Dai recenti dati internazionali (European Tech Insight 2022) emerge che il livello di percezione degli italiani sul pericolo della disinformazione è ancora basso. Ma perché, e come possiamo rapidamente accrescere la nostra necessaria consapevolezza digitale?
La disinformazione online minaccia i diritti fondamentali: quali difese
In questi termini possiamo parlare di “questione digitale” nel nostro Paese? Si tratta di un tema ancora non del tutto percepito nei suoi benefici, nelle sue opportunità ma soprattutto nella sua dimensione trasversale fondamentale per l’equilibrio e lo sviluppo sociale ed economico, in cui il contrasto alla disinformazione diventa il caso emblematico con cui si misura la nostra maturità e consapevolezza. I recenti dati internazionali ci disegnano questo scenario, ma allo stesso tempo diverse iniziative, come le linee guida europee per gli insegnanti in ambito di contrasto alla disinformazione, ci confermano come sia necessario un approccio organico e di ecosistema.
Ma andiamo con ordine.
La percezione e la diffusione della disinformazione
Dal recente rapporto annuale European Tech Insights 2022, pubblicato dal Centre for the Governance of Change (CGC) della IE University di Madrid, emerge una situazione di esteso allarme nella popolazione europea, da cui si distinguono alcuni Paesi, come l’Italia.
Per citare alcuni esempi: il 42,2% degli europei intervistati ritiene di essere stato vittima di fake news legate al conflitto ucraino, e tra questi i più giovani si sentono più vulnerabili: per gli under 35 la percentuale sale fino al 52,3%. La distribuzione è certamente influenzata dalla vicinanza alla Russia, con punte del 68% in Estonia, e percezioni molto più basse in Gran Bretagna (15,6%) e Italia (38%). Non è un caso che i racconti più preoccupati per la diffusione della disinformazione in uno dei tavoli di discussione su “fake news e governo aperto” del recente meeting europeo dell’Open Government Partnership siano venuti proprio da relatori dell’area baltica.
Ma a prescindere da questa percezione, molto legata alle dinamiche storiche e politiche di ciascun Paese, è significativo che l’allarme spinga più della metà degli europei (51,5%) a volere che la disinformazione sia illegale e a credere necessarie sanzioni contro coloro che diffondono notizie false sui social media. In tutti i paesi europei coinvolti nelle interviste c’è un accordo su questo, con punte in Regno Unito (62,8%) e Spagna (60,4%), tranne che in Romania e in Italia (43%). Questa opinione è più forte tra gli europei più anziani (67,2%) rispetto a quelli più giovani, che preferirebbero una neutralità dei governi.
E se si guarda ai social media, una larga parte degli europei (42,3%) ritiene che la disinformazione e le fake news siano il principale problema, con una differenza generazionale, dato che i giovani europei tra i 18 ei 24 anni sono più preoccupati per l’incitamento all’odio e all’estremismo (38,7%) rispetto alla disinformazione (31,3%). È soprattutto il caso della Germania (50%), Svezia (42,4%) e Regno Unito (33,3%), ma non in Italia dove l’identificazione della disinformazione come principale problema è in linea con la media europea (45%) senza differenze sostanziali tra le generazioni, mentre odio ed estremismo raggiungono la metà di questo punteggio.
Questi dati sono in linea con quelli riscontrati dalla Corte dei conti Europea e che si basano anche su una relazione del 2018 voluta dalla Commissione europea, in cui tra l’altro veniva rilevato che secondo l’83% degli intervistati la disinformazione costituiva “una minaccia per la democrazia”. Da questa relazione si è poi sviluppata la politica UE per il contrasto alla disinformazione, con più azioni, come il “Codice di buone pratiche” per piattaforme online, associazioni di categoria e operatori del settore pubblicitario, “rafforzato” nel 2022 con un approccio che stimola una risposta coordinata e collaborativa dall’intero ecosistema dove si produce l’informazione, dalle autorità istituzionali alle piattaforme alla società civile.
Competenze digitali e disinformazione
Poiché non è un caso che la percentuale di coloro che in Italia affermano di non saper riconoscere una fake news (53%, secondo i dati di Eurobarometer) è sovrapponibile con la quota di coloro che ha competenze digitali basse, inferiori a quelle di base (54%, secondo i dati Eurostat-DESI), è evidente che il contrasto alla disinformazione debba essere perseguito in un’ottica generale e sistemica di sviluppo di un’adeguata consapevolezza digitale (come trattato anche in un recente convegno organizzato da Rai e Idmo- Italian Digital Media Observatory).
I dati di Eurobarometer mostrano anche che l’80% degli europei pensa che l’esistenza di fake news sia un problema nel proprio Paese (Studio internazionale di informatica e alfabetizzazione informatica – ICILS).
La Strategia nazionale per le competenze digitali
In questo senso sono una chiave importante i progetti inclusi nel Piano operativo di attuazione della Strategia nazionale per le competenze digitali e in particolare le azioni incluse nell’asse 4 “Cittadini” (dal servizio civile digitale alla rete dei servizi di facilitazione, dalla piattaforma ACCEDI ai progetti di formazione per casalinghe e casalinghi, dalle produzioni Rai sull’inclusione digitale- e contro la disinformazione– al Fondo per la Repubblica Digitale e al Fondo nuove competenze, questi ultimi due più orientati all’inserimento lavorativo) con una scelta comune e trasversale di identificazione del DigComp 2.2 come quadro di riferimento definitorio e di raccordo delle iniziative di formazione e di valutazione delle competenze.
