L’ecosistema dell’innovazione nelle Scienze della Vita ha un ruolo sempre più centrale nel contesto globale di rapida evoluzione, che presenta continuamente sfide ed opportunità di crescita. Per rafforzare la propria competitività nel settore in Europa e nel mondo, l’Italia deve adottare nuove strategie che la rendano un polo di attrazione per investimenti, talenti e innovazione.
Costruire un sistema favorevole alla ricerca e all’innovazione
Per indirizzare la crescita e competere con le realtà internazionali più avanzate, è necessario costruire un sistema che favorisca la ricerca, supportato da investimenti mirati e un adeguato sostegno istituzionale. Tuttavia, la sola ricerca di base non è sufficiente, è necessario creare un ambiente favorevole alla traduzione delle invenzioni dal laboratorio al mercato, consentendo così di valorizzare pienamente il loro potenziale. Inoltre, è necessaria una cultura dell’innovazione che non si limiti a seguire i trend globali, ma che sia capace di anticiparli, sviluppando una visione lungimirante.
Ricerca, innovazione e benessere sociale
Ricerca e innovazione sono anche fattori indiretti del benessere di una società, contribuendo in maniera determinante al suo progresso e allo sviluppo sostenibile di lunga durata. Esiste infatti una correlazione positiva tra gli investimenti in ricerca e sviluppo (R&S) e la crescita economica: i Paesi che investono maggiormente in R&S sono anche quelli che registrano i maggiori tassi di crescita.
Il documento strategico della community life sciences di TEHA group
Per aiutare gli attori del settore ad individuare le aree strategiche su cui puntare per sostenere la competitività dell’ecosistema italiano della ricerca e dell’innovazione nelle Scienze della Vita, la Community Life Sciences di TEHA Group ha redatto un documento di alto livello per l’elaborazione di riflessioni strategiche e azioni imprenditoriali, industriali e di investimento nel settore, attraverso l’approfondimento dei temi prioritari legati alla ricerca, all’innovazione e alla tecnologia. Il Rapporto strategico 2024 della Community Life Sciences, riporta: le performance degli ecosistemi europei di ricerca e innovazione nelle Scienze della Vita; i risultati della ricerca scientifica italiana nel quadro europeo dei grant di eccellenza; l’analisi dei principali trend di innovazione e di ricerca nel settore delle Scienze della Vita, con un focus sul ruolo strategico del Trasferimento Tecnologico; le linee di azione prioritarie per rafforzare l’ecosistema italiano delle Scienze della Vita.
TEHA life sciences innosystem index: una valutazione dell’ecosistema
Per restituire una fotografia aggiornata del livello di competitività degli ecosistemi di ricerca ed innovazione nelle Scienze della Vita di ciascun ecosistema nazionale, la Community Life Sciences di TEHA Group ha elaborato il TEHA Life Sciences Innosystem Index, un indice proprietario composto da 4 dimensioni – capitale umano, performance occupazionali, risorse finanziare a supporto dell’innovazione, efficacia dell’ecosistema di innovazione – e 13 KPI (Key Performance Indicator) analizzati lungo 8 anni, per un totale di 2.392 osservazioni, che restituisce una classifica di 23 Paesi dell’UE[1] e rappresenta uno straordinario strumento di informazione e orientamento per tutti gli operatori del settore.
Sfide e opportunità per l’Italia
Da questo confronto emerge uno stato dell’arte caratterizzato da luci e ombre per il settore. L’Italia si posiziona al 9° posto della classifica generale su 23 Paesi dell’UE, con un punteggio di 3,59, collocandosi nella fascia dei Paesi ad innovazione medio-alta, ma restando distante dai Paesi top performer. Le prime tre posizioni sono infatti occupate da Danimarca (6,02), Germania (5,73) e Belgio (5,63).
Figura 1: La classifica completa del TEHA Life Sciences Innosystem Index (score in valori assoluti), 2024 vs. 2021. Fonte: elaborazione TEHA Group, 2024
Capitale umano e formazione nelle scienze della vita
Tra i punti di debolezza, troviamo sicuramente la disponibilità di capitale umano. Nello specifico, l’Italia si posiziona al 14° posto in UE sia per laureati nelle materie Life Sciences (15,9% del totale), indietro rispetto a Spagna (21,3%) e Francia (16,8%), che nelle materie STEM (23,4% del totale), con dei risultati decisamente inferiori rispetto a quelli di Germania (35,9%) e Francia (30,5%). Anche i risultati ottenuti dai test PISA nelle materie scientifiche sono al di sotto degli standard dei peers europei: l’Italia ottiene un punteggio medio tra matematica e scienze di 474, posizionandosi al 15° posto della classifica, indietro rispetto a Germania (484), Francia (481) e Spagna (479). Per migliorare il proprio posizionamento nel settore delle Scienze della Vita, una delle sfide che deve affrontare l’Italia è rafforzare l’educazione nelle materie Life Sciences e STEM e migliorare la qualità dell’istruzione scientifica a partire dai primi anni di scuola.
