Lo sviluppo del sistema degli ITS – Istituti Tecnici Superiori in Italia costituisce la risposta concreta ed efficace a due dei principali paradossi del nostro Paese: l’alta disoccupazione giovanile e la carenza di tecnici specializzati.
Per la maggior parte dei Paesi europei, la formazione adeguata alle sfide della trasformazione digitale è al centro del dibattito pubblico: sia per le sue ricadute economiche, sia per quelle sul mondo dell’educazione.
Le professioni legate alla trasformazione digitale hanno avuto negli ultimi anni una grandissima richiesta da parte delle imprese. La velocità del passaggio al digitale è stata influenzata anche dalla pandemia e nel mondo delle professioni legate all’Information Technology si parla ormai di “skills shortage”, ovvero di mancanza di personale competente e specializzato.
Mancano lavoratori ICT, ma è anche colpa delle aziende: gli studi
I profili più ricercati al momento sono quelli di persone già esperte, essendo indispensabile per le aziende correre ai ripari ora (alcuni parlano ormai di un “new normal” riferendosi all’avvento del digitale in tutti i processi operativi).
Soltanto attraverso un adeguato sistema di istruzione e formazione è possibile rispondere alle sfide poste dalla economia della società digitale: per questo, è importante analizzare il contributo offerto allo sviluppo dell’economia digitale dagli ITS – Istituti Tecnici Superiori che operano nell’ambito ICT.
ITS: i numeri del sistema e quanti sono i neodiplomati
Dopo sessant’anni di tentativi falliti per creare un sistema di formazione terziaria professionalizzante, gli ITS, nati nel 2010, sono finalmente la vera novità del nostro sistema educativo e formativo.
Dal monitoraggio 2020, su 187 percorsi conclusi fra il primo gennaio e il 31 dicembre 2018, emerge che l’83% dei diplomati ha trovato un lavoro ad un anno dal diploma e di questi il 92 % lo ha fatto in un’area coerente con il percorso concluso.
Attualmente in Italia ci sono 104 fondazioni ITS con 16mila allievi. In questi giorni la Regione Lazio, così come altre regioni italiane, ha pubblicato una Manifestazione di interesse per la costituzione di nuove fondazioni ITS.
L’obiettivo del provvedimento è rafforzare e innalzare il livello qualitativo dell’offerta del sistema di istruzione e di formazione tecnica superiore, diversificandola e potenziandola.
In particolare, l’obiettivo è puntare sulle aree tecnologiche ritenute strategiche per lo sviluppo economico e la competitività e favorire percorsi formativi in grado di aumentare l’occupabilità dei giovani neodiplomati del Lazio.
Il segreto del successo degli ITS è la fortissima integrazione tra scuola e impresa: le fondazioni di partecipazione vedono integrati ab origine centri di formazione, scuole, università o centri di ricerca, imprese.
L’integrazione permette di avere un’analisi continua dei bisogni, una docenza che viene per oltre il 65% dal mondo del lavoro e un partenariato molto forte per i tirocini e le assunzioni.
Dopo dieci anni di startup, la nuova sfida – evidenziata dall’associazione Rete Fondazione ITS Italia – è quella della stabilizzazione e della crescita degli ITS, per creare un sistema internazionale di campus tecnologici orientati alla formazione tecnica specialistica dei giovani, alla ricerca applicata e al life long learning.
Il Presidente del Consiglio italiano ha recentemente definito gli ITS “pilastro educativo”, come accade da anni in Paesi nostri competitor, come Germania e Francia.
In un passaggio del suo discorso al Senato, Mario Draghi ha parlato di un investimento di 1,5 miliardi di euro dedicato nel “Programma nazionale di ripresa e resilienza” (collegato al piano Next Generation EU) agli ITS, confermando la cifra già prevista nelle prime bozze di gestione del Recovery Fund italiano.
Gli ITS rappresentano oggi un vero asse per lo sviluppo del sistema industriale anche per la ricerca applicata, la prototipazione, la formazione continua, i servizi alle imprese.
Come gli ITS possono ridurre il digital dismatch
In parallelo alla crescente digitalizzazione del contesto in cui viviamo, nasce l’esigenza di un mix sempre più articolato di competenze digitali in grado di supportare le organizzazioni nella gestione del cambiamento.
Secondo il report “The future of Jobs 2020” del World Economic Forum (Wef), nel 2030 nove lavori su dieci richiederanno competenze digitali avanzate: nuove competenze e professionalità che interessano ormai tutti i settori e funzioni aziendali, un giusto mix tra conoscenze tecnologiche e “soft skill”.
Una competenza digitale rappresenta la capacità di essere, in modo consapevole e partecipe, attori nella società della conoscenza e dell’innovazione che, per l’appunto, è da alcuni decenni una società digitale, una società 5.0 in piena economia 4.0.
L’ICT è sempre più presente in tutte le professioni e le competenze digitali risentono fortemente delle evoluzioni tecnologiche.
