skill gap

Competenze digitali per il lavoro, basta interventi shock: i veri problemi da risolvere

Per provare ad affrontare in modo sistematico i problemi di “skills gap” e “skills shortage” non bastano interventi shock di breve periodo, ma bisogna ragionare sul lungo periodo, in modo persistente e resiliente. E nessun paese può pensare di farcela da solo

Pubblicato il 31 Gen 2023

Maurizio Sobrero

Ordinario di Gestione dell’Innovazione, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

DaD-Didattica a Distanza

“Solo una parola: plastica …. il futuro è nella plastica” era il consiglio che il giovane “Laureato” Dustin Hoffman riceveva nel 1967. Da qualche anno i giovani che nel mondo stanno scegliendo cosa studiare all’università ricevono un consiglio ugualmente perentorio: digitale, il futuro è nel digitale. Per lungo tempo occuparsi di questi temi era legato ad una specializzazione settoriale e di competenze tecniche verticali che rientravano nell’acronimo ICT, Information and Communication Technologies. Da un po’ di anni, però, la pervasività delle applicazioni in ambiti diversi amplia le opportunità di impiego molto oltre la domanda specifica di settore, che era già elevata e in crescita.

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Il problema non è nuovo. Nel best seller internazionale “The world is flat” uscito nel 2006, il giornalista Thomas Friedman presentava tra i vari esempi dei cambiamenti introdotti dalla globalizzazione l’accelerazione nell’acquisizione dei servizi informatici indiani da parte delle imprese americane ed europee come esigenza imprescindibile per sopperire alla difficoltà di reperire risorse qualificate in breve tempo per sostenere una crescita sempre più rapida di prodotti e servizi digitali.

L’impatto del digitale sul lavoro

Per avere un’idea della portata di queste tendenze nel mercato del lavoro può essere utile soffermarsi su alcuni dati a livello europeo. Secondo Eurostat tra il 2012 e il 2021 gli addetti nel settore sono cresciuti del 50%, cioè otto volte di più della crescita complessiva dell’occupazione europea, che nello stesso periodo è stata pari al 6,3%. Questi 9 milioni di persone sono per l’80% uomini e rappresentano il 4,5% di tutti coloro che lavorano in Europa. Ma la crescita non è destinata ad arrestarsi, visto che uno degli obiettivi strategici della crescita digitale europea fissato dalla Commissione a marzo 2021 prevede che nel 2030 gli specialisti del settore siano 20 milioni, più del doppio di oggi.

Tra i vari ambiti di applicazione interessati da queste tendenze oramai consolidate, troviamo tutto ciò che ruota attorno alla sicurezza dei dati, delle applicazioni e degli strumenti di trasmissione e di elaborazione o, se vogliamo essere più sintetici, la “cybersecurity”. Quello che un tempo era considerato un ambito circoscritto e legato ad applicazioni molto particolari e specialistiche, infatti, è diventato sempre più rilevante con l’incremento dei volumi di traffico dati, il numero di oggetti connessi alle reti dati e la centralità delle interconnessioni per l’operatività di moltissimi soggetti pubblici e privati.

Questi aspetti sono uno degli elementi fondanti della “Dichiarazione europea sui diritti e i principi digitali per il decennio digitale” firmata lo scorso 22 dicembre dalla Presidente dell’Unione, la Presidente del Parlamento europeo il Presidente di turno del Consiglio europeo. Al punto 16, infatti, si afferma che “Ogni persona dovrebbe avere accesso a tecnologie, prodotti e servizi digitali che siano sicuri e protetti e tutelino la vita privata fin dalla progettazione, traducendosi in un elevato livello di riservatezza, integrità, disponibilità e autenticità delle informazioni trattate.”

Tra gli 11 milioni di persone con cui rinforzare le competenze digitali nella forza lavoro europea da qui al 2030 sarà quindi necessario trovarne non pochi che possano impegnarsi in questa direzione.

Le tendenze globali con cui confrontarsi

Ma quali sono alcune tendenze globali con cui confrontarsi per riuscire davvero a raggiungere questi obiettivi, anche considerando che anche molti altri paesi si stanno confrontando con problemi analoghi e si sono dati obiettivi analoghi? Possiamo distinguere tra due diversi tipi di problemi usando una terminologia consolidata nel dibattito internazionale. Il primo viene chiamato “skills gap”, ovvero l’asimmetria tra ciò sappiamo e ciò che ci viene richiesto sul mondo del lavoro che possiamo provare a colmare con il cosiddetto “skills upgrade”. Il secondo viene chiamato “skills shortage”, ovvero la mancanza vera e propria di competenze sul mercato del lavoro, sia per una vera e propria mancanza di opportunità di formazioni qualificata che per una quantità insufficiente di persone che vengono formate rispetto alla richiesta del mondo del lavoro.

