Il rapporto Desi 2022 fotografa un quadro europeo certamente con progressi rilevanti (tra tutti è significativa la riduzione complessiva del divario tra le performance degli Stati membri, con un’accelerazione dei Paesi in ritardo), ma ancora con carenze significative rispetto agli obiettivi definiti per il 2030 nell’ambito della prospettiva del Decennio Digitale.
Ed è un segnale importante che il rapporto evidenzi come negli ultimi 4 anni, nel periodo 2017-2021, l’Italia sia il Paese che abbia realizzato la maggiore performance sopra le aspettative, con ripercussioni positive anche nel ranking, che adesso la vede al diciottesimo posto, continuando nella risalita dei risultati e della graduatoria.
Desi 2022, per l’Italia un risultato agrodolce: perché siamo l’emblema di un’Europa a due velocità
Sull’area del Desi “capitale umano”, e in generale sulle competenze digitali, la situazione europea, e nel suo ambito quella italiana, mostra ancora dei dati molto lontani dagli obiettivi del 2030, nonostante i progressi registrati anche nell’ultimo anno. Ma su quest’area è utile un approfondimento, per analizzare meglio i dati e valutare il percorso intrapreso, sapendo che in quest’ambito la distanza temporale tra il momento dell’attuazione degli interventi e la possibilità di rilevazione statistica dei risultati non è certamente breve. Si tratta di interventi che necessitano di processi di cambiamento profondi e quindi con tempi lunghi.
Competenze digitali, una sfida europea
La centralità delle competenze digitali è ben evidenziata dall’introduzione posta al rapporto DESI per l’analisi della sezione “Capitale umano”: “La trasformazione digitale è in aumento e interessa ogni aspetto della vita. Le competenze digitali sono importanti perché sono alla base del modo in cui interagiamo e di come viene condotto il lavoro moderno. Per molte professioni moderne, le competenze digitali sono semplicemente competenze essenziali per la vita. Le competenze digitali richieste sul posto di lavoro sono più avanzate e le aziende e le istituzioni – pubbliche e private – si aspettano che la maggior parte dei propri dipendenti le disponga. Con l’aumento della dipendenza da Internet e dalla tecnologia digitale, la forza lavoro deve stare al passo con l’evoluzione della domanda di competenze. Senza una salda padronanza delle competenze digitali, non c’è modo di promuovere l’innovazione e rimanere competitivi. Lo stesso vale per il settore pubblico che avrà bisogno di competenze digitali nel contesto professionale o personale quotidiano.”
Il livello di competenze digitali non influenza soltanto, a valle, la fruizione dei servizi digitali e l’utilizzo autonomo della rete, ma determina anche la velocità di risposta e di azione delle organizzazioni pubbliche e private rispetto alla necessaria attuazione della trasformazione digitale. Da un punto di vista esclusivamente di analisi dei dati del rapporto DESI, il tema competenze digitali, oltre a determinare i risultati della sezione Capitale Umano, influenza in modo rilevante sia la maturità digitale delle imprese che la diffusione dei servizi digitali pubblici (e quindi anche i dati delle rispettive sezioni 3 e 4 del Desi), riguardando di fatto, complessivamente, tre dei quattro punti cardinali del Decennio Digitale.
La situazione europea, come già commentato in occasione della pubblicazione dei dati Eurostat 2021 , è ancora lontana dagli obiettivi fissati per il 2030, con un 54% di europei con competenze digitali almeno di base a fronte dell’obiettivo dell’80% , solo due Stati Membri (Svezia e Finlandia) vicini già a questa quota, e 8 Stati, tra cui l’Italia, con percentuali inferiori al 50%. Allo stesso modo distante è l’obiettivo di 20 milioni di specialisti ICT, a fronte degli 8,9 milioni attuali e con quantità abbastanza inferiori all’obiettivo anche da parte dei Paesi con migliori performance.
Questo, non è un caso, si riflette anche sulle capacità digitali delle imprese, soprattutto PMI, con una percentuale di PMI che vendono online ancora molto inferiore al 30% che era l’obiettivo fissato dalla Commissione, da raggiungere diversi anni fa.