Occupazione e produttività nelle scienze della vita
Per quanto riguarda la capacità occupazione delle imprese nel settore Life Sciences, la quota di occupati in Italia, pari all’1,7% del totale degli occupati nel manifatturiero, risulta più bassa rispetto ai peers europei, e ci posiziona al 15° posto della classifica. Anche il tasso di crescita delle imprese di settore, calcolato come media degli ultimi 3 anni in termini di CAGR, è stato piuttosto basso per l’Italia (2,5% di media), ma è migliore rispetto a quello di Germania (-0,7%) e Francia (0,0%). Meglio, invece, il posizionamento in termini di produttività del lavoro delle imprese nelle Scienze della Vita: l’Italia è al 6° posto con una produttività media di 154,3 Euro per addetto, poco distante dalla Germania (164,9 Euro per addetto) ma sopra Francia (135,8 Euro per addetto) e Spagna (116,1 Euro per addetto).
Investimenti in ricerca e sviluppo in Italia
Dal punto di vista degli investimenti, le imprese italiane non spendono abbastanza in ricerca e sviluppo: in termini di Euro per abitante, l’Italia investe 13,1 Euro, meno di Francia (32,30 Euro per abitante), Spagna (17,1 Euro per abitante) e soprattutto 5 volte in meno della Germania (66,5 Euro per abitante). Meno marcata è invece la distanza in termini di investimenti pubblici in R&S nelle Scienze della Vita: l’Italia investe 14,0 Euro per abitante, posizionandosi al 7° posto della classifica europea, ma anche in questo caso si posiziona dietro a Germania (24,0 Euro per abitante) e Spagna (21,1 Euro per abitante).
Efficacia dell’ecosistema di innovazione italiano
Molto buoni, infine, i risultati riguardanti l’efficacia dell’ecosistema di innovazione italiano. Con quasi 80mila pubblicazioni, il nostro Paese è al 2° posto per numero di pubblicazioni scientifiche nelle Scienze della Vita, superata solamente dalla Germania, al 1° posto con 95mila pubblicazioni. Un risultato che trova riscontro anche nella qualità della ricerca: le pubblicazioni italiane sono le seconde più citate in UE, totalizzando oltre 120mila citazioni. Infine, l’Italia è al 4° posto per valore dell’export farmaceutico, con 52,0 miliardi di Dollari di esportazioni e una crescita annua dell’11,2% negli ultimi cinque anni.
Il posizionamento della ricerca scientifica italiana nel quadro europeo dei grant di eccellenza
La capacità di formare talenti, di trattenerli e di attrarne altri da Paesi stranieri, è fondamentale per mantenere alta la competitività del nostro ecosistema nazionale. Una parte fondamentale della crescita di questi giovani ricercatori e scienziati consiste nelle opportunità di ottenere finanziamenti europei, che sono cruciali per supportare la ricerca scientifica degli ecosistemi dei singoli Paesi. I finanziamenti UE si distinguono non solo per la quantità di risorse ma anche per la qualità e la rigorosità dei criteri di selezione e affidamento di tali risorse.
Horizon europe e il sostegno all’innovazione
Tra i programmi più importanti è necessario citare Horizon Europe, l’evoluzione del programma Horizon 2020 che ha stanziato fondi per il finanziamento della ricerca europea pari a 80 miliardi di Euro nel periodo 2014-2020. Il precedente programma è stato fondamentale per trascinare gli investimenti in R&S di tutta l’UE, passati dal 2,02% del PIL nel 2013 al 2,32% del PIL nel 2020 (+14,8%).
Esso ha inoltre determinato scoperte scientifiche significative in diversi settori della scienza e della tecnologia, a partire dalle Scienze della Vita: grazie agli investimenti di Horizon 2020 è stato realizzato lo sviluppo di vaccini antitumorali personalizzati, sono stati sperimentati i primi utilizzi dell’intelligenza artificiale per la previsione delle strutture delle proteine nella scoperta di farmaci e inoltre il programma ha contribuito a sostenere lo sviluppo dei primi vaccini contro il COVID-19 all’apice dell’emergenza globale.
