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PA, come sfruttare bene l’open innovation



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L’open innovation è una via per introdurre l’AI nei processi di gestione dei dati pubblici, come fatto dal sistema camerale: tuttavia la PA sfrutta ancora poco il patrimonio informativo a sua disposizione

Pubblicato il 13 mag 2024

Paolo Ghezzi

CEO di Infocamere ed Expert dell'Istituto EuropIA.it



innovazione open innovation

L’open innovation è la via scelta dal Sistema camerale per introdurre l’intelligenza artificiale e la rivoluzione del linguaggio nei processi delle Camere di commercio e valorizzare i dati pubblici. Infatti, oggi non avere dei processi decisionali data driven significa rinunciare a un vantaggio competitivo spesso determinante, qualunque sia il settore in cui si opera.

Un rischio che troppe imprese italiane stanno correndo seriamente e che riguarda anche la Pubblica amministrazione, probabilmente il più grande produttore di dati in un sistema economico e sociale moderno come il nostro. Dati che, rispetto a quelli prodotti dal mercato – come riflesso delle attività di imprese e cittadini utenti e consumatori di beni e servizi – sono di qualità perché certificano stati e fatti di rilevanza pubblica.

PA data driven, i fronti critici

I dati pubblici di qualità certificata e di facile accesso sono una chiave indispensabile per gestire meglio le decisioni di business, fronteggiare i pericoli collegati alla crescente circolazione di informazioni di scarsa affidabilità e contribuire a fare di noi dei cittadini e degli imprenditori digitali più consapevoli e, perciò, più liberi.

Purtroppo, la Pa utilizza ancora molto poco l’enorme patrimonio che possiede rispetto alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie: dagli analytics all’intelligenza artificiale, al machine learning. Una pubblica amministrazione che non utilizza i dati che raccoglie per migliorare i propri processi e servizi è come un’impresa che non conosce i propri clienti e il proprio business.

Se questo gap per un’impresa può fare la differenza tra l’essere o meno competitiva, per una Pubblica amministrazione significa venir meno al proprio mandato di servire la comunità in modo semplice ed efficiente. Basi di dati amministrative come ad esempio il Registro delle imprese delle Camere di commercio – concepite e gestite per garantire e accrescere la qualità dei dati – sono asset fondamentali per affrontare le sfide della trasformazione digitale. Un punto di partenza per fare quel salto “disruptive” ormai indispensabile perché l’Italia possa recuperare il gap digitale accumulato rispetto agli altri paesi avanzati.

Perché puntare a un cambiamento culturale

Nella sfida per ridurre questo distacco – nonostante i progressi rapidissimi e impressionanti dell’intelligenza artificiale e dal machine learning – non esiste ancora una killer application e mettere a disposizione di cittadini e imprese i famosi big data non basta. Da tempo la narrazione si è spostata sui “right data”, nel senso di accrescere la capacità di un’organizzazione di capire quali sono i dati di cui ha bisogno e investire per sfruttare solo quelli, senza disperdere preziose energie nella gestione di masse di dati troppo grandi rispetto ai propri obiettivi. Il nostro ritardo è prima di tutto culturale ed è su questo piano che bisogna investire per realizzare la digital trasformation della nostra società.

Per muoversi nello scenario digitale, occorre sviluppare una comprensione più profonda dei fenomeni e governare appieno la “piramide del valore” del dato e la potenza degli algoritmi con cui connetterli e analizzarli, ricavandone quello che veramente conta: informazioni affidabili (per elaborare decisioni più accurate ed efficaci) e processi più efficienti (per migliorare l’impiego delle risorse e ridurre il peso della burocrazia percepito da imprese e cittadini).

Il ruolo dell’AI

Come ha ricordato in un webinar interno di Infocamere Barbara Caputo, esperta di AI e tra i consulenti che hanno collaborato alla stesura della strategia italiana per l’intelligenza artificiale, “la trasformazione digitale è un fenomeno molto simile ad altre discontinuità tecnologiche del passato come la rivoluzione industriale. Allora il passaggio riguardò la capacità di produrre e impiegare l’energia necessaria all’industria su grande scala. Oggi al centro della discontinuità tecnologica c’è l’informazione che diventa ‘dato digitale’ e che, grazie all’intelligenza artificiale, è possibile generare, convertire e processare in modo sempre più efficiente su una scala molto maggiore di quanto gli esseri umani possano fare”.

Quello che non si è detto abbastanza – da quando nell’ultimo anno o poco più si è iniziato a parlare ovunque di intelligenza artificiale generativa – è che l’AI è già da tempo una parte essenziale delle nostre esperienze quotidiane di cittadini, consumatori, imprenditori. La stessa esperienza di InfoCamere e delle evoluzioni che ha attraversato la gestione del Registro delle imprese dalla sua nascita – ormai trent’anni fa – come registro in origine informatico, racconta un pezzo di questa storia.

L’irruzione sulla scena di un servizio come ChatGpt – basato su un algoritmo effettivamente molto potente – ha suscitato una forte onda emotiva che ha contribuito a fare affiorare un po’ più di consapevolezza dello strato di AI esistente nel nostro quotidiano e a indicare la frontiera tecnologica su cui siamo attestati. In realtà, i progressi nell’intelligenza artificiale vanno avanti ormai da 20-30 anni e lentamente molte cose si sono trasformate grazie al suo impiego, in modo per noi quasi trasparente, in tanti servizi online sia privati che pubblici.

