La stretta relazione fra scienza, tecnologia e politica internazionale ha contribuito all’affermazione della diplomazia scientifica come campo di ricerca e azione.
La figura del science diplomat è caratterizzata da un profilo ibrido, che supera i confini fra scienza e relazioni internazionali e che, per questo motivo, non trova un corrispettivo negli attuali percorsi di formazione.
L’ampliamento delle opportunità di formazione capaci di offrire una base di conoscenza comune, oltre i diversi e distinti contesti specialistici, appare dunque necessario per sostenere lo sviluppo di questa figura.
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Di cosa si occupa il science diplomat
La diplomazia scientifica è un ambito di lavoro ibrido e composito. Secondo una definizione influente, data ormai oltre dieci anni fa dalla Royal Society e dalla American Association for the Advancement of Science (Aaas), include:
- l’attività diplomatica finalizzata a facilitare la cooperazione scientifica internazionale,
- l’attività di consulenza scientifica (science advice) alle autorità pubbliche per l’elaborazione di obiettivi e strategie di politica estera,
- il ricorso alla collaborazione fra scienziati e istituzioni scientifiche per migliorare le relazioni fra Stati.
Questa articolata definizione implica il superamento della distinzione fra scienza e politica, e radica la diplomazia scientifica, simultaneamente, in entrambi questi ambiti.
Per il science diplomat è dunque necessario sapersi muovere fra questi due mondi differenti, con la consapevolezza che la partecipazione ad iniziative di diplomazia scientifica non equivale alle attività di collaborazione scientifica internazionale che gli scienziati abitualmente promuovono.
Alla dimensione della collaborazione fra scienziati, esse affiancano infatti l’interazione con le autorità pubbliche allo scopo di contribuire al raggiungimento di obiettivi di politica estera, obbligando il science diplomat a svolgere un’attività di “superamento dei confini”, di intermediazione fra diversi tipi di conoscenza, relativi sia alla scienza che alla politica.
La peculiare natura ibrida di questo ruolo pone quindi il problema di quali competenze caratteristiche debba avere chi lo svolge. Si tratta infatti di un profilo necessariamente disallineato rispetto alle carriere scientifiche tradizionali, ma anche rispetto alla formazione alla diplomazia e alle relazioni internazionali, che, per la loro stessa natura disciplinare, non possono foggiare un profilo che necessariamente le travalica.
I corsi di formazione già attivi
Per formare operatori che possano operare con successo nel campo della diplomazia scientifica, è pertanto cruciale creare nuove opportunità di apprendimento multi- e interdisciplinari, capaci di offrire un patrimonio comune di conoscenze e competenze agli studenti e agli operatori che si affacciano su questo campo, indipendentemente dal percorso specialistico di appartenenza.
Una breve ricerca sul web può mostrare come stia fiorendo un numero significativo di queste iniziative formative, promosse, ad esempio, da organizzazioni internazionali come Unitar o da enti locali come il SciTech DiploHub di Barcellona.
Anche in Italia, troviamo diversi programmi di formazione, realizzati, anche in questo caso, da enti e istituzioni a carattere internazionale, come Twas, da consorzi interuniversitari come Viu, oppure organizzati nell’ambito di collaborazioni fra atenei italiani, come fra Università di Padova e Università di Roma Tre, o su iniziativa di singole università, come l’Università di Trieste.
Non mancano, infine, i corsi di formazione interamente online, come quello progettato nell’ambito del progetto europeo S4D4C.
Formazione del science diplomat: le sfide da affrontare
La diffusione di queste esperienze, all’estero come in Italia, è senz’altro positiva ed indica un crescente interesse per la diplomazia scientifica. Tuttavia, la sfida di contribuire allo sviluppo e al consolidamento di questo ambito di lavoro attraverso la formazione richiede, a mio avviso, di agire in due direzioni in modo da superare alcuni limiti delle iniziative esistenti.
La prima direzione riguarda l’ampliamento del tipo di programmi offerti. Tutti gli esempi prima citati propongono infatti “summer school”, cicli di seminari, singole lezioni o formule didattiche ugualmente brevi.
La scelta di questi modelli così agili risponde senz’altro alle esigenze di formazione continua dell’utenza professionale, ma, per definizione, non può che offrire solo una sommaria e iniziale introduzione alla diplomazia scientifica.
La realizzazione di corsi più articolati, a livello di master o di perfezionamento, potrebbe invece colmare questa lacuna, permettendo di trasmettere una conoscenza più approfondita di questo tema complesso.
La seconda direzione riguarda invece l’introduzione di insegnamenti sulla diplomazia scientifica nei corsi di laurea, soprattutto magistrali, sia nelle scienze “dure” sia nelle scienze sociali e politiche.
L’obiettivo di questa azione è di diffondere sin dagli anni della formazione universitaria la consapevolezza della rilevanza politica della ricerca scientifica nelle relazioni internazionali e, per converso, l’importanza del contesto politico nella cooperazione internazionale fra istituzioni scientifiche.
In questo modo, due percorsi tradizionalmente distinti troverebbero un punto di contatto, contribuendo così a costruire fra gli studenti un patrimonio comune di conoscenze e sensibilità multidisciplinari, che potranno successivamente servire da base per ulteriori attività formative più direttamente finalizzate a formare i science diplomat.
In entrambi i casi, l’università viene chiamata naturalmente in causa come motore principale di queste innovazioni. Traducendole in realtà, essa potrà dare un importante contributo a formare i professionisti e le competenze necessari in un campo la cui rilevanza appare ogni anno più evidente.