Figura 2: Alcuni numeri chiave dei risultati ottenuti da Horizon 2020 nel periodo 2014-2020. Fonte: elaborazione TEHA Group su dati Commissione UE, 2024
Performance degli ERC grant in italia
Tra le risorse del programma Horizon Europe, vi sono i grant gestiti dall’European Research Council, l’istituzione dell’Unione europea destinata a sostenere l’eccellenza nella ricerca scientifica e tecnologica. I grant gestiti dall’ERC valgono complessivamente 16 miliardi di Euro per il periodo 2021-2027 e comprendono sovvenzioni di vario tipo, ciascuno adatto alle diverse fasi della carriera di un ricercatore.
Dal 2007 ad oggi[2], gli ERC Grant hanno finanziato complessivamente 15.991 progetti di ricerca per 27,6 miliardi di Euro. I finanziamenti hanno coinvolto 1.098 istituti in 35 Paesi ospitanti. Tra i Paesi UE, l’Italia si posiziona al 5° posto sia per numero di progetti ospitati, pari a 1.025 (il 6,4% del totale), sia per risorse catturate, pari a 1,6 miliardi di Euro (il 5,8% del totale): una performance inferiore a quella di tutti Paesi benchmark UE, ossia Germania (1° posto in UE), Francia (2° posto in UE) e Spagna (4° posto in UE). Inoltre, l’Italia scivola addirittura al 20° posto se consideriamo il tasso di successo dei progetti sovvenzionati rispetto a quelli presentati: sono solo il 7% quelli italiani, mentre i progetti finanziati agli enti di ricerca tedeschi sono il 17% di quelli presentati, quelli francesi il 15% e quelli spagnoli il 10%.
Concentrando l’analisi solo sui progetti afferenti al settore delle Scienze della Vita, dal 2007 sono complessivamente 5.171 i progetti finanziati dagli ERC Grant per 8,6 miliardi di Euro, quasi un terzo del totale sia per il numero di progetti (32,3%) che per risorse stanziate (31,2%). Anche per quanto concerne le Scienze della Vita, l’Italia si posiziona dietro tutti i Paesi benchmark sia per il numero di progetti finanziati nel nostro Paese (216, al 6° posto in UE) sia per il budget allocato (329 milioni di Euro, al 6° posto in UE). Nel 2023, in particolare gli ERC grant concessi nelle Scienze della Vita in Italia sono stati pari a 17, la seconda miglior performance di sempre, insieme al 2013 e dopo il record del 2022 (pari a 24). A livello di fondi allocati, invece, i 17 progetti del 2023 hanno catturato 21,2 milioni di Euro, sopra la media del budget distribuito dal 2007 ad oggi (circa 19,4 milioni di Euro annui). Tuttavia, pesa il confronto con l’anno precedente: nel 2022 erano stati 33,4 milioni di Euro, il 58,3% in più.
Nel quadro dei Grant ERC, risulta particolarmente significativo analizzare le performance degli ERC Starting Grants, i fondi rivolti ai giovani scienziati ricercatori con 2-7 anni di esperienza post dottorato, poiché dalle analisi emerge un importante problema di retention per l’Italia. Sebbene i ricercatori italiani siano i secondi più premiati d’Europa (61 grant ottenuti), l’Italia, come Paese, si colloca solo al quarto posto con 41 grant ricevuti, registrando un saldo negativo di 20 grant. Questo significa che 20 dei migliori ricercatori italiani hanno ottenuto i fondi mentre lavoravano all’estero. Il confronto con i Paesi benchmark rende il problema di retention ancora più evidente: la Germania, al primo posto sia per grant ricevuti come Paese (98) sia per numero di ricercatori premiati (94), registra un saldo positivo di 4 grant. Situazione simile per Paesi Bassi (+27) e Francia (+5). Questo squilibrio mostra chiaramente quanto sia urgente per l’Italia creare condizioni più attrattive per mantenere i propri talenti e competere sullo scenario internazionale della ricerca scientifica.
Il trasferimento tecnologico come ponte tra il mondo della ricerca e le imprese
Il trasferimento tecnologico è definito come l’insieme delle attività svolte dalle università e dai centri di ricerca finalizzate alla valutazione, alla protezione, al marketing e alla commercializzazione delle tecnologie e, più in generale, alla gestione della proprietà intellettuale. La gestione della proprietà intellettuale, sviluppata nell’ambito dei progetti di ricerca e sviluppo condotti dal mondo accademico, rappresenta il nucleo centrale di questo processo, che permette di valorizzare i promettenti risultati della ricerca e trasformarli in innovazioni commerciabili.
