La recente pubblicazione AI Report dello European Digital Education Hub’s Squad on Artificial Intelligence in Education è un ulteriore significativo strumento per affrontare il cambiamento del sistema educativo necessario per l’evoluzione sempre più rapida e pervasiva dell’Intelligenza Artificiale. Necessario per far sì che le persone in tutte le fasce d’età possano essere sostenute nel cambiamento obbligato che le coinvolge, in modo da acquisire (o conservare) quella comprensione e quella consapevolezza che sono necessarie per muoversi nella vita quotidiana e lavorativa con possibilità di proattività e beneficio piuttosto che di mero consumo, per di più nell’ambito di contesti, tempi e modi non scelti.
Il problema della carenza di competenze
Se siamo consapevoli che la popolazione adulta deve essere accompagnata con una formazione mirata negli ambiti lavorativi e poi nell’ambito di un sistema di apprendimento personalizzato e diffuso (di cui il progetto della rete dei punti di facilitazione digitale rappresenta l’avvio di una prima infrastruttura fisica educativa), per la fascia giovanile (minori e fino ai 19), nonostante ci troviamo nel contesto favorevole del ciclo dell’istruzione, si sta configurando sempre di più un problema di progressiva emersione di carenza di competenze. Carenza connessa, tra l’altro, a un utilizzo sempre maggiore della rete da parte di minori e di conoscenza e utilizzo dell’Intelligenza artificiale, come evidenziato dalla ricerca “Navigare il futuro” di Telefono Azzurro e Doxa. Si crea così una situazione che è il risultato probabilmente, insieme, di una difficoltà del sistema educativo ad essere efficace in questo importante e rapido passaggio, e della società nel suo complesso a creare il contesto (familiare, scolastico, della comunità) di supporto idoneo.
I minori e l’approccio all’IA
I dati degli studi che si sono susseguiti in queste settimane anche grazie all’edizione annuale del Safer Internet Day lo mostrano in modo molto evidente, in un contesto di analisi già inquadrato dalla rilevazione Istat del 2023 sulle competenze digitali della popolazione. Secondo questa rilevazione, infatti, il dato della popolazione con competenze digitali almeno di base della fascia 16-19 è peggiorato di circa tre punti rispetto al 2021, ed è adesso del 55,9%, inferiore di quasi sei punti rispetto a quello della fascia 20-24, in una dinamica di popolazione in decrescita.
Dalla ricerca “Navigare il futuro” emerge come la percezione di conoscere l’Intelligenza Artificiale da parte dei giovani della fascia 12-18 sia elevata (94%) e l’80% conosce ChatGPT (gli utilizzatori di ChatGPT/altre Chat con IA sono circa la metà di questi), con un’opinione nel complesso positiva dell’IA, considerando come principali vantaggi la velocizzazione e il risparmio di tempo e come rischi principali avvertiti quelli di diventare meno creativi e di perdere le competenze (39%) (e non è un caso che il 51% ritenga che il principale rischio di ChatGPT/Chat con IA sia che renda più pigri). Per un terzo degli intervistati, il timore è anche di diventarne dipendenti e di non riuscire a valutare l’affidabilità delle informazioni. Rischi a cui associano le principali preoccupazioni espresse rispetto alla privacy e all’utilizzo di servizi basati sull’IA rispetto ad essere controllati e sorvegliati (46%), che i sistemi siano vulnerabili ad attacchi hacker, che i fornitori di servizi IA raccolgano e conservino informazioni personali sensibili.
Da considerare che solo il 38% ne ha parlato con i genitori e ancora meno con gli insegnanti, sia gli uni che gli altri non ritenuti, di fatto, interlocutori privilegiati.
Una situazione, in sintesi, di grande curiosità a cui inizia a corrispondere un utilizzo sempre più ampio senza però un’adeguata consapevolezza. In un contesto fragile e spesso impreparato, dal punto di vista educativo.
IA nell’istruzione: sfide e prospettive
Come ricorda il report dell’European Digital Education Hub’s Squad on Artificial Intelligence in Education, “l’intelligenza artificiale rappresenta una grande promessa per migliorare l’istruzione, ma dovrebbe essere implementata in modo responsabile per garantire la protezione dei diritti e degli interessi degli studenti. Controlli ed equilibri adeguati, trasparenza e supervisione umana sono fondamentali per mitigare i potenziali rischi associati all’intelligenza artificiale nell’istruzione. L’intelligenza artificiale dovrebbe essere utilizzata per integrare e migliorare le pratiche pedagogiche esistenti anziché sostituirle”.
