricorrendo non solo alle nozioni apprese in classe, ma anche valorizzando e mettendo al servizio del gruppo di ricerca specifiche attitudini e talenti individuali (personalizzazione dell’apprendimento). Il Problem solving cooperativo prevede l’utilizzo dei notebook o dei tablet previsti nella Tool box per il lavoro dei gruppi.
Situation room
In questa terza fase l’insegnante allestisce di fatto una Situation room digitalmente aumentata (Wenger, 1998) per l’analisi e la valutazione delle conoscenze. Ovvero, un momento di discussione che condivide e approfondisce i risultati del lavoro dei singoli team di ricerca, anche attraverso l’utilizzo delle fonti disponibili online come elemento di critica e controllo dei risultati e delle congetture degli altri gruppi.
È la fase più dialettica, quella in cui vengono resi “pubblici” i prodotti dei lavori cooperativi. Gli esiti dei gruppi si rendono, pertanto, disponibili alla critica e alle potenziali obiezioni degli altri “ricercatori”, i quali hanno tutto l’interesse a capire, mettendo alla prova con richieste di chiarimento e osservazioni nel merito, evidenze e conclusioni esposte dai “colleghi”. Anche perché i metodi e il lavoro degli altri gruppi potrebbero utilmente integrare o approfondire il proprio. In questo modo, al di là dell’acquisizione di competenze tematiche e contenutistiche, gli studenti si abituano al lavoro di gruppo; all’onestà intellettuale di sottoporre al controllo pubblico le proprie idee sui saperi e a chiedere conto delle ragioni altrui.
La Classe di Bayes come modello
In quest’ottica la Classe di Bayes è concepita come un modello didattico/ formativo modulato su una tipologia di cooperazione razionale (abilitata dalle tecnologie).
Se, infatti, da un lato è sempre più evidente come un setting “classico” si mostri insufficiente, per non dire incompatibile con gli stili di apprendimento sviluppati dai nostri studenti; d’altro canto, pare evidente che il progetto di digitalizzazione della scuola (e dell’insegnamento) non possa esaurirsi nei termini di un aggiornamento informatico dell’istituzione e dei docenti.
Proprio alla luce di tale consapevolezza – ovvero della necessità di ripensare e riplasmare le dinamiche (oltre che gli spazi) dell’apprendimento, è necessario creare un modello per la nuova scuola digitalmente aumentata, scardinando l’assetto tradizionale della lezione frontale, per aprire un orizzonte fisico e concettuale funzionale ad una effettiva didattica attiva.
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