videogiochi e lavoro

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Attraverso il gioco è possibile sviluppare, sperimentare, svolgere i propri compiti, prendere decisioni e provare a raggiungere i propri obiettivi in un “ambiente” virtuale ma o simile alla realtà o che presenta “sfide” e dinamiche del tutto simili a quelle quotidiane. Ecco perché per le aziende rappresentano una risorsa, su più livelli

Pubblicato il 29 set 2023

Andrea Arnaldi

Lawyer presso Studio Legale LEXANT SBtA – Società Benefit tra Avvocati

Roberto Daverio

Amministratore Delegato di Ask Advisory Srl Società Benefit



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Tutte le aziende desiderano essere competitive in un mercato sempre più complesso ed in continua evoluzione e, per farlo, si stanno interrogando su quali potranno essere i possibili scenari futuri e sul ruolo degli eSport per rendersi attrattive, da un lato e, dall’altro, per valutare le competenze dei candidati.

eSport e competenze trasversali

Rispetto al passato, secondo diverse ricerche, il paradigma è cambiato in modo significativo: le competenze trasversali (Soft Skills) sono diventate sempre più rilevanti in tutti i settori, livelli e ambienti di lavoro rappresentando un fattore cruciale di differenziazione e di successo.

Per poter innalzare queste competenze le aziende stanno lavorando su due fronti: ricercare (e assumere) talenti con elevate Soft Skills e ideare (e sviluppare) percorsi formativi ad hoc per migliorare le competenze degli attuali dipendenti.

Così come in ambito scolastico, anche in ambito organizzativo, sono stati riscontrati benefici dall’utilizzo di esperienze ludico digitali, cioè quelle che utilizzano la gamification (con i videogiochi) e più nello specifico attività di eSport (la componente competitiva dei videogames).

I problemi del lavoro: dalla Great Resignation al Great Burnout

L’attuale contesto lavorativo italiano è sempre più complesso ed in continua evoluzione. Uno dei fenomeni che lo sta caratterizzando è il sempre crescente numero di dimissioni (Great Resignation), ormai in essere da circa due anni. Secondo recenti stime nel 2021 sono state circa 1,7 milioni le persone che, volontariamente, hanno lasciato il loro posto di lavoro e il trend pare non sia provvisorio.

A settembre dello stesso anno il Time, in un suo articolo, ha tracciato i contorni del mondo lavorativo evidenziandone diverse difficoltà, tra cui un aumento (quasi del doppio) di persone colpite dal burnout. Alcuni esperti sostengono che si stia passando dalla Great Resignation al Great Burnout. In sostanza aumenta il numero di lavoratori che sta lasciando il lavoro a fronte di malessere e insoddisfazione.

Le aziende, inevitabilmente, hanno dovuto interrogarsi per comprendere, e prevedere, i possibili scenari futuri. Le organizzazioni da una parte, devono rendersi attrattive agli occhi dei lavoratori (sapendo che sono le risorse umane il vero valore aggiunto e vantaggio competitivo) dall’altra, devono valutare, con attenzione, i candidati e soprattutto le loro competenze.

Un’indagine di MEOS (Manpower Employment Outlook Survey) ha evidenziato come le aziende non riescono a trovare candidati con determinate competenze trasversali. Nello specifico, il 28% di esse lamenta nei neoassunti una scarsa capacità di resilienza e resistenza allo stress. Il 22%, invece, denuncia l’assenza di skill basate sulla creatività e il 18% segnala la mancanza di doti di leadership. Il 32% delle imprese (50-249 dipendenti), inoltre, non trova talenti che si distinguono per creatività e originalità.

A confermare la tendenza tracciata dalle statistiche è, anche, Rohan Rajiv, Director of Product Management di LinkedIn. Rajiv sostiene che le Soft Skills sono diventate ancora più rilevanti con l’aumento del lavoro a distanza e stanno crescendo di importanza in tutti i settori, livelli e ambienti di lavoro. La richiesta di competenze trasversali è, infatti, presente nel 78% delle offerte di lavoro pubblicate a livello globale negli ultimi tre mesi.

