Ben venga lo scatto di consapevolezza delle autorità sulle competenze e le figure professionali necessarie alla trasformazione digitale della PA. Ma allo stesso tempo occorre ricordare che altrettanto importanti sono il talento e la qualità delle loro opere realizzate dalle persone scelte a svolgere determinate funzioni.
E’ il pensiero che scaturisce dopo i recenti annunci di Agid (l’Agenzia per l’Italia digitale) e di Funzione Pubblica in tal senso.
Mappatura e autorilevamento delle competenze digitali PA
Agid ha pubblicato il documento riassuntivo che definisce le nuove figure professionali utili alla trasformazione digitale della PA, con l’ambizione dichiarata di offrire lo stesso strumento anche alle piccole e medie imprese del nostro paese.
Il documento scaturisce dalla consultazione condotta sui tre profili principali:
- Competenze digitali di base, sono le capacità di utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie dell’informazione per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione
- Competenze specialistiche, riguardano professionisti e futuri professionisti ICT e sono richieste sia nel settore privato che nel settore pubblico.
- Competenze di eLeadership sono le capacità di utilizzare al meglio le tecnologie digitali all’interno di qualsiasi tipo di organizzazione e di introdurre innovazione digitale nello specifico settore di mercato in cui si opera.
Contestualmente il Dipartimento della Funzione Pubblica annuncia un Syllabus sullo stesso tema, articolato in cinque aree tematiche, dove le competenze digitali auspicate, per chi lavora nella Pubblica Amministrazione, vengono sistematizzate al fine di offrire un percorso ragionato e articolato che sarà propedeutico (e questa è la vera novità) ad un processo di mappatura e autorilevamento.
Le competenze per ridefinire i processi organizzativi della PA
Siamo dunque di fronte a uno scatto di maturità e consapevolezza degli organi (istituzioni e agenzie governative in primis) preposti a presidiare questo tema diventato ormai strategico per la trasformazione digitale del paese tutto.
È indubbio e largamente condiviso il fatto che il vero divide del paese in tema di digitale non sia quello strumentale e/o di adeguamento alle tecnologie e alle applicazioni connesse, bensì la capacità di rendere il digitale profittevole, utile e per certi versi dirompente (disruptive) nel ridefinire i processi organizzativi dentro la Pubblica Amministrazione Italiana.
Quei processi che ostacolano e ritardano la messa in esercizio di servizi già largamente usati dai cittadini nel quotidiano e che si poggiano su una digital consumerization ormai accettata e diventata modello per rendere la vita quotidiana più semplice.
Cosa c’è di buono in questi documenti
Innanzitutto,
- Innanzitutto, la visione sistemica e strutturata in più dimensioni sul tema;
- La rinnovata consapevolezza, ormai ‘necessità improrogabile’, che servono competenze diverse da quelle che sinora abbiamo considerato necessarie;
- Abituano a ragionare orizzontalmente e in modo multidisciplinare, quindi non verticale o segmentato in cluster;
- Si definiscono essi stessi come ‘aperti’ e dunque in progress. Perché le competenze digitali non si possono fissare per ordine o scansione temporale;
- C’è un palese riferimento a strumenti di valutazione e a indicatori che diventa necessario quando si opera su temi, come quelli del digitale, che spesso si rivelano solo beta avanzate, buzzword o comunque modelli non sostenibili da un punto di vista di ROI;
- Lo studio e il confronto con ciò che avviene all’estero;
- Grande attenzione alla persona e alle sue competenze in contrapposizione all’attenzione sui processi e alle loro performance;
Cosa c’è che non (mi) va
Se devo essere sincero e franco, avendo spesso lavorato su questi temi non solo gestendo progetti ma soprattutto come stakeholder e/o esperto in vari tavoli preparatori, devo dire che manca una visione agile e destrutturata che possa indurmi ad essere fiducioso sulla velocità di attuazione di queste ‘Linee Guida’ e soprattutto sulla loro capacità di essere incisive nel cambiamento organizzativo auspicato.
La faccio breve portando un esempio. Per chi come me è abituato a lavorare su progetti di cooperazione trasfrontaliera e si rapporta con i partner in modalità agile e con filiera corta, appare un po’ un ossimoro definire specializzazioni articolate, declaratorie e dunque perimetri e vincoli che distinguano le competenze digitali. Non mi piacciono le classificazioni e tantomeno le certificazioni.
Giudicare dal talento non dal ruolo
Quando opero negli ambiti suddetti non chiedo mai al mio interlocutore che ruolo abbia nell’organizzazione e/o a che declaratoria di funzioni e obblighi è ascritta la sua figura.
Non mi interessa se il mio partner è un dirigente, un funzionario, un istruttore o un consulente. Mi interessa se, rispetto al WP, al Pilot o al Task che gli è affidato, riesca a raggiungere i risultati previsti negli obbiettivi che il progetto prevede.
Se, ad esempio durante una fase di progetto è necessario trovare un esperto di Design Thinking, piuttosto che un artista digitale abile nell’Information Design, o semplicemente un Social Media Manager, non guardo i corsi che ha effettuato, le certificazioni allegate al curriculum o la funzione per cui è inquadrato nel suo Ente. Guardo alle sue opere!
Quando dico guardo alle sue opere, significa che giudico il talento.
Potrei fermarmi qui ma la riflessione mi porta ad osservare che in tutto ciò vi è quasi l’ossessione di strutturare ciò che di per sé nasce come soft (le competenze trasversali) in un quadro più hard (competenze dimostrabili per certificazione e non per talento).
La grande battaglia sulle soft skill che tutti consideriamo necessarie e strategiche, sarà vinta quando le persone verranno scelte per ricoprire ruoli basandosi sul talento e sulla qualità delle loro opere.