fondi europei 2021-2027

Competenze digitali, l’Italia impari da Francia e Finlandia

I fondi della nuova programmazione europea 2021-2027 saranno un’occasione importante per un piano straordinario di intervento sulle competenze digitali che, partendo dagli enti di istruzione, si estenda all’intero corpo sociale. Colmare il gap è cruciale per dare un futuro di lavoro e stabilità alle nuove generazioni

Pubblicato il 28 Gen 2020

Antonello Pellegrino

Dirigente della Regione Autonoma della Sardegna

digital skill

Nel suo discorso al Parlamento europeo la Presidente della Commissione eletta il 27 novembre, Ursula von der Leyen, ha espressamente citato sei punti di assoluto e prioritario interesse riguardo l’era digitale[1]. Tra essi non compare esplicitamente il tema delle competenze digitali.

Forse per mancanza di interesse? Probabilmente perché è un aspetto talmente basilare che sarebbe come citare (oggi) l’analfabetismo di base nell’Unione come fatto esiziale, e perché sta ai singoli ordinamenti degli Stati membri provvedere.

Ma intanto, in Italia, la situazione è drammatica: è evidente che serve un nuovo, incisivo piano di intervento, ma, ci chiediamo interessa veramente il loro sviluppo?

Il metodo di Occam applicato al digitale

Quando, nei lontani anni del Liceo, il professore del quarto anno spiegava su cosa filosofeggiasse Guglielmo di Occam, ignoravo (beata gioventù!) si trattasse di uno dei saggi più vicini ai costrutti di pensiero e alle metodiche operative delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC, qualcuno tra chi legge probabilmente ricorda l’acronimo; ci torneremo). Uno dei pensatori più atti a evidenziare il dannoso perdurare della dicotomia, tutta italiana (torneremo anche su questo), tra sophia e techne. Ricordo a me stesso che si trattava, seguendo una sintesi amata dal compianto collega Luciano De Crescenzo (occasione per ricordarlo), di “quello del rasoio”. Fra le sue molteplici declinazioni, l’apice del suo pensiero è così riassumibile: la spiegazione più semplice è con alta probabilità quella esatta. Proviamo a applicarne il metodo al contesto delle competenze digitali in Italia, lasciando momentaneamente nello scaffale l’Adorno Gregory Verra, col soccorso del web.

Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem (Non moltiplicare gli elementi più del necessario)

Prendiamola (apparentemente) alla lontana. Se partiamo da un confronto su base internazionale, stiamo moltiplicando gli elementi e quindi contravvenendo alle indicazioni occamiche? Ovviamente no. La competizione economico-tecnologica è globale, e in quel contesto ci si deve letteralmente misurare (lo si dice fino alla nausea nei nostri lidi, salvo il più delle volte dimenticarsene). L’immagine che segue, ben nota, è estratta dal rapporto “I-DESI 2018: How digital is Europe compared to other major world economies?”

Notiamo che la media dei paesi della UE si posiziona in modo non brillante ma decoroso, al suo interno ben quattro stati danno punti ai migliori tra i migliori, mentre gli ultimi quattro stati della UE si posizionano senza necessità di commento, pronti a essere già superati nel corrente anno dai nuovi colossi dell’economia, stante anche la loro necessità di puntare maggiormente sul mercato interno in tempi di dazi e ciclico rallentamento economico complessivo. Vediamo ora al volo il noto indice su scala europea.

Figura 2: The Digital Economy and Society Index (DESI) – DESI 2019

L’Italia risale faticosamente la classifica posizionandosi momentaneamente al quintultimo posto. Ma come, ancora l’indice DESI, diranno alcuni? Quello che non terrebbe conto di tutti i fattori ecc. ecc.. Occam cosa direbbe? Presumo, ci suggerirebbe di lasciar perdere questo filone di pensiero. Anzitutto perché questo è l’indice di riferimento UE, così come lo si calcola attualmente, ci piaccia o meno. E poi, siamo veramente sicuri che con un altro indice, diversamente elaborato, l’Italia scalerebbe vertiginosamente le classifiche? Suvvìa. Quindi concentriamoci sui temi del Capitale umano e dell’Uso di servizi internet, strettamente correlati al possesso di competenze digitali. Ondata di osservazioni: ma senza adeguata connettività, e poi con una PA antiquata nelle procedure, e così via benaltreggiando. Occam che risponderebbe?

Pluralitas non est ponenda sine necessitate (Non considerare la pluralità se non è necessario)

Ovvero, non spostiamo il tiro ripetendoci e allora la BUL? È necessario dunque considerare la pluralità dei fattori? Fino a un certo punto. Se lo si fa, va però fatto in modo non capzioso. È un caso se l’Italia ha qualche problema di competenze diffuse in ambito scientifico-tecnologico, e allo stesso tempo l’amarezza di veder fuggire all’estero per mancanza di opportunità sempre più giovani stufi di non essere pagati per come lavorano, e di non lavorare su ciò che hanno studiato? Rinvio alla lettura del recente specifico documento “Commission Staff Working Document – Accompanying the document Proposal for a council recommendation on Key Competences for LifeLong Learning”. Si tratta spesso di giovani muniti di solide competenze scientifico-tecnologiche, ICT compreso. È vero, in Italia sono presenti meno profili professionali di quelli che sarebbero necessari. Ma, una volta assunti, vengono retribuiti adeguatamente e hanno potenzialità di carriera simili a quelle che prima o poi trovano oltre frontiera? Ne siamo certi? Se riteniamo necessario considerare la pluralità, consideriamola estensivamente. Trovare occupazioni sottoretribuite rispetto agli standard europei, o con sviluppi professionali bloccati, a lungo andare non incentiva a intraprendere corsi di studio impegnativi (e ritenuti in fondo, diciamocelo, roba da nerd nel bel paese là dove ‘l sì suona). L’insufficienza del numero di specialisti e superesperti, inoltre, non compensa certo la mancanza di competenze digitali diffuse. Che va di pari passo con i crescenti problemi di analfabetismo funzionale di sempre più vaste aree del tessuto sociale, ma questo accresce l’entità del problema anziché diminuirla. E quindi?

Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora (È inutile fare con più ciò che si può fare con meno)

In Italia, per lo meno dal PON Scuola 1994-1999 (chi scrive vi ha collaborato), e dalle programmazioni POR FESR e FSE che si sono succedute anche su base territoriale, si affronta strutturalmente e con finanziamenti certi il tema delle competenze sulle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione in ambito formativo, sia del personale che degli studenti. In assenza, la situazione probabilmente sarebbe stata anche peggiore, ma è evidente che quanto progettato, meglio ancora quanto realizzato, non è stato sufficiente. Non abbiamo fatto abbastanza nella giusta direzione (vedasi a riguardo l’ultimo recente rapporto “Programme for International Students Assessment – area indagini internazionali invalsi sintesi dei risultati italiani di Ocse Pisa 2018”). Gli studenti italiani, secondo questo rapporto, hanno ottenuto un punteggio nelle prove di matematica quasi in media con quello dei paesi OCSE, mentre in scienze sono nettamente al di sotto della media dei paesi OCSE (Italia 468 contro OCSE 489). Indoviniamo assieme come si siano posizionati in tema di “capacità degli studenti di comprendere, utilizzare, valutare, riflettere e impegnarsi con i testi per raggiungere i propri obiettivi, sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità e partecipare alla società”.

È evidente che occorre un piano straordinario di intervento che, partendo dagli enti di istruzione, si estenda però all’intero corpo sociale, nelle dovute articolazioni e competenze, sia esistenti che da sviluppare. I fondi saranno reperibili nella nuova programmazione europea 2021-2027, in analogia a quanto fatto nel quadro attuale dei fondi SIE ad esempio per in tema di Banda Ultra Larga, con l’auspicio che sin dalle fasi di programmazione (quindi, da ora) vi sia maggiore integrazione nell’uso delle risorse PON, quindi con pianificazione nazionale, e POR, cioè su base territoriale e di diretta competenza di Regioni e Province Autonome. Alcune esperienze testimoniano che si può fare. Non perdiamo anche questa occasione.

L’esempio di Finlandia e Francia

Vediamo infine in sintesi cosa fanno in uno Stato “primo della classe” sul tema, e in un altro confrontabile con l’Italia per dimensioni.

Finlandia

Il sistema educativo locale, pubblico e gratuito, presenta la modalità educativa digitale come aspetto essenziale. Il sito è già interessante di suo per semplicità di lettura e modalità accattivante di presentazione. L’uso di piattaforme specificamente progettate e gestite emerge come fattore essenziale, ma non solo. Riprendendo le parole del Ministro dell’educazione e cultura:

Education lies at the heart of society – Education is one of the cornerstones of the Finnish welfare society. We pride ourselves on an educational system that offers equal opportunities for education for all. Education from pre-primary to higher education is free of charge in Finland. The new core curricula for pre-primary and basic education adopted in 2016 focus on learning, not steering. Finnish teachers are highly educated and strongly committed to their work. The Finnish education system are grouped into levels of education. The Finnish system has no dead ends. Learners can always continue their studies on an upper level of education.

Evidentemente a quelle latitudini riescono non solo a parlarne ma anche a farlo, a giudicare dai risultati ottenuti nel confronto (in sede World Economic Forum) con un’altra realtà europea ma non UE e con una di altro continente. Interessante questa iniziativa educativa permanente, “Liberal adult education”: educational institutions that provide liberal adult education include adult education centres, folk high schools, learning centres, sports training centres (sports institutes) and summer universities.

Francia

Il paese d’oltralpe si colloca anch’esso nelle prime dieci posizioni della classifica precedente. L’iniziativa di Alleanza per le competenze digitali è articolata in quattro assi di intervento: Accompagnare la popolazione lavorativamente attiva nell’acquisizione delle nuove competenze necessarie, Adattare l’istruzione perché sia basata sul digitale, Aumentare le competenze professionali anche in termini di formazione permanente sul tema, Fornire a tutti i cittadini le competenze necessarie per la vita digitale in tutti i suoi ambiti. A giudicare dai risultati, probabilmente questa soluzione è efficace.

In conclusione, mi ripeto la domanda iniziale senza pretesa di darvi riposta: in Italia interessa realmente lo sviluppo di competenze digitali?

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  1. Per inciso, vi troverete qualche refuso, segno che alla fine della filiera di produzione di un documento una rilettura “umana” ci sta sempre bene, prima del rilascio. Sarà un caso? No, naturalmente anche la verifica di un testo digitale richiede competenze linguistiche, ma applicate in un ambito informatizzato, e il fatto che ciò si verifichi anche al massimo livello UE non ci può essere di alcuna consolazione, anzi. Forse proprio noi di lingua italica, con le nostre mille differenze linguistiche territoriali e un patrimonio anche immateriale senza confronti, siamo i più idonei a produrre cultura operativa digitale scevra da dicotomie umanistico-tecnologiche, già nei vari livelli d’istruzione?

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