Per riflettere sugli elementi strutturali su cui intervenire per affrontare questi due diversi tipi di problemi è utile ragionare riperdendo alcune categorie classiche dell’analisi economica e domandarsi cosa succede sul lato degli input, della capacità produttiva dei sistemi di formazione e di andamento della domanda.

Sul lato degli input ci sono tre aspetti rilevanti da considerare.

La tensione demografica mondiale

Il primo riguarda la tensione demografica mondiale e le diverse dinamiche che la caratterizzano nei diversi paesi. Secondo i dati dell’ONU, i tassi di crescita della popolazione nei paesi classificati dalla Banca Mondiale a reddito più elevato sono passati dal 1,6% del 1990 a circa lo 0,2% del 2020. Considerando che si tratta di valori medi, questo significa che in alcuni paesi i valori sono negativi, come succede in Germania, Giappone ed Italia tra i paesi del G7. Al contrario, i paesi a reddito più basso nello stesso periodo non sono mai scesi sotto il 2,5%. Poiché vi è una forte correlazione tra livelli di istruzione e livelli di reddito, quello che osserviamo a livello mondiale è una mancanza strutturale di persone da formare dove ce n’è bisogno e ci sono le risorse per farlo, a fronte di molte nuove persone che nascono in paesi privi di opportunità e di una adeguata offerta di crescita individuale attraverso lo studio e la formazione.

I costi della formazione

Il secondo aspetto riguarda i costi della formazione, che sono crescenti in tutti i principali paesi a reddito più elevato, sia nei casi in cui tali costi siano direttamente sostenuti dagli individui e dalle loro famiglie, sia nei casi in cui siano parte del sistema di welfare. Le ragioni per questi aumenti sono diverse, ma le principali sono legate all’aumento degli anni necessari per raggiungere livelli elevati di preparazione e all’incremento dei costi legati alle attrezzatture e infrastrutture necessarie per erogare una formazione di qualità.

Il contrasto tra le conoscenze per il mondo del lavoro e i modelli di ruolo

Il terzo aspetto è il contrasto tra le esigenze strutturali del mercato del lavoro relativamente alle conoscenze richieste e i modelli di ruolo che mettono in discussione la necessità di studiare per avere successo nella vita. La rappresentazione iconografica di famosi “college dropouts” come Bill Gates, Steve Jobs o Mark Zuckerberg, così come le molte possibilità di accesso libero o facilitato di molte risorse digitali in modo autonomo e da autodidatti sono due facce della stessa medaglia, anche se molti studi dimostrano che nel lungo periodo il gap di reddito tra chi finisce di studiare e chi smette prima del tempo resta rilevante e significativo.

Le criticità dei sistemi formativi

Spostando l’attenzione sui sistemi formativi e includendo al loro interno sia i cicli scolastici ed universitari più tradizionali, sia tutto il mondo della formazione continua esso stesso attraversato da un profondo cambiamento indotto dalle nuove tecnologie digitali, possiamo rilevare tre aspetti importanti.

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L’attrattività della professione di insegnante

Il primo riguarda l’attrattività della professione di insegnante a tutti i livelli sotto un profilo remunerativo. Anche qui i dati disponibili da tutte le principali fonti internazionali offrono un quadro non ideale. Senza una motivazione che gli esperti di risorse umane chiamano “vocazionale”, cioè legata ad elementi ideali e fortemente soggettivi, studiare per insegnare genera sistematicamente a tutti i livelli ciò che viene chiamato “wage mismatch”, ovvero stipendi più bassi a parità di investimento in formazione. Un esempio eclatante di questi ultimi anni sono state le uscite da molti dipartimenti di Computer Science di docenti di varie età e qualificazione verso imprese private in grado di offrire stipendi fino a 10 volte superiori a quelli dell’accademia.

