l’analisi

Scarpetta (Ocse): “Benefici dell’IA per i lavoratori? Servono la giuste politiche”



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A due anni dal lancio di ChatGPT, l’IA generativa suscita entusiasmi e scetticismi. Mentre i giganti tech investono miliardi, emergono dubbi sulla redditività e preoccupazioni ambientali. L’IA migliora la produttività ma richiede nuove competenze. L’OCSE evidenzia che l’adozione è iniziale e l’impatto sul lavoro resta incerto

Pubblicato il 26 set 2024

Stefano Scarpetta

Direzione per l’Occupazione, il Lavoro e gli Affari Sociali, OCSE



intelligenza artificiale e lavoro (1)

A quasi due anni dal lancio sul mercato del primo modello di intelligenza artificiale generativaChatGPT – il confronto tra chi vede in quest’ultimo sviluppo della tecnologia digitale una minaccia per il lavoro se non addirittura per la nostra esistenza come umani e chi invece ne sottolinea con forza le enormi potenzialità sembra sempre più vivo.

Intelligenza artificiale tra entusiasmo, scetticismo e investimenti da capogiro

I mercati hanno anch’essi oscillato tra l’entusiasmo della prima ora con i giganti della tecnologia digitale che hanno investito miliardi nella IA generativa e nella sua promessa di una super-intelligenza, e un maggior realismo, se non scetticismo, emerso con forza nell’ultimo mese quando le quotazioni delle azioni del digitale hanno subito una forte correzione. Un hedge fund (Elliot Management) ha sollevato non pochi timori quando ha affermato ai suoi clienti che le azioni delle big companies del digitale erano in “bubble land”, come ha riportato il Financial Times. Se gli analisti finanziari stanno cominciando ad avere dubbi sulla redditività delle azioni delle società dell’IA, gli investimenti in questa tecnologia stanno esplodendo: Microsoft, Alphabet, Amazon e Meta da sole hanno investito più di 100 miliardi di dollari solo nella prima parte del 2024, e alcuni analisti prevedono che l’investimento complessivo potrà arrivare a oltre mille miliardi di dollari nei prossimi cinque anni.

Se stiamo vivendo una bolla dell’IA o no dipende largamente dalla valutazione di mercato delle azioni delle imprese dell’IA rispetto ai profitti attesi dalle stesse. E se i primi sono a disposizione, sui secondi esistono previsioni molto discordanti. È chiaro che per poter giustificare gli investimenti faraonici degli ultimi mesi, le società dell’IA dovranno convincere un gran numero di consumatori e società ad acquistare i loro servizi.

Su quest’ultimo aspetto esiste molta incertezza. Da un lato i più scettici affermano che, ad oggi, molti modelli dell’IA non sono affidabili e richiedono molta supervisione. Gli aneddoti sulle “allucinazioni” dei modelli generativi si sono accumulati negli ultimi mesi.

L’impronta di carbonio dell’intelligenza artificiale

Inoltre, l’impronta carbonio delle attività legate all’IA desta molte preoccupazioni. La maggior parte delle applicazioni di IA viene eseguita su server in data center. Nel 2023, prima che il boom dell’IA prendesse davvero il via, l’Agenzia internazionale per l’energia ha stimato che i data center rappresentavano già l’1-1,5% dell’utilizzo globale di elettricità e circa l’1% delle emissioni di CO₂ legate all’energia. Microsoft che ha investito in modo significativo nell’IA ha visto le sue emissioni aumentare del 40% tra il 2020 e il 2023,[1] mentre le emissioni di Google sono aumentate di quasi il 50% rispetto al 2019. Il rapporto ambientale del gigante tecnologico per il 2024 rileva che le riduzioni di emissioni previste saranno difficili “a causa della crescente richiesta di energia dovuta alla maggiore intensità di calcolo dell’intelligenza artificiale”.[2]

IA e produttività

Allo stesso tempo, molti degli ingegneri del software sostengono che non potrebbero più mantenere i livelli raggiunti di produttività senza l’assistenza che l’IA è capace di offrire. Sono loro l’eccezione o sono solo la punta di diamante di un impatto che presto sarà molto diffuso? Non è facile rispondere a questa domanda vista la velocità sorprendente dell’evoluzione dei modelli generativi di IA. Si pensi al salto quantico compiuto da OpenAI dalla versione GTP-2 del loro modello generativo al GPT-3; uno strumento che era di scarsa utilità per i più è diventato uno strumento di largo consumo per la sintesi di vaste letterature, edizione di testi e codici digitali e molto più. GPT-4 e l’ultimo GPT4o, hanno fatto ulteriori, enormi progressi: sono molto più rapidi ed efficienti e sono meno soggetti ad allucinazioni.