La grande innovazione che stiamo vivendo oggi è quella del linguaggio. Sempre nelle parole di Barbara Caputo “si è capito come elaborare, generare e sintetizzare il linguaggio naturale. I prossimi dieci anni saranno molto eccitanti dal punto di vista della ricerca e delle implementazioni perché, a partire da questa rivoluzione, piano piano impareremo che ci sono tantissime cose che questa tipologia di algoritmo e questo tipo di applicazioni ci permettono di fare”.

L’impatto sul settore formazione

Uno dei mondi che sarà investito maggiormente da questo “breakthrough” sarà quello della formazione e dell’educazione. Sicuramente una gran parte del lavoro di ufficio che coinvolge l’elaborazione di testi sta per vivere un cambiamento profondo che forse potremmo associare a quello che è successo per le professioni contabili, quando arrivarono i fogli elettronici. Ma, nonostante i tanti allarmi che echeggiano in un momento di passaggio epocale come questo, dopo una fase di inevitabile assestamento con tutta probabilità il bilancio occupazionale tornerà a stabilizzarsi ad un livello di competenze mediamente più elevato.

Davanti alla ricchezza crescente di dati e alla possibilità di leggerli in modo integrato, la chiave di volta sarà, infatti, la disponibilità di competenze adeguate a ricavarne informazioni e di strumenti semplici da usare per interpretarli. Secondo il filosofo Luciano Floridi, “stiamo vivendo una preistoria digitale. […]. La forbice fra i dati prodotti e la capacità di archiviazione mondiale va costantemente allargandosi. Una cultura sviluppata non si preoccupa soltanto di accumulare dati, ma ne ha anche cura: li analizza, li inserisce in un contesto, li interpreta”.

Le figure professionali per l’innovazione di PA e imprese

Uno dei passaggi cruciali affinché imprese e organizzazioni possano cogliere queste opportunità è da un lato la presenza di figure professionali come i data scientist che, coniugando conoscenze informatiche, di business e capacità di storytelling, sono in grado di trasformare dati grezzi in informazione facilmente accessibile a tutti. Dall’altro, la disponibilità delle organizzazioni pubbliche ad aprirsi alla collaborazione con l’ecosistema dell’innovazione che ha come riferimenti il mondo delle università e la comunità delle startup e pmi innovative, un bacino di competenze e idee potenzialmente capaci di spostare in avanti l’ago dei processi innovativi che servono per accompagnare il sistema Paese nel futuro digitale.

L’iniziativa del Sistema camerale

La strada dell’open innovation prevede di investire in nuove società ad alto tasso di innovazione per poi poter beneficiare dei risultati di questa innovazione. Questo tipo di approccio ormai è preponderante nei sistemi economici più avanzati – negli USA le grandi corporation lo usano ormai più frequentemente dei propri centri di ricerca interni per sviluppare nuove soluzioni e servizi – ed è alla base di una recente iniziativa di data-driven innovation intrapresa dal sistema camerale (Unioncamere, InfoCamere e alcune camere di commercio pilota) per fare un passo in più rispetto al tradizionale scouting di idee e ingaggiare direttamente la comunità degli innovatori.

Lo strumento scelto è stato quello della call for driven-innovation, indirizzata a startup e pmi innovative per stimolare la proposta idee focalizzate su due ambiti operativi di valenza strategica per le Camere di commercio e per le imprese che usano i loro servizi. Un primo ambito riguarda l’Internal Process Automation, per aiutare le Camere a riconfigurare in modo più efficiente le procedure meno fluide e che rischiano di rappresentare “strettoie” nell’interazione con le imprese. Il secondo ambito è quello dell’Intelligent Data Analysis & Management, un campo in cui, grazie all’impiego dell’Intelligenza Artificiale e del Machine Learning, esistono grandi margini per sviluppare le potenzialità del patrimonio informativo gestito dalle Camere di commercio, uno degli asset informativi pubblici sulle imprese più ricchi del Paese.

Con la collaborazione di The Doers è stato così lanciata la Call “Data-Driven Innovation: Camere di Commercio e Startup insieme per un’Italia Digitale”. Il progetto vede una prima fase di sperimentazione in cinque Camere di Commercio (Firenze, Messina, Milano, Padova, Torino) che, collaborando con i vincitori della challenge, potranno sviluppare e implementare i progetti selezionati con l’obiettivo, in una seconda fase dell’iniziativa, di condividere i risultati con le altre Camere.

La risposta è stata molto incoraggiante, con oltre 60 candidature da tutto il territorio nazionale. La selezione finale ne ha premiate cinque che, con il supporto delle Camere partner e degli organizzatori, nel 2024 potranno sviluppare un Proof of Concept (PoC) e ambire a una disseminazione a tutto il sistema camerale. Il lavoro cooperativo porterà, infatti, alla finalizzazione concreta del design di prodotti e/o servizi innovativi a partire da servizi e/o prodotti già esistenti, per poi arrivare all’adattamento degli stessi, attraverso una fase di Co-design, ad incontrare gli obiettivi degli stakeholder.

Conclusione

Le camere di commercio si trovano in una posizione strategicamente unica per trasferire i vantaggi dell’innovazione tecnologica al mondo delle imprese e dunque al Paese. Raccogliendo consapevolmente questa nuova sfida, il sistema camerale può diventare un’agente capace di supportare e stimolare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per efficientare i propri processi e sviluppare servizi evoluti a vantaggio non solo di tutto il mondo imprenditoriale italiano, ma anche delle altre Pubbliche amministrazioni che sempre più sono ormai chiamate a dialogare e interagire in modo “intelligente” nell’interesse dei cittadini e del Paese.

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