In sostanza le aziende per raggiungere i propri obiettivi non solo dovranno assumere lavoratori con elevate competenze trasversali ma saranno chiamate, anche, a ideare, e sviluppare, percorsi formativi ad hoc per migliorarle.

Soft skill, un fattore di differenziazione e successo per imprese e lavoratori

Oggi, quindi, le soft skill rappresentano un fattore cruciale di differenziazione e di successo, sia per i candidati (che sempre di più cercano di sviluppare, e di mettere in mostra, le proprie competenze trasversali) sia per le imprese (che, come detto, cercano di inserire nel proprio organico risorse umane non soltanto con competenze tecniche ma anche, e soprattutto, capaci di integrarsi nell’ambiente lavorativo per attitudini, valori e modi di fare).

Le aziende, ed i responsabili delle risorse umane, sono sempre più convinti che le competenze trasversali siano la vera e propria killer application all’interno delle organizzazioni. Come anticipato in precedenza, sempre più aziende, in Italia e all’estero, sono alla ricerca di profili professionali con elevate competenze trasversali. Ma un altro modus operandi, sempre più diffuso, è quello di migliorare, e sviluppare, le soft skill in possesso delle risorse già all’intero dell’organizzazione.

Negli anni si è compreso come il gioco, e in particolare l’utilizzo di videogiochi, possano concorrere ad aiutare lo sviluppo delle soft skill.

Game Based Learning, i videogiochi protagonisti della formazione

I videogiochi sono, e saranno, sempre più protagonisti di corsi, e percorsi, di formazione soprattutto attraverso la Game Based Learning (GBL). Nello specifico, si tratta dell’utilizzo di videogiochi per raggiugere obiettivi educativi e trasmettere, e sviluppare, determinate skills. Per attuare attività formative utilizzando la GBL, e quindi proporre un nuovo “setting” di apprendimento, occorre che l’Istituto scolastico, o il docente, integri il videogioco scelto con il percorso didattico già attuato.

Per gamification possiamo intendere l’utilizzo di tecniche, ed elementi di gioco, per analizzare, e sviluppare, competenze attraverso una stimolazione equilibrata di motivazioni intrinseche ed estrinseche.

Le prove, gli ostacoli da affrontare, gli enigmi da risolvere e gli obiettivi da superare simulano la quotidianità, lavorativa e non, fungendo da stimoli ed accelerando, così, il processo di apprendimento che, utilizzando altre metodologie e altri strumenti, richiederebbe una mole di tempo decisamente maggiore.

I videogiochi per sviluppare competenze trasversali

L’utilizzo dei videogiochi, come strumento per sviluppare competenze soft, in passato suscitava pareri discordanti soprattutto nel mondo delle risorse umane. Oggi, invece, il paradigma è decisamente cambiato e i videogiochi sono sempre più utilizzati per sviluppare l’apprendimento, acquisire Soft Skills e valorizzare la cultura aziendale.

Nell’ immaginario comune i videogiochi vengono demonizzati, criticati e considerati una perdita di tempo. In molti, genitori compresi, evidenziano gli aspetti diseducativi sottolineandone i molteplici rischi come, ad esempio, ludopatia e gaming disorder.

I benefici delle competenze trasversali (Soft Skills) acquisite tramite gli eSport, però, sono frutto di studi e indagini.

La psicologia evolutiva, ad esempio, ha da tempo sottolineato le funzioni adattive del gioco mentre nella psicologia dello sviluppo la funzione positiva del gioco è stata un tema ricorrente per alcuni dei più autorevoli studiosi del settore.

Jane McGonigal, ricercatrice e autrice del libro “Superbetter: A Revolutionary Approach to Getting Stronger, Happier, Braver, and More Resilient—Powered by the Science of Games”, si è occupata di sviluppare vari serious game che simulano possibili realtà che potremmo trovarci ad affrontare nel futuro prossimo.

Attraverso il gioco, quindi, è possibile sviluppare, sperimentare, svolgere i propri compiti, prendere decisioni e provare a raggiungere i propri obiettivi in un “ambiente” virtuale ma o verosimile alla realtà o che presenta “sfide” e dinamiche del tutto simili a quelle quotidiane.

