L'ANALISI

Europa, l’inclusione digitale per la sfida alle disuguaglianze

I dati confermano che disuguaglianza sociale, territoriale e divario digitale sono componenti di uno stesso circolo virtuoso/vizioso, con divaricazioni che, a causa dell’emergenza sanitaria, si sono rapidamente amplificate. Per questo occorre un intervento organico. Ecco qualche spunto

Pubblicato il 21 Set 2020

Nello Iacono

Coordinatore di Repubblica Digitale

europa intelligenza artificiale

L’emergenza sanitaria ha evidenziato il problema già ben presente, a livello europeo e mondiale, relativo al significativo tasso di esclusione digitale. Esclusione digitale relativa a più fattori (scarsa/assente connettività, scarsità/carenza di dispositivi, complessità dei servizi, scarse/carenti competenze digitali) e che si è accentuata a causa della maggiore esigenza di ricorso a Internet per il lavoro, lo studio, le relazioni quotidiane e delle più stringenti condizioni richieste (es. più dispositivi per famiglia, in modo da consentire a ciascun membro di svolgere la propria attività).

Disuguaglianza sociale, territoriale e divario digitale

Come è chiaro da tutti gli indicatori internazionali sul livello di accesso a Internet e di competenze digitali (incluso il DESI), disuguaglianza sociale e divario digitale sono componenti di uno stesso circolo virtuoso/vizioso. La disuguaglianza sociale è uno dei principali fattori di divario digitale e allo stesso tempo il divario digitale è uno dei fattori sempre più significativi di sviluppo e incremento di disuguaglianza sociale, soprattutto se si combina con la disuguaglianza territoriale, che favorisce l’impoverimento di condizioni di crescita e autonomia e quindi di disuguaglianza sociale.

Per fare qualche esempio, nel Regno Unito, secondo l’ultimo rapporto sull’inclusione digitale realizzato nel Paese, circa 6,5 milioni di persone vivono in abitazioni sovraffollate, con basso reddito, non hanno quindi spazi privati per le possibili attività online e 10.7 milioni hanno basse o nulle competenze digitali, e il 20% di coloro che non ha Internet indica la carenza di competenze come motivazione all’assenza di accesso.

Spazi, disponibilità di dispositivi e di accesso alla rete, competenze sono fattori che si intrecciano strettamente anche in Italia secondo l’indagine Istat “Spazi in casa e disponibilità di computer per bambini e ragazzi”, da dove si rileva che (e qui evidenziamo la compresenza dei fattori citati):

  • soltanto il 6,1% dei ragazzi tra 6 e 17 anni vive in famiglie dove è disponibile almeno un computer per componente;
  • nel periodo 2018-2019, il 33,8% delle famiglie non ha computer o tablet in casa, la quota scende al 14,3% tra le famiglie con almeno un minore. Solo per il 22,2% delle famiglie ogni componente ha a disposizione un pc o tablet;
  • nel Mezzogiorno il 41,6% delle famiglie è senza computer in casa (rispetto a una media di circa il 30% nelle altre aree del Paese) e solo il 14,1% ha a disposizione almeno un computer per ciascun componente;
  • il 41,9% dei minori vive in una abitazione sovraffollata, e il 7% affronta anche un disagio abitativo (problemi strutturali, poca luminosità).

Un altro esempio è il Belgio. Dal recente rapporto di fine agosto del Barometro dell’inclusione , a cura della Fondazione Re Baldovino, emergono come fattori importanti per l’inclusione digitale, oltre la possibilità di accesso alla rete, la qualità della connessione, la possibilità di connettersi tramite vari dispositivi, l’età delle apparecchiature e il numero di computer per famiglia. In materia di competenze digitali, mentre l’85% dei belgi di età compresa tra 16 e 74 anni utilizza quotidianamente Internet per servizi online come acquisti o operazioni bancarie, il 57% di chi ha un livello di istruzione basso e il 56% di a basso reddito, non hanno mai ancora utilizzato Internet per inviare documenti a un’amministrazione governativa, anche quando ciò era richiesto.

Come viene puntualizzato dall’Osservatorio Povertà educativa #ConiBambini, il digital divide – soprattutto tra i giovani – si è progressivamente spostato dall’accesso all’uso che viene fatto della rete: “Tra i giovani dei paesi occidentali, e anche dell’Italia, esiste un gap nell’uso della rete. Ad esempio, chi vive in una famiglia socio-economicamente svantaggiata è meno probabile che usi internet per accedere all’informazione. Sia per leggere notizie ed essere aggiornati su cosa sta accadendo nel mondo, sia per capire, informarsi, approfondire, arricchire il proprio bagaglio di conoscenze. Il 73,7% degli studenti di famiglie avvantaggiate usa internet per leggere notizie. Tra quelli svantaggiati la quota scende al 60,4%.”