Da questo punto di vista certamente per favorire un utilizzo dell’IA nel campo educativo dovrebbero essere superati gli attuali problemi (che rappresentano dei limiti veri e propri), ad esempio in relazione agli algoritmi di IA, che dovrebbero essere progettati per produrre risultati comprensibili e interpretabili. Se apprendimento significa anche saper padroneggiare gli strumenti, sarebbero così più trasparenti i processi decisionali dell’IA e più facile comprendere come il sistema arriva alle sue conclusioni, il che è particolarmente cruciale in aree come la valutazione. E questo è vero sempre rispettando il principio, sottolineato nel rapporto, della necessità di una supervisione umana, con gli insegnanti in grado (e capaci) di avere l’ultima parola nel valutare o prendere decisioni che incidono in modo significativo sugli studenti.
E quindi, cosa fare?
L’approccio proattivo necessario
Gli elementi che sembrano emergere come necessari per l’approccio educativo sono
- da un lato, lo stimolo della proattività e quindi dell’accompagnamento all’utilizzo dell’IA scegliendo il versante della progettazione e della creatività,
- dall’altro, l’inserimento strutturale di questi elementi in tutti i percorsi di istruzione, naturalmente secondo età e grado di sviluppo.
In questo senso va, ad esempio, il risultato del laboratorio educativo della docente di tecnologia educativa Nadia Naffi, focalizzata sull’educazione ai deepfake, che deve essere integrata nei programmi educativi. I giovani devono, infatti, essere incoraggiati a una partecipazione attiva, ma sicura, ben informata e strategica, nella lotta contro i deepfake dannosi negli spazi digitali. Viene così sottolineata l’importanza delle esperienze pratiche di apprendimento collaborativo e di un approccio educativo interdisciplinare che unisca tecnologia, psicologia, studi sui media ed etica per cogliere appieno le implicazioni dei deepfake.
Sempre sul fronte della necessità di un approccio creativo alle tecnologie va un progetto importante come “Art of Game” che sta coinvolgendo studenti delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado in attività di progettazione di videogame, riconoscendolo e utilizzandolo come strumento di espressione e comunicazione e favorendo una visione diversa da quella del semplice utente e consumatore, e quindi un approccio consapevole. Questa esperienza segue il risultato delle raccomandazioni del gruppo di lavoro formatosi nell’ambito della Coalizione Nazionale di Repubblica Digitale, che puntano a conciliare gli aspetti di consapevolezza con quelli di sfruttamento delle potenzialità e opportunità del gaming per l’apprendimento.
Il giusto approccio per includere le tecnologie nei percorsi di apprendimento
Dalle esperienze e dalle ricerche emerge quindi in modo convergente l’importanza di includere pienamente e strutturalmente le tecnologie nei percorsi di apprendimento, con un approccio che consenta di padroneggiarle e quindi comprenderle, riconoscerle, utilizzarle consapevolmente.
La strategia per un efficace sistema educativo non può che collocarsi organicamente in questo quadro attraverso alcune linee di indirizzo che dovrebbero essere rafforzate:
- porre una maggiore attenzione allo sviluppo professionale dei docenti, attraverso una formazione innovativa che consenta loro di poter rapidamente realizzare, nel concreto, quella didattica innovativa che è alla base dello sviluppo, negli studenti, di competenze adeguate per il mondo del lavoro del futuro (e già, in gran parte, del presente);
- uscire dalla logica dell’innovazione attuata soltanto nell’ambito di progetti e applicare invece un approccio strutturale, di cambiamento di sistema. In questo quadro, inserire a sistema la disciplina informatica e l’educazione digitale dal primo ciclo alla scuola superiore diventa sempre più un punto chiave del programma di cambiamento della scuola;
- in un contesto in cui le tecnologie diventano pervasive e allo stesso tempo si evolvono sempre più rapidamente, le competenze di base sono quelle digitali, ma le competenze chiave sono quelle trasversali (legate alle relazioni, alla flessibilità, all’ascolto, all’esplorazione, alla sperimentazione, all’interdisciplinarietà e alla multiculturalità). Questo significa che tutti i percorsi formativi devono essere progettati in quest’ottica, sia in ambito scolastico che lavorativo. In altri termini, il sistema educativo nazionale deve essere sviluppato come ecosistema multistakeholder (scuola, università, imprese, amministrazioni, istituzioni, società civile), per valorizzare sia le specificità del territorio sia le esigenze di una specializzazione settoriale e professionale.
