Per l’Italia 4.0 servirebbero competenze digitali avanzate che il sistema formativo fatica a offrire: si va dalle hard skill di intelligenza artificiale, machine learning, data science e project management, alle soft skill, come la multidisciplinarietà e l’imprenditorialità.
Nel quadro del PNRR diverse sono le azioni volte a potenziare le competenze digitali dei lavoratori. Sul piano più strettamente industriale il Mise gestisce lo strumento lo strumento del credito di imposta alle imprese che investono in formazione sulle tecnologie abilitanti il paradigma 4.0.
Competenze digitali, il nuovo Piano operativo per la ripresa italiana: azioni e prossimi step
Sul fronte delle politiche attive del lavoro è stato recentemente riformato e rifinanziato con 1 miliardo di euro il Fondo Nuove Competenze, il programma guida per la formazione dei lavoratori occupati nell’ambito del Piano Nazionale Nuove Competenze. Il fondo finanzia le ore di formazione per l’aggiornamento professionale dei lavoratori in azienda, coprendo il 100% dei costi contributivi, assistenziali e previdenziali del personale, oltre al 60% della retribuzione oraria delle ore destinate alla formazione.
Le aziende che intendono aderire devono stipulare accordi collettivi che prevedano la rimodulazione dell’orario di lavoro dei propri dipendenti, per consentire loro la partecipazione a percorsi di formazione e aggiornamento professionale della durata massima di 250 ore per ciascun lavoratore. Gli accordi con le rappresentanze sindacali dovranno essere sottoscritti entro il 31 dicembre 2022, mentre le domande contenenti i progetti formativi devono essere presentate entro il 28 febbraio 2023.
Preparazione, abilità e accesso alle digital skill: lo stato dell’arte in Italia
Dunque, mentre da un lato è esponenziale la crescita della domanda di high e soft skill da parte delle imprese, dall’altra c’è un problema di offerta di competenze digitali dei cittadini e dei lavoratori. Secondo il Digital Skills Index di Salesforce – un indice che, sulla base delle risposte di oltre 23 mila lavoratori in 19 paesi, valuta il livello di preparazione, abilità, accesso alle digital skill e partecipazione attiva a programmi di aggiornamento – la situazione del nostro paese è preoccupante. L’indice dell’Italia (25) è molto inferiore alla media (33), e l’86% dei lavoratori italiani sostiene di non avere le competenze digitali che le aziende cercano oggi.
La risultante del disallineamento di questi due trend è la crescente difficoltà delle imprese italiane ad assumere: al netto di una riduzione delle forze di lavoro per motivi demografici, pesa soprattutto l’aggravarsi del problema della carenza del personale con competenze digitali. Gli ultimi dati Excelsior hanno confermato la crescita del tasso di difficoltà delle imprese nel reperire le figure professionali desiderate: a ottobre tale indicatore ha raggiunto la percentuale del 45,5% (48% per i giovani), in aumento di 9 punti percentuali rispetto a un anno fa.
Lo studio “Verso un New Deal delle Competenze in ambito agricolo e industriale”, elaborato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Philip Morris Italia, dimostra poi come la carenza di competenze sia il principale fattore ostativo allo sviluppo di progetti di manifattura intelligente e di agricoltura smart.
Il mismatching tra domanda e offerta di competenze non solo contribuisce a creare disoccupazione, dunque, ma riduce anche la produttività e la competitività delle aziende e, più in generale, del sistema economico complessivo.
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Le politiche necessarie per affrontare il problema
Per affrontare in modo efficace il problema risultano dunque fondamentali sia le politiche di domanda sia quelle di offerta, anche in un’ottica di efficienza allocativa dei fattori produttivi. Le imprese che non investono in tecnologie e in formazione digitale creano delle vere e proprie diseconomie esterne che allontanano l’ecosistema dalla frontiera ottimale delle possibilità produttive.
Anche da questo punto di vista la Digital Transformation delle aziende italiane è diventata una priorità per il rilancio della competitività e della produttività del Sistema Paese. Scontiamo il rallentamento nell’adozione digitale accumulato nel tempo: il nostro Paese occupa solo la 25esima posizione tra i 28 Paesi UE per grado di digitalizzazione. Per questo motivo la transizione al digitale è la prima missione del PNRR, che destina al sostegno alle imprese che investono in queste tecnologie il 60% delle risorse totali previste.
Occupazione: focus sulle digital skill
La riforma e il rifinanziamento del Fondo Nuove Competenze prevede un maggiore orientamento sulle skill digitali: al fine di orientare selettivamente le risorse pubbliche al conseguimento dei risultati attesi del PNRR, le competenze oggetto delle attività di riferimento saranno quelle del DGCOMP, cioè le 5 aree di competenza digitale: alfabetizzazione su informazioni e dati, comunicazione e collaborazione, creazione di contenuti digitali, sicurezza, problem solving.