Uso corretto dei videogiochi: partire dall’educazione digitale

In uno dei suoi famosissimi TedTalk, «How gaming can make a better world», McGonigal evidenzia come bisogna partire dall’educazione digitale attraverso un percorso volto a sensibilizzare i giocatori e far comprendere loro la differenza tra un utilizzo corretto, e non corretto, dei videogiochi.

La ricercatrice ha definito i videogiocatori out-of-the-box problem solver. Con il termine out of the box, letteralmente ‘fuori dalla scatola’, si intende il riflettere in maniera differente per risolvere un problema. McGonigal spiega che questa qualità viene fuori perché i players sono abituati a fallire nell’80% delle loro situazioni di gioco e delle competizioni a cui partecipano.

Maggiore è il numero delle volte in cui falliscono e maggiore è il numero dei tentativi con cui (ri) provano ad arrivare alla fine della “missione” o a vincere la loro competizione.

Con l’aumentare dei tentativi, i giocatori cercano di cambiare il proprio modo di giocare durante le partite, in maniera tale da poter arrivare a completare le varie fasi e “portare a casa” il risultato.

Secondo McGonigal, il fallimento (o la sconfitta) durante un game è differente da un fallimento nella vita reale. Nella vita reale, il fallimento ci porta ad abbandonare determinate attività anche a fronte della frustrazione spesso provocata dalle sconfitte e dalla “reazione” degli altri (che ci giudicano). Quando videogiochiamo, invece, la sconfitta è contemplata e “giustificata”. Chi gioca è “abituato” a fallire e, post sconfitta, si è abituati a ritentare raddoppiando l’impegno le nostre energie per raggiungere l’obiettivo.

I benefici dei videogame sul piano cognitivo, motivazionale, emozionale e sociale

Ad avvalorare la tesi riportata dalla McGonigal, intervengono gli studi dell’American Psychological Association che mostrano come i videogames portino benefici su quattro piani differenti: cognitivo, motivazionale, emozionale e sociale.

Un’analisi sviluppata dal ricercatore Uttal, nel 2013, prova che i miglioramenti nelle spatial ability, conseguiti videogiocando, equivalgono esattamente a quelli che una persona potrebbe conseguire frequentando un corso di studio universitario che tratta la stessa materia.

Uno studio condotto dal Royal Melbourne Institute of Technology ha dimostrato come gli studenti che partecipano regolarmente a competizioni di eSport, durante le scuole superiori, ottengono risultati scolastici migliori in lettura, matematica e scienze.

In Giappone, per la precisione a Tokio, hanno posto in essere un’iniziativa innovativa, verticale e lungimirante. È stata aperta una vera e propria scuola di videogiochi, la eSports High School. Una scuola, e non un corso di studi, per formare i giovani di oggi e renderli “spendibili” alle professioni, nel comparto eSport.

L’Istituto privato è stato realizzato grazie, anche, a contributi di aziende che, evidentemente, credono nello sviluppo esponenziale del fenomeno. Tra gli “investitori” c’è anche Ntt e-Sports, del gruppo Ntt, e della squadra di calcio dei Tokyo Verdy, i cui gamer professionisti sono coinvolti, neanche a dirlo, nella didattica dell’istituto come insegnanti.

La scuola mette subito in chiaro che in pochi riescono a diventare ProPlayer (giocatori professionisti) e che, comunque, la carriera da ProPlayer è temporanea e molto corta. L’obiettivo è, quindi, quello di fornire agli studenti competenze che possano essere usate per avere una carriera “manageriale” all’interno del comparto.

Game based learning, lo stato dell’arte in Italia

In Italia c’è ancora molta strada da fare, soprattutto rispetto alle best practices precedentemente citate basate sul Game – based Learning (GBL), ma le prime attività, ed iniziative, si iniziano ad intravedere.

La Lega Scolastica eSports

Una di esse è la Lega Scolastica eSports: il primo campionato di videogiochi competitivi tra scuole superiori che si svolge in orario extra-scolastico. I numeri della ultima edizione sono molto importanti: 15 regione coinvolte, oltre 500 studenti divisi in circa 60 squadre che si sono sfidati su tre competizioni relative a tre titoli di gioco: Rocket League, Valorant e League of Legends.