La svolta dei modelli multimodali

Allo stesso tempo, l’IA sta rendendo i robot industriali “intelligenti”. I modelli multimodali chiamati VLAMs – vision-language-action models – combinano modelli di linguaggio, visivi e di percezione dell’ambiente intorno ai robots agendo come il loro ‘cervello’. Il vantaggio, come riporta un recente articolo dell’Economist, è che i robots che utilizzano questi modelli possono apprendere ed essere programmati senza il ricorso a codici informatici, ma con semplici messaggi testuali, e quindi le loro attività potranno essere supervisionate da lavoratori specializzati ma senza competenze informatiche specifiche.

IA e sostituzione uomo-macchina: dove sta la verità?

In questo contesto di rapidissima evoluzione è difficile orientarsi tra visioni distopiche e quelle ottimiste. In questi casi, la cosa migliore da fare è basarsi sull’evidenza concreta. Ma in questo caso, i segnali sono spesso contrastanti: l’evoluzione è talmente rapida che dati empirici in pochi mesi rischiano di essere già obsoleti, se non fuorvianti.

Nelle analisi condotte dall’OCSE abbiamo esaminato, dati alla mano, l’impatto concreto dell’IA sul mercato del lavoro, con il caveat che i nostri risultati dovranno ovviamente essere sottoposti alla prova del tempo.

L’indagine Ocse

In primo luogo, non c’è evidenza ad oggi di una sostituzione massiccia di lavoratori con algoritmi. Nel 2022, abbiamo intervistato oltre 2.000 datori di lavoro e 5.300 lavoratori dei settori manifatturiero e finanziario di sette Paesi OCSE.[3] I risultati dell’inchiesta sottolineano che siamo in una fase iniziale dell’adozione dell’IA, generalmente concentrata nelle aziende più grandi che spesso stanno ancora sperimentando queste nuove tecnologie. Tra i primi utilizzatori, molti sembrano riluttanti a licenziare il personale, preferendo adeguare la forza lavoro attraverso il rallentamento delle assunzioni, le dimissioni volontarie e i pensionamenti. Alcune aziende ci hanno persino detto che, a fronte dell’invecchiamento della popolazione e della carenza di manodopera, l’IA potrebbe contribuire ad alleviare alcune esigenze di competenze.

AI e qualità del lavoro

Un secondo aspetto interessante della nostra inchiesta è che, nonostante una certa ansia diffusa per il futuro, quasi due terzi (63%) dei lavoratori hanno dichiarato che l’IA ha migliorato la qualità del loro lavoro. Automatizzando compiti pericolosi o noiosi, l’IA permette ai lavoratori di concentrarsi su compiti più complessi e interessanti. In uno dei casi di studio che abbiamo condotto, un’azienda aerospaziale aveva introdotto uno strumento di ispezione visiva guidato dall’IA per controllare le pale delle turbine appena prodotte per i motori a reazione. La tecnologia AI ha avuto un impatto positivo sull’ambiente di lavoro degli ispettori che, prima dell’introduzione dell’AI, rimanevano seduti in una stanza buia per lunghi periodi a ispezionare le pale attraverso un oculare di ingrandimento.

Le competenze sono la chiave

Per il momento, più che sostituire i posti di lavoro, l’IA li sta cambiando le competenze necessarie per svolgerli. Secondo i datori di lavoro, l’IA ha aumentato l’importanza delle competenze specialistiche, ma ha aumentato ancora di più l’importanza delle competenze più propriamente umane. Due datori di lavoro su cinque ritengono che la mancanza di competenze adeguate in materia di IA costituisca un ostacolo significativo all’utilizzo dell’IA sul lavoro.

E qui viene il terzo aspetto innovativo legato all’introduzione dell’IA generativa: la sua capacità di automatizzare compiti tradizionalmente non routinari. L’era dei computer ha automatizzato molte attività che richiedono esperienza di base sostituendo molti lavoratori nelle catene di montaggio, nelle attività amministrative e concentrati in attività di routine e facilmente codificabili. Allo stesso tempo ha fortemente valorizzato competenze specialistiche, lì dove le macchine non potevano arrivare creando quello che gli economisti chiamano l’hollowing of the middle– la caduta della domanda di competenze intermedie con il forte aumento di quelle specialistiche più elevate ma anche di quelle più basse legate ai servizi che non sono codificabili – servizi alla persona, accoglienza ecc.

L’IA e il paradosso di Polanyi

L’economista del lavoro David Autor del MIT ha caratterizzato questo periodo come quello del paradosso di Polanyi, così chiamato in onore del filosofo britannico-ungherese Michael Polanyi. il paradosso consiste principalmente nello spiegare il fenomeno cognitivo secondo cui esistono molti compiti che noi esseri umani sappiamo intuitivamente eseguire ma che non possiamo tradurre in regole o procedure codificabili e quindi potenzialmente trasferibili ai computer.

