Quanto a lungo un’impresa tech può vivere di rendita ai vertici mondiali, aggiungendo continui miglioramenti incrementali a quella che originariamente era stata una innovazione radicale di enorme successo e continuando a perfezionare il business model associato sin dall’inizio alla stessa, per ampliare progressivamente il menu di servizi offerti – attraverso una piattaforma a ingresso “controllato” e “a pagamento” per gli esterni – a una platea di clienti nel frattempo enormemente espansasi? Quali fattori possono rappresentare una reale minaccia?
Può essere l’immagine di innovatività, per lunghi anni sopravvissuta, ad appannarsi? Può essere la geopolitica con le sue profonde trasformazioni? Possono essere le authority antitrust, le statunitensi e le europee in primo luogo, a contestare il business model perché troppo chiuso agli apporti esterni? L’impresa in questione è chiaramente Apple.
Dopo aver superato – prima nella storia – i 3 trilioni di dollari di capitalizzazione meno di un anno fa, a luglio 2023, e averli superati di nuovo a metà dicembre, dopo una prima caduta di oltre 300 miliardi di dollari, è ora (25 marzo) di nuovo scesa, a 2.640 miliardi.
Apple, il sorpasso di Microsoft
Microsoft, avversaria storica di Apple sin dalla nascita quasi contemporanea mezzo secolo fa, che a luglio 2023 aveva più o meno il valore che attualmente ha Apple, è salita – con un balzo di 500 miliardi circa – a oltre 3,1 trilioni di dollari. E anche la seconda posizione potrebbe essere in discussione, se Nvidia continuerà la sua crescita (rischio bolla?) in Borsa.
Fermo restando che non è la prima volta che Apple appare prossima a cadere in disgrazia, e che finora è sempre riuscita a reagire con successo, quali sono in termini più specifici – e in particolare agli occhi delle Borse – i maggiori pericoli che essa corre?
Fig. 1 – La dinamica del sorpasso
Tab. 1 – Le 7 imprese di maggior valore al mondo (dati Companies.MarketCap relativi al 25 marzo 2024): riuscirà Nvidia a superare Apple?
I timori sulla tenuta dell’iPhone
In primo luogo vi è la paura di un calo in prospettiva nei volumi di vendita degli iPhone, tuttora la voce principale (anche se percentualmente in progressiva discesa), nonché del premio di prezzo di cui hanno finora goduto. Gioca il fatto che il mercato degli smartphone sia piuttosto saturo. Giocano altre ragioni, ne parlerò nel seguito, per quanto riguarda il mercato cinese (il secondo per Apple dopo quello statunitense con un peso del 20% circa sul totale), dove nelle prime sei settimane del 2024 – un periodo molto importante in Cina per gli acquisti – le vendite sono calate del 24% rispetto a un anno prima.
La delusione dell’Apple Vision Pro
In secondo luogo, a fronte di un settore servizi in crescita, è svanita la speranza di una apparizione a breve di dispositivi della casa in grado di compensare i possibili cali negli iPhone. Ha deluso in particolare – nonostante la raffinatezza tecnologica – l’Apple Vision Pro (realtà virtuale e realtà aumentata), giudicato troppo costoso e non sufficientemente comodo da usare per diventare un oggetto da consumo di massa. Ha deluso meno, ma soprattutto perché il mercato se lo aspettava, l’abbandono ufficiale del progetto (in corso da molti anni) di entrata nel comparto dell’auto.
La totale assenza di iniziative nell’intelligenza artificiale
In terzo luogo, l’appannamento dell’immagine di Apple – come impresa sempre presente sulle frontiere dell’innovazione – per la totale assenza di sue iniziative nell’ambito dell’intelligenza artificiale, nel momento di massima popolarità della stessa dopo il lancio di ChatGPT da parte di OpenAI e l’orchestrazione di una grande campagna mediatica da parte di Microsoft (finanziatore e principale azionista di OpenAI): una assenza secondo Tim Cook destinata a cambiare presto di segno (Bloomberg ha segnalato di recente i contatti in corso con Google per la concessione di una licenza per il suo AI engine Gemini), ma sarà il mercato a pesare il valore delle future iniziative.
La forte esposizione ai rischi geopolitici
In quarto luogo (come ordine espositivo e non certo come rilevanza) la geopolitica, più specificamente l’inasprimento delle relazioni – politiche, economiche e commerciali – fra Stati Uniti e Cina. E’ un problema molto grosso per Apple, particolarmente sentito da Tim Cook che sulla Cina aveva scommesso con successo due volte: come Paese dove far produrre gli iPhone e gli altri dispositivi (attraverso contract manufacturer quali la taiwanese Foxconn), quando era stato incaricato da Steve Jobs di riconfigurare l’assetto logistico-produttivo; come mercato in prospettiva di fondamentale importanza, una volta divenuto CEO. Attualmente Apple si trova nella difficile situazione di dover diversificare i Paesi in cui far produrre i suoi dispositivi e ha iniziato a spostare parte della produzione – sempre attraverso Foxconn – in India, con tutte le difficoltà dovute all’assenza in questo Paese di un ecosistema di imprese paragonabile a quello cinese. Si trova nel contempo ad affrontare un mercato più ostile:
- ove il governo ha proibito – per ragioni di sicurezza nazionale – l’uso per motivi di lavoro dei suoi cellulari ai funzionari delle agenzie governative e fa campagna a favore delle marche cinesi;
- ove Huawei, dopo essere riuscita a superare le restrizioni poste dagli US alle forniture dei microprocessori più avanzati, sta diventando un concorrente sempre più temibile (+ 64% nelle prime sei settimane dell’anno a fronte del – 24%), in particolare nella fascia alta del mercato, sino a far dire in un suo articolo a The New York Times “Huawei’s innovation has made Apple’s latest models appear stodgy by comparison”.
