In un’epoca in cui il Covid ci ha obbligato a lavorare da remoto e ad auto-organizzare il lavoro, utilizzando computer e telefoni per collegarci con colleghi, collaboratori e capi, nelle imprese private e nelle pubbliche amministrazioni è necessario un manager in possesso di nuove competenze o meglio di diverse competenze per la gestione del lavoro e delle persone.
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Parto, per spiegarmi meglio, da una frase che mi ha molto colpito: “La pandemia ha ucciso i “ragionier Fantozzi”, inclusa all’interno del report “La leadership del futuro. Ecco come la crisi del lavoro trasforma anche i manager”.
Il focus del report è appunto la leadership del futuro. Ricorrono parole come gentilezza, empatia, condivisione degli obiettivi, conciliazione, diversità, inclusione, capacità. Sono caratteristiche sia richieste dal mercato e dal basso, cioè da chi è guidato dai manager, sia ritenute la base necessaria per rivoluzionare la figura del “capo”. Competenze indispensabili per una maggiore efficienza ed efficacia organizzativa.
Ma è proprio così? Non ci sono più i leader autoritari? Chi lavora all’interno delle organizzazioni richiede strutture orizzontali e partecipate in sostituzione di una visione muscolare e verticistica delle imprese? I manager riconoscono le nuove competenze come quelle necessarie per poter svolgete il proprio lavoro?
Prima di capire quale è la situazione auspicata, vediamo insieme le caratteristiche di una leadership muscolare e autoritaria e quelle di una leadership aperta, inclusiva, motivante.
Come riconoscere una leadership autoritaria
Partiamo dalla leadership autoritaria. Tutti quanti abbiamo avuto modo di incontrare nella nostra vita lavorativa almeno un leader che mette sé stesso al centro delle decisioni, non ascoltando i pareri e le valutazioni dei suoi collaboratori.
Quante volte vi è capitato di lavorare con un capo che utilizzava queste espressioni: “decido io”, “conosco io il problema e so come affrontarlo”, “si fa come dico io”? Un manager che dirige, comanda, parla molto ma ascolta poco, decide in prima persona.
Spesso si tratta anche di un capo che critica l’operato dei propri collaboratori e colleghi, si focalizza sui punti di debolezza e incolpa gli altri di inefficienze e problemi, ponendo una limitata attenzione alle loro cause.
È il capo che dice “hai sbagliato”, “perché ti comporti sempre nello stesso modo” e “non dovevi fare questa cosa”, senza analizzare i motivi e le criticità.
È, inoltre, il capo che prende decisioni di breve periodo, a volte perdendo di vista le ripercussioni future.
È anche il capo che si prende il merito dei successi e dei risultati, non riconoscendo il contributo di chi ha contribuito a raggiungerli.
A volte è anche il manager che ritiene di essere il miglior capo che tutti dovrebbero apprezzare per le sue caratteristiche di leadership e competenza.
Le caratteristiche di una leadership partecipativa
C’è anche un altro tipo di leader, spesso identificato con uno stile partecipativo. È il capo che non parla al singolare, ma al plurale utilizzando frequentemente il noi. Prende le decisioni, ascoltando collaboratori e colleghi e dando feedback.
Le espressioni tipiche sono “analizziamo e comprendiamo la situazione in cui siamo”, “cerchiamo di capire le criticità”, “prendiamo decisioni sulla base della situazione e dei possibili effetti”.
Quindi un manager che coinvolge, coordina le persone, parla dopo aver ascoltato, decide dopo aver analizzato la situazione.
È anche un capo nella gestione delle persone dà credito, delega, incoraggia, si focalizza sui punti di forza, ispira entusiasmo. Spesso dà feedback invece che criticare, suggerisce comportamenti alternativi e migliorativi, è un coach.
E inoltre è il capo che si assume le responsabilità e riconosce il merito dei collaboratori. Tra i comportamenti positivi anche il parlare poco e l’agire, fornendo l’esempio per evidenziare comportamenti positivi e orientamenti valoriali.
I quattro stili di leadership di Likert
Queste due tipologie di leadership sono due possibili idealtipi, due lenti per osservare la realtà e riconoscere stili di leadership e gestione del personale.