Nonostante il Paese si posizioni al quarto posto in Europa per numero di brevetti depositati (329), il gap con Germania e Francia rimane significativo. L’Italia, infatti, deposita 3,7 volte meno brevetti della Germania (1.210) e 1,6 volte meno della Francia (537), dimostrando una capacità limitata di tradurre la ricerca scientifica in innovazione applicata. Questa limitata capacità di trasferimento tecnologico è collegata anche agli investimenti in ricerca e sviluppo (R&S) da parte delle aziende. Sebbene l’Italia vanti il più alto valore di produzione farmaceutica in Europa (52 miliardi di euro), la quota di investimenti in R&S rappresenta solo il 3,8% del valore della produzione, un dato ben al di sotto di quello di Germania (14,8%) e Francia (7,1%). Infine, gli investimenti italiani di Venture Capital nelle Scienze della Vita, fondamentali per l’innovazione e la crescita del settore, ammontano a €240mln, anche in questo caso molto inferiori a quelli di Francia (€1,13 mld) e Germania (€1,08 mld).
Oltre agli investimenti insufficienti in R&S, uno dei fattori che limita il successo del trasferimento tecnologico in Italia è la carenza di talenti con competenze trasversali. Tra queste la capacità di comprendere sia il linguaggio scientifico che le esigenze del mondo imprenditoriale, identificare il potenziale commerciale di una scoperta e gestire gli aspetti legali legati ai contratti di licenza e ai brevetti. Questa lacuna è evidente sia nel numero di laureati in discipline STEM e Life Sciences, inferiore rispetto ai Paesi benchmark europei, sia nelle dimensioni dei Technology Transfer Offices (TTO), le strutture dedicate alla commercializzazione delle invenzioni accademiche.
Figura 3: Distribuzione del numero di addetti medi nei TTO italiani (valori percentuali), 2015-2022. Fonte: elaborazione TEHA Group su dati Netval, 2024
Nel 2022, ultimo aggiornamento disponibile, in Italia si contavano 122 TTO. Nonostante il numero medio del personale impiegato nei TTO in Italia sia quasi raddoppiato dal 2004 al 2021, passando da una media di 3,0 addetti a una media di 5,6, i numeri sono ancora bassi e soprattutto sono rimasti costanti negli ultimi 5 anni. Ancora più di due terzi (68,9%) dei TTO italiani ha meno di 5 addetti e quelli con almeno 10 addetti sono solamente il 13,5%. Il confronto con i principali TTO europei evidenzia ulteriormente questo divario: Cambridge Enterprise impiega un team di 33 persone, di cui 16 dedicate alle Scienze della Vita; il Karolinska Institut Innovation ha un team di 11 specialisti nel settore, mentre l’Institut Curie conta 28 addetti al trasferimento tecnologico nelle Scienze della Vita.
Le linee di azione prioritarie per rafforzare l’ecosistema italiano delle scienze della vita
I risultati delle analisi mettono in luce la necessità di un’azione strategica su più fronti per potenziare la competitività dell’ecosistema italiano dell’innovazione nelle Scienze della Vita. In primo luogo, formazione e sviluppo di talenti devono diventare la priorità. È indispensabile incrementare il numero di laureati nelle Scienze della Vita, intervenendo sia nella fase di orientamento accademico, sia promuovendo una maggiore consapevolezza delle molteplici opportunità professionali offerte dal settore. Non solo carriere scientifiche o corporate nel pharma e nel biotech, ma anche talenti per il trasferimento tecnologico, con competenze trasversali per la valorizzazione della proprietà intellettuale e propensione all’imprenditorialità, oltre che professionisti del Venture Capital e del Private Equity. La capacità di formare i talenti è alla base della competitività e della resilienza dell’ecosistema nazionale di ricerca e innovazione nelle Scienze della Vita.
In secondo luogo, per migliorare l’attrattività del Paese e ottenere più fondi europei, è fondamentale formare ricercatori e scienziati maggiormente preparati a partecipare con successo ai bandi, aumentando il success rate dell’Italia, che oggi si attesta all’8%, ben al di sotto di Paesi come Germania (16,7%) e Francia (15,4%).
Infine, è necessaria una revisione della governance complessiva dell’innovazione nel settore. Negli ultimi anni sono state lanciate numerose iniziative che non hanno mai raggiunto pienamente il loro potenziale o sono state archiviate prematuramente, come nel caso dell’Agenzia Nazionale per la Ricerca. Le Scienze della Vita richiedono una governance che costruisca una visione strategica a lungo termine, fornisca maggiori risorse e snellisca i processi burocratici con cui esse vengono erogate, per favorire una crescita stabile e sostenibile.