Considerare il contesto, per una infrastruttura educativa
Spazi, disponibilità di dispositivi e di accesso alla rete sono fattori che si intrecciano strettamente con i livelli di competenza. Secondo l’indagine Istat del 2020 “Spazi in casa e disponibilità di computer per bambini e ragazzi”, si rilevava ad esempio che nel Mezzogiorno il 41,6% delle famiglie è senza computer in casa (rispetto a una media di circa il 30% nelle altre aree del Paese) e il 7% affronta anche un disagio abitativo (problemi strutturali, poca luminosità). Secondo i dati Eurostat 2022 In Italia il 39,1% dei minori vive in abitazioni sovraffollate. Tra i giovani dei paesi occidentali, e anche dell’Italia, esiste un gap nell’uso della rete. Ad esempio, chi vive in una famiglia socio-economicamente svantaggiata è meno probabile che usi internet per accedere all’informazione.
Il rapporto 2023 di Save the Children “Fare spazio alla crescita” evidenzia, oltre al disagio abitativo, il disagio relativo agli spazi di apprendimento nelle scuole, con criticità anche generali legate alla bassa presenza di aule informatiche, tecniche e alle condizioni di agibilità degli edifici, che risultano ancora in gran parte con certificati non presenti.
I divari digitali inoltre amplificano quelli sociali e quelli territoriali: dai dati elaborati nel post-Covid dall’Osservatorio Povertà educativa #ConiBambini, i divari nella velocità della connessione della rete internet, ad esempio, sono spesso sovrapponibili ai tempi di spostamento fisico tra città maggiori e aree interne.
E quindi l’intervento non può che essere organico, costruendo le condizioni per un nuovo circolo virtuoso, con un ruolo fondamentale del terzo settore, e della società civile in generale, per intervenire anche con l’adeguata capillarità. Occorre pensare a una infrastruttura di conoscenza che consenta di supportare il processo di apprendimento permanente, sapendo che i destinatari di questo processo sono tutti i cittadini e che l’esigenza di competenza si muove dinamicamente con l’evoluzione dell’applicazione delle tecnologie nella società.
Le caratteristiche per un sistema educativo adeguato all’apprendimento permanente
L’infrastruttura del sistema educativo per l’apprendimento permanente dovrebbe avere alcune caratteristiche, che già informano alcune delle iniziative che troviamo finanziate nel PNRR (ad esempio nella Missione 1 per quanto riguarda le competenze digitali di base):
- capillarità, intesa come presidio fisico nei territori (pensiamo alle scuole e ai punti di facilitazione digitale) e nelle sedi lavorative (secondo la logica delle palestre educative), a cui si collega la rete digitale di offerta di servizi e contenuti educativi;
- puntualità, intesa come proposizione di contenuti e percorsi di apprendimento immediatamente declinabili nelle attività quotidiane e lavorative;
- dinamicità, in quanto è importante che i percorsi di apprendimento siano costantemente allineati alle esigenze dell’evoluzione della società onlife, in termini di contenuti e di metodologie.
La costruzione e la governance di questa infrastruttura diventa, allo stesso tempo, condizione e garanzia del presidio dell’adeguamento delle competenze della popolazione alle esigenze sociali ed economiche e quindi dell’efficace contrasto delle disuguaglianze.
Il cambiamento del sistema educativo
Come sottolineato anche nel documento Unesco Intelligenza Artificiale generativa e il futuro dell’educazione “i rischi connessi alla trasformazione digitale sono molti: l’apprendimento può ridursi così come espandersi negli spazi digitali; la tecnologia fornisce nuove leve di potere e controllo che possono reprimere così come emancipare; e con il riconoscimento facciale e l’IA, il nostro diritto umano alla privacy può contrarsi in modi che erano inimmaginabili solo dieci anni fa”. La divaricazione sociale e le disuguaglianze sono state ancora di più sottolineate dalla pandemia da Covid-19, mostrando la necessità di prevedere l’accesso al digitale e alle competenze digitali come diritto essenziale. Per questa ragione “la prima cosa da fare è colmare questo divario e considerare l’alfabetizzazione digitale una delle alfabetizzazioni essenziali del XXI secolo per studenti, studentesse e insegnanti”.