Riassunto in uno slogan: sappiamo molto di più di quello che possiamo esprimere. Il paradosso di Polanyi è stato considerato un grave ostacolo nei campi dell’automazione, poiché l’assenza di conoscenza consapevolmente accessibile crea enormi difficoltà nella programmazione.

L’IA generativa potrebbe essere la rivincita di Polanyi, nel senso che siamo passati dalla fase in cui noi umani sapevamo di più di quello che potevamo insegnare ai computer alla fase in cuil’intelligenza artificiale ha capacità superiori di quello che ci può dire. L’IA generativa può svolgere diverse mansioni in attività specialistiche – graphic designer, coding, creazione di “opere d’arte” – e allo stesso tempo innalzare le potenzialità di lavoratori al di là delle loro proprie competenze.

In quali settori l’IA migliora le capacità umane

Le competenze propriamente umane saranno sicuramente valorizzate, come ad esempio l’expert judgment che ci permette di prendere decisioni in casi complessi e imprevisti a cui l’IA può offrire un complemento con conoscenza molto dettagliata. Allo stesso tempo, l’IA ha un potenziale enorme di migliorare le capacità umane: gli esempi sono molteplici dalla chirurgia robotica, all’offrire informazioni in tempo reale ai lavoratori, all’immersive learning.

Un esempio del potenziale dell’IA generativa di modificare la domanda di competenze viene da uno studio di tre ricercatori del MIT e di Stanford, Danielle Li, Lindsey Raymond e Erik Brynjolfsson. I ricercatori hanno analizzato l’impatto dell’IA in un settore che si pensava altamente automatizzabile, i call centers. Hanno messo a disposizione dei lavoratori un assistente conversazionale e hanno registrato un aumento della produttività del 14%, con i maggiori benefici per i lavoratori nuovi o poco qualificati. In altre parole, grazie alla tecnologia IA le performance dei lavoratori sono migliorate e non sono stati sostituiti. In questo senso, L’IA generativa sembra essere in grado di ridurre le disuguaglianze nella produttività, aiutando in modo significativo i lavoratori con qualifiche intermedie ma con scarsi effetti sui lavoratori altamente qualificati.

L’urgenza di preparare la forza lavoro ai cambiamenti occupazionali

Il rapido progresso della tecnologia e l’incertezza sul suo impatto in termini di produttività, qualità dei posti di lavoro e domanda di competenze, non ci deve indurre al temporeggiamento. Molto dell’impatto dipenderà non solo nel quadro regolamentare in cui vengono sviluppati i modelli dell’IA, ma anche dalle politiche sul mercato del lavoro. Se da un lato è anacronistico pensare che l’evoluzione dell’IA possa essere bloccata, dall’altro dovremmo anche evitare di cadere nella trappola del cosiddetto “determinismo tecnologico”, per cui la tecnologia modella i cambiamenti sociali e culturali, anziché il contrario.

Parafrasando ancora David Autor, invece di chiederci cosa può fare l’IA, dobbiamo chiederci cosa vogliamo che faccia per noi. È necessario agire con urgenza per garantire che l’IA venga utilizzata in modo responsabile e affidabile sul posto di lavoro.

Da un lato, è necessario consentire ai lavoratori e ai datori di lavoro di cogliere i vantaggi dell’IA e di adattarsi ad essa, in particolare attraverso la formazione e il dialogo sociale. Diversi paesi OCSE  hanno intrapreso alcune azioni per preparare la propria forza lavoro ai cambiamenti occupazionali indotti dall’IA, ma le iniziative restano finora limitate.

Un dato che emerge con forza dalla nostra indagine sulle imprese che usano l’IA è che l’impatto in termini di produttività ma anche di qualità del lavoro è nettamente superiore quando i lavoratori sono stati formati per interagire con l’IA e sono stati informati ex ante dell’adozione della nuova tecnologia sul posto di lavoro.

D’altro canto, è urgente un’azione politica per affrontare i rischi che l’IA può comportare quando viene utilizzata sui luoghi di lavoro – in termini di privacy, sicurezza, equità e diritti del lavoro – e per garantire la responsabilità, la trasparenza e la spiegabilità delle decisioni relative all’occupazione supportate dall’IA.

Note


[1] 2024 Environmental Sustainability Report Data Fact Sheet (microsoft.com)

[2] Google 2024 Environmental Report – Google Sustainability (gstatic.com)

[3] OECD Employment Outlook 2023 | OECD.

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