Da qui deriva la necessità della costruzione di un ecosistema solido e collaborativo, in cui è fondamentale il ruolo dei giornalisti (nel fact-checking, come nell’esperienza ad esempio di Idmo, ma anche, a monte, nella verifica della veridicità di una notizia prima della diffusione, come ad esempio nell’impegno sviluppato in Rai con azioni e di formazione e di coordinamento interno) e dove è necessario rafforzare il ruolo dell’istruzione e della formazione nella lotta alla disinformazione e nella promozione dell’alfabetizzazione digitale (un terzo degli studenti di terza media non ha competenze digitali di base), con azioni specifiche per supportare i giovani ad acquisire consapevolezza digitale, e in particolare le abilità e le competenze digitali per essere utenti critici e, allo stesso tempo, fiduciosi e in grado di beneficiare delle opportunità del digitale.
Le linee guida per gli insegnanti e gli educatori
Questo è il quadro in cui rappresenta un elemento di grande importanza e utilità la recente pubblicazione delle Linee guida per gli insegnanti e gli educatori per il contrasto alla disinformazione e la promozione dell’alfabetizzazione digitale, curata dalla Commissione europea e sviluppata con il supporto di un gruppo di esperti.
Disinformazione, le Linee Guida Ue per insegnanti e educatori: cosa sono e prossimi step
Le Linee guida sono una milestone del Piano d’azione per l’educazione digitale 2021-2027 e forniscono una guida pratica per insegnanti ed educatori (principalmente delle scuole primarie e secondarie), inclusi suggerimenti pratici e piani di attività per utilizzare le tecnologie digitali in modo responsabile e valutare le competenze degli studenti in materia di alfabetizzazione digitale.
Nel perseguire questo obiettivo, le linee guida puntano a fornire suggerimenti su come incoraggiare i giovani a verificare le informazioni e a pensare in modo critico, come favorire la comprensione delle varie dimensioni della disinformazione (ad esempio quelle etiche o economiche), come consentire l’identificazione dei deep fake.
Ed è interessante che le linee guida partano dalla forte correlazione tra consapevolezza sulla disinformazione e forza della democrazia: “Democrazie sane dipendono da una deliberazione aperta, dalla partecipazione pubblica e da un sistema di controlli ed equilibri. La democrazia può essere minata quando le fonti di informazione sono compromesse da cattiva informazione, misinformazione e disinformazione”.
Diversi contenuti delle linee guida sono utili anche ai genitori e/o ai membri della comunità e possono essere applicati all’apprendimento che avviene in contesti sia non formali che informali. Più in generale, molti concetti sono trasversali ai diversi segmenti di popolazione e rappresentano indicazioni valide per sviluppare un ecosistema di apprendimento sull’alfabetizzazione informativa e sui dati, con il coinvolgimento e il raccordo dei vari soggetti dell’ecosistema educativo, inclusi quindi genitori, professionisti dei media, società civile, comunità locale.
In particolare, da questo punto di vista l’approccio al contrasto alla disinformazione basato sullo sviluppo dello spirito critico è chiaramente non esclusivo del contesto scolastico, così come la sua applicazione primaria nel contesto dei social media. Come rilevano le linee guida, “la maggior parte delle persone non ha il tempo, le capacità o le risorse per verificare da sé le informazioni. Tuttavia, il modo più efficace per verificare le informazioni, secondo Waters (2020), è responsabilizzare gli utenti di tutte le età e promuovere lo sviluppo delle loro competenze di alfabetizzazione mediatica”… ”tale responsabilizzazione ha anche l’obiettivo di proteggere i gruppi più vulnerabili, come i bambini”. Da qui l’enfasi (anche nel rapporto correlato) sul fact-checking come modalità efficace di coinvolgere gli studenti e favorire lo sviluppo di una migliore capacità di giudicare la credibilità dei contenuti digitali, facendo in particolare uso delle “cosiddette strategie di lettura laterale”, cioè confrontando una fonte con altre fonti relative allo stesso argomento, oltre a controllare semplicemente la fonte stessa. Questo approccio, svolto a scuola “dagli insegnanti (con i loro studenti), è un processo a più livelli a causa della sua complessità e richiede formazione”.
L’anno europeo delle competenze e il governo aperto
Lanciando il 2023 come l’Anno europeo delle competenze, in collaborazione con il Parlamento europeo, gli Stati membri, le parti sociali, i servizi per l’impiego pubblici e privati, le camere di commercio e industria, gli istituti di istruzione e formazione, i lavoratori e le imprese, la Commissione UE propone di dare un nuovo slancio all’apprendimento permanente, assicurandosi che le competenze della popolazione siano adeguate alle esigenze del mercato del lavoro, collaborando anche con le parti sociali e le imprese.
E di qui anche le competenze che possono assicurare la consapevolezza necessaria per fruire dei servizi digitali, partecipare alle dinamiche sociali ed economiche, con la necessaria autonomia di scelta e di opinione, per una democrazia solida e partecipata, perché è dalla possibilità di attuare fino in fondo i principi del governo aperto che passa la stessa prospettiva democratica, il benessere sociale ed individuale. In questo i principi del governo aperto (dalla collaborazione alla partecipazione alla trasparenza) diventano leve per agire contro la disinformazione. Per essere efficaci, bisogna avere la consapevolezza che si tratta di una lotta di visione e di interessi, dove troviamo speculazione economica e politica da una parte, che ambisce alla costruzione del presente e alla riscrittura del passato anche utilizzando le potenzialità delle applicazioni di intelligenza artificiale, indipendenza e libertà sociale di azione e di opinione dall’altra, con l’affermazione della centralità dell’etica digitale. Ed è a questa che si associa anche la consapevolezza che per ambire a un contrasto sistematico e di lungo respiro alla disinformazione è necessario puntare sulla crescita collettiva della consapevolezza digitale e delle competenze. Considerando centrale e non da addetti ai lavori la “questione digitale”.