L’ AI generativa ci ha colto tutti di sorpresa. Certo, erano anni che si dibatteva sul suo arrivo ma nessuno si aspettava che l’evoluzione fosse talmente rapida che i produttori di AI rilasciano innovazioni straordinarie mentre il mondo sta ancora cercando di capire come convivere con quelle precedentemente rilasciate.
Negli ultimi quasi due anni si è parlato molto e commentato sull’impatto delle tecnologie AI sul mercato del lavoro e soprattutto nel mondo della programmazione.
Impatto dell’IA sui programmatori ‘low code’
Ne abbiamo già parlato in passato commentando come i primi segni di un impatto sul mercato del lavoro in alcuni settori come l’IT fosse un rallentamento nella disponibilità di nuove posizioni lavorative, ma al passare del tempo si evidenziano effetti più concreti e tangibili e che dovrebbero far riflettere quantomeno sulle scelte di crescita professionale.
Un settore che sembra essere particolarmente colpito, almeno negli Stati Uniti, è quello dei programmatori “low code” ovverosia quei programmatori che hanno una conoscenza di base della programmazione ed hanno reso possibile lo sviluppo di siti Web e applicazioni mobile con scarso contenuto tecnologico. Si trattava di una carriera che molti hanno intrapreso senza fare studi nel settore, ma affidandosi a corsi professionalizzanti come opportunità di cambio carriera.
La sfida delle piattaforme integrate AI
Nell’ultimo anno l’AI ha però dimostrato in modo sempre più convincente di saper generare codice in modo sempre più affidabile, anche se non esente da problemi, e grandi multinazionali che sviluppano piattaforme low code come Jitterbit, o Microsoft PowerAutomate, hanno integrato nei propri sistemi l’AI per generare codice. Nel caso di Jitterbit la piattaforma è in grado di generare anche semplici UIs in attesa di poter provare le micro-applicazioni generate da GitHub Spark.
Previsioni di mercato
Secondo Gartner entro il 2025 il 65% delle applicazioni sarà attribuibile a “low code”, e in cinque anni GlobalNewswire stima che il mercato varrà 187 miliardi di dollari rispetto ai dieci del 2019. Sempre secondo Gartner il 70% delle nuove applicazioni del prossimo anno useranno sistemi low code o no code per la propria realizzazione, e il 79% dei business svilupperà applicazioni Web ricorrendo a non specialisti.
Il futuro dei programmatori web
Ci si potrebbe dunque chiedere quale futuro possano avere i cosiddetti “Web programmers”, programmatori con competenze di base che erano più che sufficienti per sviluppare semplici automazioni e il codice richiesto da applicazioni Web prima e mobile dopo. Si tratta di un’ampia fascia di lavoratori che possono sentire a rischio il proprio impiego a causa della rapida evoluzione delle tecnologie AI.
Ad oggi non ci sono evidenze che il mercato del lavoro in Italia sia condizionato dall’AI, ma sappiamo bene che la nostra Nazione affronta spesso il cambiamento con ritrosia per poi abbracciarlo freneticamente in seguito.
Adattamento e riqualificazione dei lavoratori
È quindi importante non sottovalutare le evoluzioni e capire il futuro di questo segmento che ha prosperato per un quarto di secolo dopo l’esplosione di Internet.
Innanzitutto, è bene sottolineare che, sebbene l’AI possa effettivamente supportare la generazione di sistemi low code o no code, nel breve futuro non è al momento in grado di manutenere in autonomia le codebase esistenti.
Quindi per lungo tempo il codice legacy assicurerà un impiego a molti lavoratori, ed è quindi probabile che questo mercato riduca la sua capacità di impiegare nuove risorse senza però incidere su quelle già impiegate. Si tratta comunque di un problema da non sottovalutare: la chiusura di un’azienda potrebbe creare eccessi di forza lavoro più difficili da reinserire nel mercato del lavoro con conseguenti impatti sociali.
Il ruolo delle competenze avanzate
Ma cosa può fare un programmatore per riqualificarsi e mantenere il proprio vantaggio competitivo nei confronti di una AI che è in continua crescita? E chi inizia una propria carriera ha ancora senso che investa nella programmazione come competenza abilitante e professionalizzante?
Sono domande molto importanti, perché per la prima volta dopo un quarto di secolo sembra che un settore lavorativo che sembrava in continua espansione vede un primo arresto. Negli Stati Uniti si legge della fatica di trovare impiego per queste figure con una conseguente crisi del settore della loro formazione.
La necessità di verifica umana
Ma quali competenze allora saranno necessarie? L’AI sta distruggendo il lavoro di chi l’ha creata? In realtà già Alan Turing in un lavoro all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso aveva previsto che le macchine a un certo punto si sarebbero programmate da sole; quindi, può stupire che stia avvenendo così in fretta ma non che stia avvenendo. Ma in ogni caso, almeno per ora è necessario che l’uomo verifichi che il codice generato dall’AI prima che sia messo in produzione per assicurare che il comportamento sia quello desiderato.
Per questo motivo è lecito attendersi che aumenterà la richiesta di programmatori più competenti e ne serviranno molti più di quelli disponibili. E l’incremento delle capacità dei modelli non potrà che acuire questa tendenza, già ora la verifica dell’output del modello O1 appena lanciato da OpenAI richiede decisamente più competenze di quelle necessarie con GPT-4o. Penso che chi voglia intraprendere la carriera del programmatore, oppure chi è già nel settore debba lavorare per migliorare le proprie capacità e soprattutto la comprensione di codice (e di conseguenza della struttura profonda dei linguaggi di programmazione) poiché sarà una competenza sempre più importante nel prossimo futuro.
Prospettive future
Quello che sta avvenendo nel settore della programmazione probabilmente accadrà nella maggior parte dei settori operativi (dall’ingegneria a parte della medicina, all’agronomia, ecc.). Sembra quindi un preludio a un ritorno di alte competenze verticali che va a invertire una tendenza che ci ha accompagnato a partire dagli anni Novanta dove la formazione ha teso a favorire aspetti interdisciplinari rispetto alle capacità molto tecniche che avevano caratterizzato gli studi, soprattutto Universitari nei decenni precedenti. Simon Sinek, un noto coach di manager americano ha commentato recentemente che con l’AI diverremo tutti manager, e dobbiamo quindi lavorare sulle capacità di far lavorare l’AI essendo sicuri dei risultati, e questo non può non richiedere che più competenze. Non credo che si tratti di una buona notizia per la scuola italiana dove in molti corsi di scuola superiore in informatica si insegna ancora C++ come negli anni Novanta. Avremmo bisogno di un grande piano nazionale che riqualifichi le competenze altrimenti potremmo non essere in grado di correggere la rotta qualora gli scenari che per ora sembrano essere solo possibili si dovessero avverare.