Analizzando i dati del livello di competenze digitali di base, misurato da Eurostat nel 2021 rispetto alle 5 aree del framework DigComp, che quindi assume indiscutibilmente il ruolo di riferimento per la definizione delle competenze digitali degli individui, si nota che i fattori di differenziazione e quindi di svantaggio rimangono quelli già rilevati nei rapporti precedenti:
- il vivere o meno in una zona rurale (in media la percentuale di chi ha competenze digitali di base in zona rurale è inferiore del 15% a chi vive in una zona urbana);
- il possedere o meno un certo livello di istruzione (in media la percentuale di chi ha competenze digitali di base avendo un livello di istruzione formale nullo o basso – scuola dell’obbligo- è inferiore del 47% rispetto a chi ha un livello alto-universitario);
- lo stato occupazionale (in media la percentuale di chi ha competenze digitali di base ed è disoccupato è inferiore del 14% rispetto a chi invece ha un’occupazione in proprio o in una organizzazione).
In più, il divario digitale di genere rimane alto, al 4%.
Come raggiungere gli obiettivi al 2030
Rispetto al livello di competenze digitali di base è utile prendere in considerazione l’analisi ulteriore effettuata nel Desi 2022 rispetto alla popolazione con competenze inferiori al livello di base, in particolare per quanto riguarda il livello denominato “basso”, corrispondente alla popolazione con livello base in 4 delle 5 aree di competenza prese in esame, e quello “stretto” (3 aree su 5). Se consideriamo infatti questa popolazione, non molto lontana dall’acquisizione del livello base, la percentuale europea salirebbe all’80%, obiettivo 2030, che quindi così può essere considerato un obiettivo ambizioso sì, ma realistico.
D’altra parte, un ruolo fondamentale riveste anche il dialogo strutturato sull’educazione e le competenze digitali, con l’obiettivo di supportare ciascuno Stato membro nella definizione delle roadmap verso gli obiettivi fissati per il 2030, ma anche per definire le azioni che può intraprendere la Commissione UE a livello di supporto e indicazioni per i diversi Stati. In questo senso sono particolarmente rilevanti anche le riflessioni dal recente incontro dei coordinatori delle Coalizioni Nazionali, in cui sono state identificate alcune criticità in ambito di governance e coordinamento dell’attuazione della strategia sulle competenze digitali in molti Paesi. Criticità che spingono ad un ruolo di maggiore spinta della Commissione UE per favorire un approccio organico e multistakeholder che veda insieme istituzioni, settore pubblico, privato e del terzo settore, così da velocizzare la messa a terra delle strategie oltre che favorire una loro più ricca ed efficace definizione.
Su questo fronte di azione la Commissione, come anche suggerito durante l’incontro, potrebbe rendere il Dialogo come uno strumento e una piattaforma permanente di confronto e scambio tra gli Stati Membri, almeno da qui al 2030, poiché assicurare un livello omogeneo di consapevolezza digitale nella popolazione europea è una condizione sociale precompetitiva, la cui realizzazione rappresenta un valore comune per tutti gli Stati dell’Unione. Allo stesso modo si può porre il tema del numero di specialisti ICT, oltre che della convergenza di genere. In quest’ambito, con percentuali oggi di poco superiori al 4% degli specialisti ICT sulla popolazione occupata, Germania e Francia con oltre tre milioni di specialisti ICT contribuiscono a oltre il 30% della quantità complessiva europea, e l’Italia, con una percentuale del 3,8% contribuisce comunque con quasi il 10%. Questo indica come l’incremento debba realizzarsi con interventi di accelerazione su tutti i Paesi, e in primo luogo quelli con più alta industrializzazione, e quindi anche in questo caso con una spinta organica in ambito europeo, come ad esempio è l’approccio del Digital Europe Programme.
La situazione italiana
Il rapporto Desi 2022 mostra che la percentuale degli italiani con competenze digitali inferiori a quelle di base è ancora maggioritaria (54%) ma, come viene evidenziato, si sta riducendo il gap rispetto agli altri Paesi UE. Se consideriamo le fasce di popolazione con livelli base di competenze digitali su almeno 3 aree su 5 del DigComp, la percentuale è di poco sopra il 70% (obiettivo 2026 del Piano operativo di attuazione della strategia nazionale ) ma, a differenza degli altri Paesi, con una percentuale ancora alta di popolazione che non utilizza Internet (sfiora il 20%).