L’attacco del Justice Department e l’accusa di monopolio
In questo contesto problematico è arrivato nei giorni scorsi, dopo la multa di quasi 2 miliardi di dollari da parte della UE “for anticompetitive music streaming practices”, un attacco di portata molto più generale da parte del DOJ-Justice Department (che fa seguito ai due lanciati dallo stesso DOJ negli anni scorsi contro Alphabet-Google e a quelli lanciati dalla FTC-Federal Trade Commission contro Amazon e contro Meta). Un attacco che secondo The Wall Street Journal – “Ghost of Microsoft Stalks Apple as DOJ Takes Its Shot: Bill Gates has said his legal battle distracted him from the rise of mobile” – rievoca un precedente storico famoso, quello dell’attacco del DOJ a Microsoft nel 1994, che in una prima sentenza – poi revocata in appello – imponeva addirittura una spaccatura in due di Microsoft.
Un precedente storico richiamato per un effetto non visibile che la gestione della lunga causa ebbe secondo Bill Gates, che fu quello di distrarre la società dall’importanza che stava assumendo il mobile, lasciando libera la strada a Steve Jobs e al suo iPhone. Un precedente, se si accetta la giustificazione di Bill Gates rispetto a una distrazione strategica non piccola, che accenna al pericolo che sia Tim Cook questa volta a essere distratto, in un momento (per le ragioni viste sopra) di particolare delicatezza, che richiederebbe invece la sua completa concentrazione.
Di un particularly challenging time parla anche il Financial Times – “Apple is going to war’: US lawsuit adds to iPhone maker’s antitrust woes – Regulators in Washington and the EU have tech giant in their crosshairs at particularly challenging time” – che sottolinea due elementi interessanti del documento di accusa:
- l’inclusione come primo fra i “colpevoli per il reato di monopolio” di Steve Jobs: “it was Jobs’ vision to maintain an oppressive monopoly, identifying at an early stage the power the iPhone could wield over the online economy — and going so far as to direct executives to “force” developers to use only its own payment system to keep them locked into its ecosystem”;
- l’obiettivo non solo rivolto al passato del processo antitrust, laddove l’atto di accusa “makes plain that the purpose of the case is not just to hold Apple to account for prior violations but also to prevent it from stifling innovation and competition in future product categories, such as in-car systems and financial services”: l’obiettivo cioè di sbarrare la strada a future invasioni di campo in altri settori.
Mentre il riferimento all’entrata negli in-car systems sembra datato, dal momento che Apple ha smontato il comparto che si occupava dell’auto, diverso e molto più delicato è il discorso concernente i servizi finanziari: un ambito in cui la maggior parte delle big tech sognerebbe di entrare, ma ove le reazioni – delle grandi banche, delle istituzioni finanziarie, dei governi e della politica in genere – possono essere molto vivaci. “Chi tocca la finanza muore”, si potrebbe dire guardando al caso cinese, dove XI Jinping ha letteralmente distrutto Alibaba (vale ora 180 miliardi di $ e ne era arrivata a valere 900) nel momento in cui si accingeva a quotare la sua branch finanziaria con l’IPO di maggior valore nella storia.
Che cosa comporterà la procedura antitrust per Apple
Ovviamente, non disponendo di una sfera di cristallo, farò solo due considerazioni a margine. La prima è che, arrivando questo attacco a pochi mesi dalle elezioni presidenziali statunitensi, bisognerà vedere se il capo della divisione antitrust del Justice Department – colui cioè che farà da pubblico ministero a fronte del giudice federale cui è affidata la sentenza – sarà ancora Jonathan Kanter e se la sua permanenza o meno avrà un impatto sulla determinazione con cui verrà portata avanti l’accusa.
La seconda, se si guarda ai due casi relativamente più recenti – il caso Ibm iniziato alla fine degli anni ’60 e il caso Microsoft (citato in precedenza) a metà degli anni ’90 – è che quasi certamente il processo si trascinerà a lungo, che difficilmente un’accusa che tocca il business model di Apple come concepito sin dalla sua nascita risulterà vincente, ma che Apple sarà costretta a essere molto più guardinga nelle sue mosse (sicuramente a restare lontana dalla finanza) e a fare volontariamente alcune concessioni volte a depotenziare i punti di attacco più pericolosi.