le sfide

Per la vera PA digitale servono le competenze giuste: le priorità per il nuovo Governo

Trasformare la Pubblica amministrazione significa attirare nuove persone, velocizzare i processi, dare servizi veloci e di qualità a imprese e cittadini. Per fare questo, il digitale è fondamentale, ma ancor di più c’è bisogno di riportare nella PA competenze e abilità che negli ultimi decenni sono state allontanate

Pubblicato il 19 Ott 2022

Paolino Madotto

manager esperto di innovazione, blogger e autore del podcast Radio Innovazione

digitalizzazione - webfare

Il nuovo Governo si appresta a cominciare le sue attività e i dossier cominciano ad essere presi con maggiore attenzione rispetto alla campagna elettorale. L’inizio della legislatura è anche il momento nel quale si dovrebbe fare mente locale su cosa ha funzionato e cosa no e darsi qualche obiettivo per i prossimi anni. L’ideale sarebbe ragionare su lunghezze di dieci o venti anni ma siamo in Italia e la precarietà sembra aver pervaso ogni settore così il ragionamento prospettico si limita al corto e cortissimo raggio.

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Trasformare la pubblica amministrazione: mission impossibile?

Sul digitale assistiamo a molti cantieri aperti e al maggiore investimento economico dal dopoguerra che è il PNRR. Tuttavia, vediamo le difficoltà a trovare persone, a governare progetti complessi con tempi ristretti, perfino a monitorare i progetti con la giusta attenzione. Questo si aggiunge alla necessità di trasformare la pubblica amministrazione per far fronte alle sfide a cui è chiamata nel dare servizi ai cittadini e alle imprese. Il Dipartimento per la Trasformazione Digitale nel documento “Italia digitale 2026” ha elencato puntualmente le attività condotte e quelle da portare avanti in questi anni.

Uscendo dalle singole progettualità anche se importanti, negli ultimi anni, anche a seguito della pandemia, la PA è passata dall’essere il soggetto “nemico” della società ad un elemento imprescindibile dello sviluppo economico e del benessere dei cittadini. I cittadini e le imprese si aspettano però una PA in grado di offrirgli servizi di eccellenza e di farlo con un livello di semplicità e di completezza “disruptive” rispetto al passato. Questo significa partire dal “cliente” (cittadino o impresa) per ripensare i servizi della PA e i processi necessari alla loro realizzazione. Adattare la PA ai modi di vivere, di pensare e ai tempi dei “clienti” non viceversa.

Se c’è un aspetto odioso della burocrazia (che rimane qualcosa di necessario) sono degli iter intricati per fare delle cose semplici, iter che tengono più in conto dell’organizzazione e degli equilibri della stessa PA che delle esigenze di chi devono servire.

La rivoluzione organizzativa della pubblica amministrazione: perché serve, come farla

Cambiare la burocrazia: partiamo dalle autocertificazioni

La sfida del nuovo governo è quella di cambiare questo approccio nella sostanza (perché nella comunicazione sono decenni che si dà per fatta). Un primo passo in questa direzione, a mio avviso, è l’abolizione dell’autocertificazione così come concepita dal dpr 445/2000. La gran parte delle truffe alla erogazione di finanziamenti, sussidi e bonus avviene spesso attraverso autocertificazioni false. Se aveva senso nel 2000 in attesa che la PA potesse parlarsi al suo interno e verificare direttamente le informazioni alla fonte, oggi questo non ha più senso perché non esiste alcun vincolo tecnico affinché lo scambio non possa avvenire.

Trasformare la PA significa anche attirare nuove persone (che oggi disertano i concorsi), velocizzare i processi (cosa indispensabile se si vogliono raggiungere gli obiettivi del PNRR), dare servizi veloci e di qualità alle imprese e ai cittadini (condizione imprescindibile se vogliamo il decollo dello sviluppo economico del Paese).

Ridisegnare la PA digitale: le competenze che servono

Per fare questo il digitale non è un condimento della pietanza ma la pietanza. Non si può prescindere dal digitale per realizzare tutto questo. Bisognerebbe anche smettere di parlare di “digitalizzazione” della PA come fosse una conversione in digitale di una grandezza analogica, perché questa conversione non serve a nulla. Abbiamo bisogno di ridisegnare la PA digitale, costruirla direttamente attraverso le tecnologie e i processi dell’era digitale. Questo ancora è tutto da fare.

Ridisegnare il fisco, come ho scritto poco tempo fa, ripensare le modalità di ottenere un diritto previsto dalla legge, ripensare i servizi che fornisce la PA. Questo solo per fare alcuni esempi.

Per fare questo c’è bisogno di riportare nella PA competenze e abilità che negli ultimi decenni sono state allontanate. Una politica draconiana di austerità economica non solo ha condotto il Paese a non crescere per molti anni facendo perdere competitività rispetto ai suoi partner europei ma ha privato, in particolare la PA, di competenze tecniche e abilità manageriali in grado di guidare il cambiamento. Questa è la prima priorità e come abbiamo visto non basta pensare che si apre un posto fisso e si riempiono i concorsi, perché i giovani vincono il concorso e poi non si presentano. Scelgono di andare all’estero magari a lavorare per la PA di un altro paese che però li valorizza.