D’altro canto, se non esistono i nativi digitali intesi come “consapevoli digitali” nativi, è vero invece che si sta sviluppando un diverso modo di relazionarsi, di apprendere, di agire e che questo rappresenta il nuovo contesto in cui deve operare il sistema educativo. Se l’attenzione oggi ha un limite di tempo di 8 secondi, dobbiamo assumere questo limite come un vincolo da forzare, così da “dotare le persone di strumenti che diano un senso alla marea di informazioni a portata di clic”. L’educazione digitale e sui media è lo strumento per dare a ciascuno questa cornice di senso, la formazione informatica è invece lo strumento per poter gestire i contenuti a cui diamo senso.
La personalizzazione dell’apprendimento
La personalizzazione dell’apprendimento richiede, inoltre, un cambiamento profondo nella metodologia e nel ruolo stesso dei formatori e dei docenti ed è da considerare con attenzione che l’accelerazione verso la trasformazione digitale dei sistemi educativi produce un aumento del rischio di divaricazione delle disuguaglianze e di esclusione sociale. Gli studenti provenienti da contesti svantaggiati hanno una probabilità significativa di rimanere indietro, poiché il loro accesso all’apprendimento digitale e a un ambiente di apprendimento adeguato rischia di essere limitato.
La centralità della Scuola
La centralità della Scuola è così da affermare non solo come ambito di sviluppo delle competenze degli studenti, ma anche come luogo di raccordo e di costruzione dello sviluppo culturale del territorio, evidenziando il ruolo delle università e delle biblioteche come luoghi aperti di incontro e di scambio fisico e virtuale. Creando per questo anche un contesto adeguato per lo sviluppo della cultura informatica e informativa nei diversi ordini di scuola, secondo i nuovi paradigmi educativi che qui stiamo riassumendo.
Ma quale scuola? Gli alunni di oggi delle scuole primarie devono acquisire competenze valide anche tra 15-20 anni, ma noi non sappiamo come saranno le città, il lavoro, la comunicazione, il nostro modo di organizzare la vita nel 2040.
In questo contesto la Commissione europea ha definito il quadro strategico di intervento europeo e anche l’Italia ha intrapreso il suo percorso in modo coerente e altrettanto ambizioso, con la Strategia nazionale per le competenze digitali.
Prime riflessioni per i prossimi passi
Occorre pertanto pensare a una scuola che abiliti e prepari alla flessibilità cognitiva, alla capacità di acquisire le competenze chiave che si configureranno nei prossimi anni, all’apprendimento permanente e proattivo. Se le competenze del futuro sono soprattutto di approccio mentale ed elaborazione connettiva e collettiva (si parla di sense-making, intelligenza sociale, pensiero creativo e adattivo, competenza interculturale, pensiero computazionale, consapevolezza dei nuovi media, multidisciplinarietà, design mentale, gestione del carico cognitivo, collaborazione virtuale), ecco che il tema di “quale scuola” non si pone solo al livello delle discipline, ma include le metodologie didattiche, gli ambienti di apprendimento, l’organizzazione stessa della scuola.
Una scuola flessibile, che avrà bisogno di centri di sperimentazione e innovazione diffusi territorialmente, ma con connessioni reticolari che permettano di acquisire l’adeguata resilienza e quindi la capacità di evolvere nel tempo “cavalcando” i cambiamenti: una scuola dell’autonomia nell’ambito di azioni condotte da reti di scuole. Da terra di conservazione a terra di sperimentazione, comprensione, consapevolezza. Ciò implica la costruzione di capacità che rendano gli studenti e le studentesse autonomi, pensatori ed esecutori etici. Significa fornire loro gli strumenti per collaborare con gli altri e sviluppare la capacità di agire, la responsabilità, l’empatia, il pensiero critico e creativo, oltre a una gamma ampia di competenze sociali ed emotive. Per allineare l’educazione a questa visione ambiziosa è necessario stabilire nuove modalità di organizzazione dell’apprendimento, rafforzando l’educazione come bene comune, sapendo che la popolazione dovrà essere in grado di apprendere per tutta la vita.
E quindi con una riorganizzazione e un cambiamento profondo del sistema educativo.