Questa iniziativa, sempre più apprezzata da scuole e studenti, è nata con l’intento di:

  • contrastare la dispersione scolastica,
  • far appassionare gli studenti alle materie STEM
  • iniziare a sviluppare le competenze trasversali già in età giovanile.

Videogiochi e prestazioni lavorative

La formazione all’interno di un’organizzazione, di qualsiasi dimensione, ed operante in qualsiasi settore merceologico, riveste, quindi, un ruolo sempre più strategico.

Molto spesso le aziende si concentrano sulla valorizzazione delle risorse umane. Ma valorizzare, spesso, viene tradotto come il mero controllo del livello di efficacie ed efficienza. Occorre, invece, innalzare le competenze e, quindi, investire risorse, umane ed economiche, in formazione e nello specifico: stimolare, sviluppare e migliorare le competenze trasversali dei dipendenti.

Secondo una ricerca di Salesforce:

  • il 97% dei dipendenti (e dei dirigenti) ritiene che la mancanza di allineamento in una squadra abbia un impatto negativo sui risultati del progetto;
  • l’86% dei dirigenti considera le “abilità di lavoro in team” fondamentali nel valutare i candidati per le promozioni;
  • il 39% dei dipendenti evidenzia e lamenta una scarsa ed insufficiente collaborazione da parte dei colleghi;
  • il 96% dei dirigenti afferma che una scarsa collaborazione e comunicazione sono le principali cause di problemi sul posto di lavoro.

Diversi studi, e istituti scientifici, tra cui la Federation of American Scientists, hanno, infatti, riscontrato come giocare ai videogiochi sviluppi competenze che concorrono al miglioramento delle Soft Skills e, quindi, delle prestazioni lavorative.

Nello specifico organizzare delle competizioni di eSport appare una scelta, innovativa, che presenta molteplici vantaggi.

Qualsiasi gioco è sviluppato in un contesto immersivo e all’interno di questa “realtà” è stato dimostrato come la velocità di apprendimento aumenta e con essa lo sviluppo, e il miglioramento, di competenze trasversali, tra cui abilità sociali, e comportamenti.

I videogiochi, utilizzati per sviluppare competenze, permettono di sperimentare esperienze sociali e di simulare conseguenze emotive alternative.

L‘eSports come strumento formativo di team building

Secondo Denise Rousseau, Professore di comportamenti organizzativi alla Carnegie Mellon University, l’eSports come strumento formativo di team building è molto valido a patto di essere utilizzato in maniera corretta. Al momento – evidenzia il professore – le aziende utilizzano gli eSports per promuovere e sviluppare poche Soft Skills (come la coesione di gruppo) perché non prendono in considerazione tutti i possibili titoli di gioco. Utilizzando più titoli di gioco, con una metodologia strutturata, le potenzialità, in ambito formativo di questo “strumento” sono infinite e sorprendentemente numerose.

Le risorse umane, organizzando tornei di eSport, hanno la possibilità di osservare i giocatori (dipendenti) e, ad esempio, scoprire che alcuni di essi posseggono qualità/abilità non ancora espresse e quindi comprendere chi sia più adatto per assumere un ruolo con maggiori responsabilità.

Può capitare, infatti, che molti manager si rivelino bravissimi a dirigere e coordinare il proprio team durante un gioco a fronte di loro competenze ed abilità mai espresse però nella quotidianità lavorativa. L’utilità dell’utilizzo dei videogiochi è proprio qui: riuscire a far comprendere, o sviluppare, determinate soft skills e a trasferirle nella quotidianità lavorativa.

Per i neoassunti, invece, partecipare a questi tornei, interni o esterni, è anche un modo per introdursi più facilmente, nelle dinamiche aziendali, stringere più velocemente relazioni, costruire legami e sviluppare il senso di community.

Secondo Rousseau occorre coinvolgere il maggior numero di risorse umane possibili e creare percorsi strutturati in più fasi come, ad esempio, il fornire materiali di debriefing che fungano da strumenti di riflessione dopo i tornei per discutere di ciò che si è analizzato ed appreso su determinate Soft Skills.

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