I fattori di una digitalizzazione inclusiva

Come già nel suo rapporto del 2018 curato per il CESE (Comitato economico e sociale europeo) Norbert Kluge, affermava che “in Europa la digitalizzazione deve essere inclusiva. Le persone non devono essere escluse dai benefici prodotti dalla trasformazione digitale a causa di fattori come il genere, lo status sociale, il livello di istruzione, le competenze, le capacità digitali, l’origine, l’età o disabilità”.

Tali benefici – il cosiddetto “dividendo digitale” – devono essere distribuiti in modo equo mediante misure appropriate anziché avvantaggiare soltanto un numero ristretto di soggetti interessati. Nell’attuare il programma Europa digitale, si dovrebbe sempre tener presente il principio secondo cui, nell’Unione europea, chiunque è e deve rimanere il proprietario dei suoi dati personali.

In questo, secondo il CESE, se da un lato è necessario operare per una digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni che rinforzi e consolidi un design dei servizi basato sul modello centrato sul cittadino, è importante ribadire che “le competenze digitali sono fondamentali” perché rivestono ormai un ruolo di cruciale importanza, espressamente riconosciuto dal programma della Commissione Europea e base del #NextGenerationEU.

In sintonia con questo approccio, l’Osservatorio Povertà educativa #ConiBambini mette ad esempio in evidenza che “I ritardi da recuperare sono molti, e sono tutti riconducibili a un processo di digitalizzazione non ancora abbastanza inclusivo per i minori e le famiglie. Ciò è causato in gran parte da un divario educativo del nostro Paese rispetto agli altri paesi Ue che “non potrà essere compensato solo con più computer e tablet. Senza questa consapevolezza, nessun provvedimento, da solo, sarà sufficiente a recuperare i ritardi. Perché non stiamo parlando solo di divari tecnologici, comunque gravi ma risolvibili attraverso interventi economici mirati ed efficaci. Stiamo parlando di disuguaglianze sociali radicate, profonde, per cui serve una strategia di lungo periodo, sinergica con quella per il contrasto della povertà educativa”.

Per questo bisogna riconoscere che i divari digitali oggi amplificano quelli sociali e quelli territoriali: dai dati elaborati dall’Osservatorio, i divari nella velocità della connessione della rete internet, ad esempio, ad oggi sono spesso sovrapponibili ai tempi di spostamento fisico tra città maggiori e aree interne. E quindi l’intervento non può che essere organico, costruendo le condizioni per un nuovo circolo virtuoso.

Come agire

L’intervento organico necessario per realizzare una digitalizzazione inclusiva (in Italia, in Europa, nel mondo) si compone pertanto di più elementi necessari, naturalmente nel contesto di un modello di welfare che operi sul fronte delle condizioni di disagio abitative e reddituali, in una logica di architettura complessiva:

  • sul livello del costo, per l’accesso alla rete, per la disponibilità di computer e tablet, con interventi di sostegno alle famiglie con basso reddito e con particolare attenzione alle famiglie con più minori, verso l’obiettivo di un soddisfacimento pieno dell’esigenza (anche, nel caso di un dispositivo a persona);
  • sul livello della qualità della connessione, con interventi che garantiscano una connessione veloce anche nelle aree interne/rurali e nelle periferie disagiate, e dei servizi digitali, con un design cittadino-centrico (di cui ad esempio l’italiana App IO è certamente una espressione di riferimento);
  • sul livello delle competenze digitali e dell’utilizzo consapevole di Internet e dei servizi digitali, con approcci differenziati e attenti alle carenze legate al basso livello di istruzione e agli altri fattori di svantaggio, e quindi con interventi di facilitazione digitale, di alfabetizzazione digitale che si innestino nei luoghi (di facile accesso, accoglienti), con gli strumenti e con i tempi più adeguati per favorirne la fruizione;
  • sul livello della comunità e della rete territoriale, inquadrando tutti gli interventi in una logica di rete di soggetti pubblici e privati che operano sul fronte sociale e che recepiscono l’inclusione digitale come elemento pervasivo e abilitante delle loro azioni di supporto alla crescita dell’autonomia e del benessere (pensiamo qui al superamento della distinzione tra alfabetizzazione linguistica e digitale, alle logiche su cui si basa l’agenda europea per le competenze ). Il tutto in una visione efficace di “comunità educante”, che ancora è utile sostenere.

Un’Europa che si muove con determinazione nella direzione della digitalizzazione inclusiva non solo crea le condizioni per un beneficio concreto ed esteso delle opportunità offerte dalla trasformazione digitale per la crescita sociale ed economica, ma crea anche, allo stesso tempo, le condizioni per una crescita culturale sempre più interconnessa, e quindi non solo consapevole ma anche base per una sempre maggiore partecipazione della popolazione tutta alle dinamiche economiche e al dialogo democratico. L’auspicio è che questo approccio diventi prassi effettiva nei diversi Paesi anche nel contesto del NextGenerationEU.

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