La numerosità delle istituzioni di alta formazione

Un secondo aspetto riguarda la numerosità delle istituzioni di alta formazione, che sono sostanzialmente stabili in tutti i paesi a reddito più elevato, sono cresciute negli ultimi venti anni nei paesi a reddito medio e medio alto, ma a tassi non sufficienti per coprire i gap di domanda del mercato del lavoro. Ciò non stupisce, visti i livelli di investimento di lungo termine necessari e la tensione sugli input sopra descritta. Infine, la formazione richiede tempo per riuscire a produrre risultati rilevanti e questo tempo può facilmente entrare in contrasto con altre opportunità di più breve periodo. Si capisce così come mai oggi convivono in Italia e in molte altre parti del mondo i professori di informatica che si lamentano perché gli studenti di magistrale e di dottorato non finiscono gli studi per andare a lavorare e le imprese che lamentano livelli di preparazione inadeguati, ma cercano di risolvere i problemi di breve periodo offrendo posizioni a chi ancora deve finire gli studi.

Le asimmetrie tra i tassi di crescita della domanda e l’offerta di competenze qualificate

Un terzo ed ultimo aspetto rilevante riguarda le asimmetrie tra i tassi di crescita della domanda e l’offerta di competenze qualificate. In un contesto caratterizzato dalle tensioni sugli input e sulla capacità produttiva descritto fino ad ora, si inseriscono alcune caratteristiche strutturali rilevanti.

  • La prima riguarda i tempi di cambiamento/adattamento dei sistemi formativi. Passare dall’integrazione dell’informatica nei programmi delle scuole superiori all’introduzione del cosiddetto “pensiero computazionale” che offre occasioni più trasversali e più adatte agli obiettivi di cui stiamo parlando richiede cambiamenti complessi a molti livelli. Lo stesso avviene sui programmi universitari, che in molti paesi dipendono da sistemi di approvazione centralizzati.
  • La seconda riguarda la necessità di consolidamento delle componenti teoriche e sperimentali propria dei contesti scientifici che si contrappone alle richieste più pressanti ed immediate delle imprese. Non è una novità del mondo digitale ed è una tensione naturale e salutare, perché senza buona scienza non ci sono soluzioni robuste di lungo periodo e servono utenti esigenti per evidenziare bisogni altrimenti lontani dalla sensibilità dei laboratori.
  • Infine, esiste la criticità tipica delle nuove professioni che, prima di affermarsi, devono diventare visibili e più appetibili delle alternative più conosciute.

Le possibili soluzioni

Per provare ad affrontare in modo sistematico i problemi di “skills gap” e “skills shortage” non bastano quindi interventi shock di breve periodo, ma bisogna ragionare sul lungo periodo, in modo persistente e resiliente. Bisogna avere il coraggio e la lungimiranza di considerare gli investimenti in formazione a tutti i livelli come strutturali tanto quanto quelli dedicati a costruire ponti, strade, porti o reti di telecomunicazioni. Bisogna ragionare davvero alla scala globale sostenendo una crescita generalizzata delle opportunità di formazione soprattutto dove mancano di più. Bisogna distinguere target diversi a cui rivolgere le proprie attenzioni e riconoscere che abbiamo bisogno certamente degli sviluppatori, ma anche di utenti consapevoli ed integratori di competenze.

Per introdurre sistemi basati sull’intelligenza artificiale per gestire la rete di vendita di informatori farmaceutici non basta “l’algoritmo”: servono dati rilevanti e ben strutturali, l’integrazione di diverse fonti informative, una conoscenza specifica dei sistemi di procurement sanitario e delle relative regolamentazioni, l’allineamento dei sistemi di incentivi individuali e molte altre cose ancora non necessariamente legate agli ambiti digitali. Bisogna riconoscere che abbiamo bisogno di partire da zero con chi può ancora fare una scelta su dove focalizzare il proprio futuro professionale, ma dobbiamo anche occuparci di chi già lavora, per coniugare opportunità individuali e necessità specifiche dei diversi contesti lavorativi.

Conclusioni

Nessun paese può agire da solo in tutti questi ambiti, nemmeno i più grandi e i più ricchi. Pensare ad azioni collettive in un mondo attraversato dalle molte tensioni contemporanee appare ancora più difficile. Concentrare le attenzioni sul futuro e sulle generazioni che verranno, tuttavia, potrebbe essere una buona occasione trovare maggiore coesione e individuare un altro grande obiettivo comune da affiancare alla lotta al cambiamento climatico e costruire un mondo migliore per tutti.

*Questo articolo riprende i temi trattati nel Keynote Speech al 4th Canada-Italy Forum on AI, organizzato dalla Italian Chamber of Commerce in Canada che si è tenuto a Montreal on November 22nd and 23rd, 2022

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