Competenza digitale e organizzativa devono fare squadra

La ricostituzione di una PA efficiente è lavoro difficile e lungo, come quando arriva una nuova proprietà di una squadra di calcio anche blasonata ma che non vince nulla da anni. Non solo deve metterci i soldi ma ricostruire il clima interno, il rapporto con la tifoseria, innestare il giusto mix tra campioni e talenti e farli lavorare per diversi anni prima di vedere risultati importanti.

Un altro pezzo fondamentale è che per guidare la trasformazione digitale della PA (ma direi dello Stato) servono ingegneri informatici nella parte attuativa ma servono persone che abbiano uno sguardo di insieme nella guida della trasformazione. Uno sguardo di insieme significa persone che abbiano allo stesso tempo competenza tecnica (perché se non ci si è sporcati le mani e non si conoscono le cose da vicino non si fa nulla) e competenze organizzative (la trasformazione organizzativa è il cuore della trasformazione digitale).

Competenza digitale e competenza organizzativa non sono due competenze distinte nella trasformazione digitale ma vivono in simbiosi, poche sono le persone in grado di avere questo tipo di abilità (anche se molti credono di averle).

Spesso si assiste ad uno scollamento tra la descrizione della PA degli informatici e quello che quotidianamente vivono i dipendenti o gli utenti. E questo provoca frustrazione tra una realtà predicata e una realtà praticata.

E quando parliamo di competenze digitali non significa saper utilizzare l’iPhone, fare i video su Tiktok o aver smanettato per qualche anno all’università. Significa conoscere come funzionano e quali sono i problemi nel funzionamento dei sistemi informativi di una organizzazione, i data center o il cloud, lo sviluppo del software, i problemi che ogni giorno si presentano nell’assistenza, la sicurezza e la governance.

E quando parliamo di competenze organizzative non significa aver fatto un esame all’università ma aver esperienza di cosa concretamente succede quando si costruisce una organizzazione gerarchica o a matrice, saper analizzare le dinamiche e le spinte di interessi e conflitti, avere una leadership e la determinazione a raggiungere gli obiettivi valorizzando le persone. Soprattutto non farsi prendere da parole trigger come agile senza comprenderne fino in fondo il significato e come questo può contestualizzarsi nella realtà concreta di tutti i giorni.

Immaginare i servizi partendo dai bisogni dei cittadini

Servono manager che siano architetti delle nuove organizzazioni, persone capaci di immaginare processi e servizi con la dimestichezza degli strumenti digitali, servizi a partire dai clienti (tenendo conto anche di chi ancora è “analogico”). Questi manager devono poter contare dopo su ingegneri capaci di realizzare.

Un po’ come quando si chiama un architetto urbanista a progettare un quartiere ed egli non si occupa solo del cemento o delle condutture a servizio ma parte da come gli abitanti lo useranno, da quali saranno i loro bisogni, se avranno auto elettriche o a diesel, ecc. Dopo questo disegno comincia la fase progettuale immaginando gli alberi da piantare, gli edifici, i servizi e infine passando la palla agli ingegneri a calcolare le strutture in cemento armato degli edifici, disegnare le infrastrutture etc.

Spesso si è partiti all’inverso nella PA, si è investito tutto il tempo nel cemento armato e abbiamo costruito quartieri invivibili che ora dovremmo abbattere. La trasformazione digitale dei servizi pubblici deve partire dall’architettura.

Le sfide per il nuovo Governo

L’idea che basti prendere persone del mondo privato e portarle nella PA per far funzionare tutto non è sempre vera, sono due mondi con culture distinte e non tutti possono fare il salto da una all’altra.

Il nuovo governo, a mio avviso, dovrebbe rivoluzionare l’approccio alla trasformazione digitale in questo senso.

Riportare all’interno della PA competenze e attività strategiche

Questo significa anche ripensare scelte che si sono fatte nei decenni scorsi di esternalizzare pezzi importanti di attività strategiche o perfino competenze. Questo non ha ridotto i costi e ha abbassato il livello dei servizi resi, ha aumentato l’astio di cittadini e imprese verso la PA e costituisce un ulteriore peso sulle ali della crescita economica del Paese. Il nuovo governo dovrebbe lavorare su questo riportando all’interno le competenze ed attività strategiche, questo creerà qualche malcontento in chi fa l’imprenditore contrattualizzato dalla PA ma spingerà anche questi a rendere più competitivi se stessi e la società nella sua globalità. In questo senso le strategie di procurement della PA devono cambiare e guardare in modo diverso la loro funzione, dal “massimo ribasso” o appalti giganteschi che rischiano di eliminare la concorrenza ad un sistema ibrido in grado di aumentare l’efficienza del sistema anche se i costi debbano allinearsi a quelli del mercato privato. Purché si allinei anche la qualità.