Per migliorare la performance attraverso gli indicatori chiave, l’Italia deve affrontare la diffusa mancanza di consapevolezza digitale, sapendo che questo risultato è strettamente correlato con il potenziamento complessivo del sistema educativo e con la riduzione delle disuguaglianze sociali, di genere, territoriali. In questo senso, il digital divide, come sottolinea il rapporto BES 2021, “tende ad aumentare le disuguaglianze socio-culturali ed economiche e ad aggravarle ulteriormente”. E le differenze nella conoscenza digitale sono significativamente pronunciate tra le regioni.
I fattori di svantaggio che maggiormente influiscono sul raggiungimento di un livello base di competenze digitali sono particolarmente presenti in Italia, e in questo senso indicano le aree di priorità per gli interventi.
In più l’Italia sconta il ritardo con cui è stata considerata la rilevanza del tema competenze digitali. La strategia nazionale e il lancio della Coalizione Nazionale sono del 2020 , così come la prima versione del piano operativo è di dicembre 2020. Sul fronte delle competenze digitali di base le prime azioni a livello nazionale devono ancora dispiegarsi: questo è il caso dei due progetti “Servizio Civile Digitale” e “Rete dei servizi di facilitazione digitale”, per i quali sarà possibile osservare i primi risultati sul livello di competenze digitali della popolazione soltanto a partire dal 2023, e allo stesso modo importanti interventi, anch’essi inclusi nel PNRR, come il Fondo Nuove Competenze, con interventi sulle competenze digitali di base per i lavoratori e anche il piano GOL rivolto a giovani e NEET, oltre che gli interventi previsti dalle agende digitali regionali. Il progresso registrato nel 2021 e che ci si aspetta sia presente anche nel 2022, è dovuto al primo impatto dell’azione di spinta e coordinamento legata al piano operativo e ai progetti della Coalizione Nazionale, naturalmente in integrazione con gli effetti delle misure legate al periodo pandemico, con un utilizzo forzatamente maggiore della rete e dei servizi digitali pubblici e privati.
Per quanto riguarda il numero di specialisti ICT ci si aspetta un impatto in particolare dal “Fondo per la Repubblica Digitale”, oltre che, con diversa prospettiva temporale, dalla riforma degli ITS da poco approvata. D’altra parte su questo tema, come anche evidenziato dal rapporto BES 2021, influisce in generale la riduzione del numero di laureati, per cui l’azione complessiva, per velocizzare i tempi di impatto, deve auspicabilmente valorizzare le esperienze delle imprese attualmente impegnate nell’offrire opportunità e percorsi di formazione, con ottimi risultati, come si rileva anche dall’analisi dei progetti della Coalizione Nazionale , agendo quindi in un contesto di potenziamento degli ecosistemi di innovazione e di educazione.
Riflessioni conclusive
Il “cambio di passo” per l’Italia sul fronte del Capitale Umano, auspicato nel rapporto Desi 2022, si può così realizzare a partire dalle azioni già definite, che naturalmente nel corso dell’attuazione potranno aver bisogno, sulla base del monitoraggio e della valutazione dei risultati via via ottenuti, di arricchimenti e rafforzamenti, sempre in una logica organica di azione sull’ecosistema educativo.
La Strategia nazionale per le competenze digitali e il relativo piano operativo, sviluppato nell’ambito di Repubblica Digitale, tracciano un percorso strategico per la politica delle competenze digitali, investendo in azioni strutturali e garantendo la rilevanza delle azioni in corso, creando le condizioni di base per il miglioramento.
Come si rileva anche dal rapporto, il percorso è ben definito ma la strada da percorrere è ancora lunga, perché si tratta di un cambiamento culturale, in grado di impostare un sistema permanente che consenta non solo di acquisire, ma di mantenere nel tempo la necessaria consapevolezza digitale.