L’Italia sta affrontando a grande velocità la transizione digitale. Per portarla a pieno compimento, però, non bastano le tecnologie: serve il capitale umano che le sappia utilizzare, arricchendo e innovando il proprio lavoro quotidiano. La cultura del digitale non è più una speciality, ma una commodity: nessuno può più pensare di operare nel mondo del lavoro senza avere determinate caratteristiche professionali.
Le competenze digitali dei dipendenti pubblici: una sfida per la ripresa del paese
Digitale, pandemia e incremento dell’efficienza del sistema paese
Da quasi due anni a questa parte, infatti, l’uso del digitale è il traino di grandi cambiamenti. I cittadini, per gestire la quotidianità di fronte alle limitazioni sanitarie; le imprese, per cogliere le opportunità dell’economia nel “new normal”; la Pubblica Amministrazione, per garantire i diritti di ciascuno e la continuità nell’erogazione dei servizi.
Il risultato netto di queste dinamiche comincia a prendere la forma di un incremento nell’efficienza del sistema Paese e di un avanzamento culturale che, in condizioni di normalità, sarebbero avvenuti in decenni anziché in pochi mesi. Volenti o nolenti, gli italiani si sono ritrovati a usare piattaforme tecnologiche per gestire le conversazioni private, il lavoro da remoto, la didattica a distanza, ordinare i pasti o la spesa online.
Ai blocchi di partenza di questa sfida, il mondo delle imprese si è presentato in ordine sparso. In prima linea i grandi gruppi e i protagonisti del Made in Italy (che da tempo avevano investito nella trasformazione digitale e nello smart working); di rincalzo un manipolo di imprenditori attenti all’innovazione (pronti a sfruttare le opportunità dell’economia “new normal”); nelle retrovie, la stragrande maggioranza delle imprese italiane, largamente scettica verso Internet e culturalmente (ancora) lontana dal digitale.
Il ruolo della PA nella trasformazione digitale: competenze digitali la chiave di volta
In questo scenario la Pubblica Amministrazione gioca un ruolo di interlocutore privilegiato. Sul piano delle regole, lockdown e distanziamento sociale hanno spinto la Pa ad accelerare i processi per gestire più facilmente da remoto la burocrazia amministrativa riguardante le imprese. Sul piano della promozione e dello sviluppo, ristori, sostegni e incentivi sono ormai gestiti attraverso piattaforme in cui i Big Data pubblici sono una leva al servizio della crescita del sistema Paese.
Che si tratti di dialogare con imprese già digitalizzate e capaci di esprimere una domanda di servizi puntuale e di elevata qualità (per competere ad armi pari sui mercati globali), o di alfabetizzare rapidamente i circa tre milioni di micro e piccoli imprenditori che – secondo Unioncamere – sono ancora alle prime armi, le competenze digitali sono e saranno la chiave di volta per il successo della missione di una Pa che oggi – soprattutto alla luce del PNRR – è chiamata a dare un impulso decisivo nel colmare quel gap che ci separa dai paesi digitalmente più avanzati.
Nell’ultima edizione del Digital Economy and Society Index (DESI) pubblicata a giugno 2020, la Commissione Europea ha collocato l’Italia al 25esimo posto su 28 Paesi Ue nella classifica generale e in 19esima posizione per quanto riguarda il singolo parametro relativo ai servizi pubblici digitali.
Sul fronte specifico delle competenze digitali, secondo un rapporto della Corte dei conti Ue, ad un anno esatto dall’inizio della pandemia oltre il 50% della popolazione italiana attiva ne è addirittura del tutto privo (contro il 35% della media europea). È stato calcolato che nel 2024 al nostro Paese serviranno 1,5 milioni di specialisti ICT mentre nei prossimi cinque anni, 2,7 milioni di posti di lavoro richiederanno nuove competenze, di cui oltre il 50% saranno digitali.
Come superare gli squilibri
Per contribuire a superare questi squilibri, la Pa deve saper parlare la stessa lingua delle imprese. Come terminale tecnologico di quella parte della Pa che per vocazione istituzionale parla al mondo delle imprese, InfoCamere – la società delle Camere di Commercio per l’innovazione digitale – ha fatto propria questa consapevolezza, interpretandola in chiave di crescita delle competenze digitali. Nella nostra visione di Pa che vuole “innovare per crescere”, tra le leve più importanti su cui agire ve ne sono in particolare due: la prima è l’investimento nella formazione continua del personale; la seconda è il dialogo con il mondo della formazione, non solo universitaria e post-universitaria ma anche degli Istituti Tecnici Superiori (ITS).
Infocamere e la formazione
In InfoCamere – una realtà con oltre 1000 addetti, più della metà dei quali laureati e con specializzazioni ICT e STEM – abbiamo attivato 12 convenzioni per l’avvio di stage con università ed enti di formazione e, in alcuni casi, abbiamo modo di contribuire e orientare i contenuti dei corsi di studio a fronte di stage o esperienze di alternanza scuola/lavoro. Ad oggi, ospitiamo 20 stagisti con l’obiettivo di formare le professionalità del domani, difficili da intercettare sul mercato del lavoro.
Proprio per questo investiamo nel training on the job, come canale con cui formare le competenze del futuro da inserire nel nostro organico, far crescere le risorse e curarne la formazione durante tutta la loro experience in azienda. Su questo fronte, nel 2020 sono state attivate 26mila ore di formazione totali, di cui il 61% in IT e specifica di ruolo. Per la formazione IT sono state erogate 82 giornate coinvolgendo 193 persone, per un totale di 30 corsi. Nel 2021 abbiamo già organizzato 54 giornate formative coinvolgendo 119 persone, per un totale di 18 corsi attivati. Negli ultimi due anni l’azienda ha anche accompagnato alla certificazione oltre quaranta dipendenti, grazie al ruolo della nostra struttura di sviluppo HR.
La formazione dei digital skill è onerosa. Non sempre è semplice essere competitivi e attrattivi con i candidati che rispondono pienamente ai nostri fabbisogni, spesso per il loro timore di non trovare un ambiente di crescita e sviluppo. L’indice di turnover delle risorse in InfoCamere è rimasto molto contenuto negli anni non solo grazie all’attenzione alla formazione continua ma, in generale, alla scelta di investire sul talento delle persone e su un contesto altamente attrattivo. Dal sistema di welfare alla sicurezza assicurativa, dalla flessibilità di orario allo smart working. Nella gestione dell’emergenza Covid, ad esempio, siamo riusciti a mettere in sicurezza 900 persone in meno di 48 ore.
Conclusioni
Oggi abbiamo le tecnologie, la consapevolezza e la disponibilità degli utenti. Resta da assicurare che tutti possano avere accesso alla rivoluzione digitale perché si possa compiere un nuovo “Rinascimento” nel nostro Paese. Se la Pubblica amministrazione vorrà esserne protagonista – e la digitalizzazione è un’occasione unica per farlo – deve puntare a far nascere uno spirito da civil servant fin dalla scuola, presentandosi ai giovani come un’alternativa valida alle altre opportunità disponibili sul mercato del lavoro. Per farlo, deve necessariamente uscire dal cliché del “posto fisso” per entrare in una dimensione in cui la capacità di offrire a cittadini e imprese servizi efficienti e tecnologicamente avanzati sia – a un tempo – motivo di orgoglio personale, prestigio sociale e gratificazione economica.