Ripensare l’organizzazione della PA

Altra sfida rilevante è ripensare la stessa organizzazione della PA, troppo gerarchizzata e pensata a “silos”. Ogni ministero e dipartimento lavora per sé senza un direttore d’orchestra. Ma se una orchestra sinfonica facesse così si otterrebbe una inascoltabile cacofonia anche con lo spartito di Haydn. La società non è più gerarchica da un pezzo, le aziende e i cittadini pensano e lavorano in un altro modo e una PA che da servizi non può che cambiare a sua volta. Come possiamo immaginare di affrontare il tema dell’approvvigionamento energetico senza tenere insieme ecologica, economia, sviluppo economico e digitale ad esempio. In un settore che guarda alla sinergia tra reti e fonti alimentanti sempre più articolata e complessa, nel quale i prezzi sono determinati da meccanismi speculativi che impattano imprese e famiglie.

Questo a maggior ragione in un Paese nel quale le decisioni del centro devono fare i conti con competenze frammentate articolate nei territori, senza una visione integrata e orizzontale dei problemi le decisioni dei “silos” ricadono sulle regioni e sui comuni e spesso si dimostrano inapplicabili quando non nocive. Questo non significa costruire complessi meccanismi di condivisione che richiedono tempo e sensibilità agli interessi particolari meglio rappresentati ma processi digitali che aiutano il flusso di decisione e partecipazione all’attuazione.

Creare omogeneità di architetture, metodologie, modelli di gestione

Nel digitale frammentazione significa anche avere sistemi informativi che non si parlano, gestiti in modo molto diverso, alcuni in condizione di “lock in” di fornitori di outsourcing e altri in grado di svolgere il loro compito in modo egregio. Una torre di babele che meriterebbe attenzione e una governance forte che mettesse insieme dati, processi e cybersicurezza. Qui qualcosa si è fatto in particolare nella definizione di interfacce di collaborazione o nella cybersicurezza ma è necessario andare verso una maggiore omogeneità di architetture, metodologie, modelli di gestione. Non ha senso che amministrazioni diverse possano utilizzare tecnologie e metodologie diverse di lavoro perché comunque queste rende inefficiente il servizio e riduce la possibilità di scambio di know-how.

Integrazione e tutela dei dati

Infine, c’è il problema dei dati che spesso sono frammentati in competenze diverse senza una reale integrazione. Questo comporta che non si ha mai una fotografia dell’esistente completa ma sempre frammentaria. E oggi con le potenzialità della scienza dei dati sappiamo che possiamo avere grazie ad essi una fotografia precisa di quello che sta accadendo e perfino fare previsioni affidabili sulla evoluzione di un fenomeno. Dati che sono sempre più strategici e fanno gola a multinazionali private per i loro profitti, solo uno Stato efficiente e attento può governare questa fase storica, preservare la privacy dei suoi cittadini, proteggere le proprie imprese dalla concorrenza sleale.

Il previsto avvio della società 3-i S.p.A., che avrà il compito di diventare l’in-house del Ministero del Lavoro, e della Presidenza del Consiglio per lo sviluppo e gestione del portafoglio applicativo in ambito previdenziale e welfare, è un primo passo ma il percorso di internalizzazione verso le in-house delle competenze informatiche delle PA centrali, magari divise per ambiti di competenza ed esperienza diventa fondamentale. Ancor più fondamentale se tali in-house vengono liberate da una legislazione troppo vessatoria sulle loro funzioni e sulla loro operatività che spesso ne frena le potenzialità e l’innovatività.

Conclusioni

La pandemia prima e la guerra oggi ci stanno dimostrando che il ruolo dello Stato è tornato prepotentemente fondamentale, che gli individui da soli non possono nulla ma se fanno parte di una società possono affrontare anche le difficoltà più ardue. I servizi dello Stato rappresentano l’ossatura della società e della sua capacità di reagire e di agire.

La sfida del nuovo esecutivo non è affatto banale ma è sempre più urgente che venga affrontata. Si può fare la scelta di rimandarla, di far finta che non esista senza crearsi problemi nella legislatura per poi lasciarla ad altri o farla propria trasformando gli handicap di questo Paese in potenzialità. In fondo non si tratta di fare qualcosa di impossibile, altri paesi europei già da anni lavorano in questa direzione e sono i paesi con i quali ci misuriamo direttamente.

Abbiamo una congiuntura favorevole, ci sono i soldi del PNRR e in UE sembra che alcuni dogmi economici si stiano affievolendo. Il ricambio generazionale nella PA può trasformarsi in una opportunità di ripensare il modo di offrire i servizi agli utenti ma nulla accade senza la scelta e la determinazione della politica. In questa legislatura non ci saranno alibi per il governo e per il parlamento.

Non possiamo non fare un “in bocca al lupo” al nuovo esecutivo e al nuovo parlamento per il compito che si accingono a intraprendere, come cittadini e imprese possiamo impegnarci ognuno per la sua parte affinché tutto questo si realizzi trasformando il Paese e facendolo uscire da quel ruolo di nave in difficoltà per riportarla col vento in poppa

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