Questo intervento, rivolto ai lavoratori occupati, si integra con l’attuazione del Programma Nazionale Garanzia Occupabilità Lavoratori (GOL), la riforma delle politiche attive prevista dal PNRR e finanziata con circa 5 miliardi.
Questi programmi si aggiungono ad altri interventi più mirati gestiti da Anpal, come Competenze Ict per giovani del Mezzogiorno, Giovani programmatori nel settore Ict e Crescere in digitale, progetti destinati ai cd. Neet, i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non partecipano ad attività formative, con l’obiettivo di formare figure professionali specializzate e per fare fronte, così, alla crescente richiesta di competenze digitali.
In termini macroeconomici credo che sia importante riaffermare come sia sempre più difficile determinare a priori l’effetto netto della digitalizzazione e delle innovazioni tecnologiche sull’occupazione ricorrendo a strumenti econometrici simili a quelli utilizzati da Frey Osborne (2017) o nei rapporti McKinsey. L’orientamento attuale sembra più “ottimista” di qualche anno fa: il World Economic Forum ha stimato che, entro il 2025, la tecnologia creerà almeno 12 milioni di posti di lavoro in più di quelli che distruggerà.
Certamente la formazione professionale – sia per chi si affaccia nel mondo del lavoro sia quella continua per chi è occupato ma comunque può affrontare nel corso della sua carriera transizioni da un lavoro a un altro o a un’altra condizione professionale – è indispensabile per massimizzare l’impatto della crescita sulla domanda di lavoro e sul reddito.
In questa prospettiva la digitalizzazione può essere estremamente importante per facilitare l’incontro tra domanda e offerta, l’orientamento e l’accompagnamento al lavoro. Il ricorso a strumenti innovativi può rivelarsi decisivo per una maggiore efficacia dei servizi per l’impiego. Nell’assessment e nell’orientamento, ad esempio, le piattaforme di analisi di Big Data possono supportare le attività di Skills Intelligence, per raccogliere, analizzare, comprendere ed effettuare previsioni. Strumenti digitali possono aiutare i meccanismi di profilazione, per personalizzare i percorsi di formazione e orientamento. Le piattaforme di recruiting possono favorire la trasparenza e la condivisione dell’informazioni.
La rivoluzione dello smart working
Sul piano dell’organizzazione aziendale grazie alle tecnologie digitali è stata possibile la rivoluzione dello smart working, che ha consentito al sistema economico italiano di evitare la paralisi durante il lockdown tra febbraio e maggio 2020 allo scoppio della pandemia Covid. Senza dubbio il maggiore utilizzo delle tecnologie digitali ha aumentato la resilienza del nostro Paese, la sua capacità di reagire alle emergenze. E in quei mesi drammatici indubbiamente si è realizzato un generale upgrading delle competenze digitali dei lavoratori.
È stato sottolineato come lo smart working rappresenti una vera rivoluzione culturale, perché permette il passaggio dalla logica del lavoro subordinato in cui contano luoghi e orari alla logica delle learning organization, la formula dell’apprendimento organizzativo che pone al centro la persona e in cui contano i risultati, l’interazione, la cooperazione, la partecipazione e le competenze.
Si tratta di una grande opportunità per valorizzare la libertà e la responsabilità del lavoratore. Certamente l’efficienza di questo modello organizzativo è condizionata dall’evoluzione del modello manageriale e da uno stile di leadership che promuova l’empowerment. E naturalmente l’adozione del lavoro agile è legata a un modello organizzativo per obiettivi. Ma a queste condizioni lo smart working è in grado di aumentare la produttività e migliorare l’engagement del lavoratore.
Le opportunità del metaverso
Pensiamo, infine, a quella che dopo Industria 4.0 e le sue tecnologie abilitanti, è la nuova frontiera: il metaverso del lavoro, un nuovo universo in cui i cittadini potranno consumare, lavorare, giocare, interagire e avere vite parallele in cui il mondo fisico e il mondo virtuale si mescoleranno. Il metaverso sarà una rivoluzione per le industrie e i mercati del lavoro. Si stanno schiudendo enormi opportunità di occupazione, di lavorare in modo più sicuro, meno faticoso e stressante e in un sistema economico e produttivo più efficiente. In poche parole, il digitale può contribuire in misura importante a vivere in un ambiente più sostenibile.
Conclusioni
Senza dubbio le tecnologie digitali hanno ridotto il peso delle mansioni ripetitive e hanno valorizzato quelle a maggiore contributo cognitivo delle persone. Del resto, la tecnologia ha sempre liberato l’uomo da alcune incombenze e occupazioni per concentrarlo su altre. Più che preoccuparsi dei pericoli della disoccupazione tecnologica, che può essere combattuta con adeguate politiche formative e con politiche attive del lavoro più efficaci, credo che si debba porre maggiormente l’accento sulle opportunità che il digitale offre di valorizzare la parte più creativa del lavoro dell’uomo che opera in sinergia con la tecnica.