I due stili ricordano il modello proposto nel 1967 da Rensis Likert, psicologo delle organizzazioni, che sulla base di esperimenti sul comportamento analizzò come il leader rendeva partecipe il gruppo nelle decisioni.
Likert identificò quattro stili di leadership che i capi adottavano nel rapporto con colleghi e collaboratori: autoritario-coercitivo, autoritario-benevolo, consultivo, partecipativo.
Nel modello a quattro dimensioni Likert propendeva per lo stile partecipativo, ma descrisse anche come ogni stile era più o meno appropriato in funzione del contesto e delle caratteristiche organizzative.
Infatti, nelle sperimentazioni condotte osservò che lo stile autoritario è più utile quando i compiti sono molto semplici e ripetitivi. In questi casi, il livello di rendimento è elevato anche in assenza di soddisfazione dei lavoratori. Inoltre, si riescono a raggiungere risultati nel breve periodo proprio perché si ha timore del leader, ma nel lungo periodo i collaboratori tendono alla reticenza o al conflitto e quindi i risultati sono più difficili da raggiungere.
Nel modello di Likert invece la leadership partecipativa è preferibile in attività e organizzazione creative, in cui sono richieste iniziativa individuale e responsabilità. In questi contesti un leader con stile partecipativo stimola la creatività, non mette pressione, comprende eventuali errori, responsabilizzando i collaboratori, puntando sulla loro autonomia e aumentando così il rendimento nel lavoro.
Likert quindi ci dice che non è sempre preferibile uno stile di leadership e che va verificato in funzione del contesto di lavoro e delle attività.
Le richieste alla leadership dopo la pandemia
Ora la riflessione che sta emergendo, a seguito del cambiamento degli stili di vita e di lavoro indotti dalla pandemia, è quale sia la leadership del futuro. Ha senso ancora una leadership top-down, autoritaria e direttiva o è preferibile una leadership inclusiva, partecipativa, democratica?
Oggi alle figure apicali si chiede di avere attenzione al personale, di valorizzare e di includere.
A chi lavora nelle organizzazioni si chiede di partecipare alla definizione e al raggiungimento degli obiettivi, di avere un approccio collaborativo e di co-progettare.
Si sta andando quindi verso una richiesta di progressivo cambiamento delle caratteristiche della leadership e dell’apporto del personale nella gestione.
Lo smart working ha dato il suo contributo, suggerendo uno stile di gestione delle persone orientato agli obiettivi e non ai compiti, alla gestione per risultati e non in base agli orari di lavoro, alla motivazione e alla responsabilizzazione e non al controllo.
Emergono quindi: il bisogno di un’organizzazione meno gerarchica e più orizzontale, la necessità di capi che non guardino i collaboratori dall’alto in basso, l’opportunità di lavorare per obiettivi. Resiste, tuttavia, la cultura del controllo, la gerarchia, la “direttività” delle decisioni e uno stile spesso autoritario.
Conclusioni
Anche in questo caso siamo davanti ad un bivio, come su diversi ambiti, temi e questioni poste dalla pandemia e dal PNRR.
È preferibile puntare su uno stile direttivo e spesso autoritario per raggiungere obiettivi e risultati, anche senza la motivazione e il coinvolgimento della squadra con cui si lavora, nonostante il contesto in continuo cambiamento?
Oppure si deve adottare uno stile partecipativo e inclusivo, in cui le persone sono fondamentali per la definizione e il raggiungimento di obiettivi e risultati e devono quindi essere gestite con gentilezza, empatia, ascolto?
Il contesto in cui viviamo connotato da flessibilità, cambiamenti e continue evoluzioni a livello economico, politico, sociale e internazionale, ci suggerisce che anche sulla leadership è necessario un cambio di paradigma. Ora si tratta di capire quali scelte andranno fatte davanti a questo bivio.
Vorrei chiudere con due aforismi che, in parte, suggeriscono la direzione: “A ogni bivio sul sentiero che porta al futuro, la tradizione ha posto diecimila uomini a guardia del passato” di Maurice Maeterlinck.
E “Quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è più speranza. È difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all’erta” di Tiziano Terzani.