Eppure, nel campo delle competenze digitali, il problema centrale è rappresentato dal digital mismatch, ossia il divario tra le competenze possedute dai lavoratori e quelle che oggi richiede il mondo del lavoro. La richiesta di competenze digitali sta vivendo una crescita esponenziale, tuttavia non c’è ancora un adeguato riscontro in termini di formazione.
Secondo il rapporto DESI 2020, l’Italia è all’ultimo posto per la digitalizzazione dell’area “capitale umano” nella classifica dei Paesi dell’UE: nel 2019, ha perso due posizioni. Solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno le competenze digitali di base (58% nell’UE) e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (33% nell’UE).
La carenza di competenze digitali si riflette inevitabilmente nel modesto utilizzo dei servizi online, compresi i servizi pubblici digitali. A usare abitualmente internet è solo il 74% degli italiani.
Inoltre, anche se il paese si colloca in una posizione relativamente alta nell’offerta di servizi pubblici digitali (e-government), il loro utilizzo rimane scarso.
Allo stesso modo, le imprese italiane sono in ritardo rispetto gli altri Stati dell’UE nell’utilizzo di tecnologie come il cloud e i big data, e anche nell’adozione del commercio elettronico.
L’European Centre for the Development of Vocational training dell’Unione Europea (Cedefop), dal canto suo, ha stimato che dal 2020 al 2025 circa 46 milioni di opportunità di lavoro (su un totale di 107 milioni) nasceranno per lavori altamente qualificati, che prevedono una preparazione di livello universitario o fortemente specializzata.
ITS per lo sviluppo dell’economia digitale: gli obiettivi della ricerca
L’obiettivo generale della presente proposta progettuale mira ad indagare la risposta dei sistemi di istruzione e formazione, a livello nazionale e internazionale, alla crescente domanda di competenze digitali.
In particolare, oggetto di indagine è il contributo offerto dagli Istituti Tecnici Superiori (I.T.S.) operanti nell’ambito ICT all’economia della società digitale.
Obiettivi specifici della ricerca sono i seguenti:
- ricostruzione e approfondimento del quadro relativo alle politiche di formazione professionale dell’Unione europea;
- analisi delle tendenze socioeconomiche e demografiche sull’occupazione, i tipi di posto di lavoro e la domanda di competenze nell’economia della società digitale;
- il contributo della istruzione e formazione tecnica superiore: le potenzialità dell’ITS e il suo modello culturale e formativo;
- la figura del Tecnico Superiore: connotazioni funzionali al mercato del lavoro e anticipazioni sulla fisionomia nella classificazione dei livelli EQF;
- studio di caso relativo ad alcune esperienze ITS italiane.
L’aspetto scientifico ed innovativo della ricerca è rappresentato dal proposito di analizzare e approfondire l’attuale economia della società digitale attraverso la lente del sistema di istruzione e formazione professionale.
Per le ragioni sopra descritte, si tratta di approfondire aspetti essenziali relativi allo sviluppo di una società 5.0 in piena economia 4.0. relativamente a ciò che la fonda e la sostanzia: un adeguato sistema educativo e formativo.
ITS per l’economia digitale: l’approccio metodologico
La presente indagine sul contributo degli Istituti Tecnici Superiori (I.T.S.) allo sviluppo della società digitale utilizzerà una molteplicità di approcci, tutti riconducibili a un comune metodo scientifico di conoscenza e soluzione di problemi reali. L’indagine empirica presenterà una continuità di approcci di ricerca, sia qualitativi che quantitativi.
Prendendo in esame più casi (differenti ITS del settore ICT di differenti regioni italiane), il metodo di ricerca è definito come studio di caso multiplo, che legato all’ulteriore elemento che caratterizza il tipo di disegno adottato, ossia la sua finalità di tipo esplorativo, qualifica in definitiva la ricerca come studio esplorativo a caso multiplo.
Al fine di produrre una spiegazione plausibile e coerente del fenomeno oggetto di indagine, verranno costruiti strumenti di rilevazione per raccogliere informazioni utili all’analisi dei percorsi realizzati dagli ITS del settore ICT.
ICT per lo sviluppo dell’economia digitale: i risultati attesi dello studio
- Quadro complessivo aggiornato in merito alle politiche di Istruzione e Formazione Professionale e di Politiche Attive del Lavoro;
- Rapporto sulla filiera formativa professionalizzante a livello nazionale ed europeo;
- Analisi delle competenze digitali relative alla domanda di nuove professionalità/competenze;
- Impatto del sistema degli ITS sulla economia della società digitale;
- Punti di forza e criticità delle esperienze ITS realizzate nel settore ICT
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Bibliografia
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Noviter Srl, a cura di, “Formazione professionale e politiche del lavoro nelle regioni italiane: uno sguardo d’insieme”; in collaborazione con il CNOS-FAP, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2018.
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