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Trasformazione della PA, perché sono necessarie le competenze di e-leadership

Il Piano di ripresa europeo richiede un cambiamento culturale nell’amministrazione pubblica e prima di tutto nella sua cultura manageriale. Per questo occorre puntare sullo sviluppo delle competenze di e-leadership. Ecco come

Pubblicato il 15 Apr 2021

Nello Iacono

Coordinatore di Repubblica Digitale

digital people

Il dispositivo di ripresa e resilienza europeo, fulcro del  NextGenerationEU, richiede agli Stati membri di predisporre un piano di azione in cui possano incontrarsi transizione digitale e transizione ecologica in una visione organica e complessiva. Per alcuni Paesi, come l’Italia, questo significa definire un percorso di trasformazione che incida in modo profondo sulla pubblica amministrazione.

Non si tratta di semplice ammodernamento o di “digitalizzazione”, ma molto di più. Una rigenerazione vera e propria che si fonda sulle capacità e sulle buone pratiche che sono presenti, per avviare una riforma che consenta un reale cambio di paradigma, verso una centralità effettiva del cittadino. Anzi, meglio, come suggerito dal modello dell’Ocse sul digital government, “guidato dal cittadino”.

Un cambiamento che richiede ai manager pubblici competenze nuove, necessarie per guidare questa trasformazione, come cerco di delineare nel testo “E-leadership”.

Nuove competenze per un nuovo paradigma

È, infatti, in questo contesto che si colloca non solo la necessità di una revisione radicale di processi e procedure, ma anche di logica di approccio. Se deve guidare il cittadino, allora la pubblica amministrazione (PA) soddisfa la propria missione fornendo servizi con la contemporanea minimizzazione degli adempimenti, utilizzando anche il digitale per rendere i servizi sempre più automatici. Significa, per la PA, essere in grado di ripensare servizi e attività pubbliche nel senso proprio di “guidati dai cittadini”, trasparenti e semplici, verso un’amministrazione che riconosce in tutto la centralità del cittadino, leggendo i propri miglioramenti nella riduzione e nel progressivo annullamento degli “adempimenti” a carico dei cittadini.

Allo stesso tempo, sempre più le scelte (sui dati, sulla privacy, sul modello di lavoro e di mercato) diventano dirimenti e se al cittadino si richiede l’adeguata consapevolezza digitale nella dimensione onlife (definita da Luciano Floridi), riconoscendo rischi e opportunità, ai manager pubblici si richiede capacità di decisione ed esecuzione , dove le competenze necessarie sono quelle di e-leadership, riconfigurazione profonda della leadership, tali da consentire di guidare la trasformazione delle organizzazioni pubbliche (e private) per cogliere appieno le opportunità delle tecnologie.

In questo contesto diventa evidente come non ci sia più posto per leader che non sono in grado di indirizzare e governare la trasformazione digitale delle proprie organizzazioni e che trattano le tecnologie come aspetto tecnico e da addetti ai lavori. Perché non c’è più posto per organizzazioni che non siano in grado di trasformarsi rapidamente e profondamente. Non c’è nel mondo privato, perché è un requisito di sopravvivenza, e neppure nel mondo pubblico, perché è un requisito per realizzare efficacemente le transizioni “gemelle”, quella digitale e quella ecologica/ambientale.

Un percorso, questo, che richiede allo stesso tempo l’attribuzione di una priorità strategica ai dati, visti come patrimonio pubblico necessario per configurare un rapporto sempre più maturo, partecipativo e collaborativo con i cittadini e le imprese, anche in nome dell’accountability, oltre che per porre le condizioni per decisioni basate sui dati e in grado di innescare un ciclo di miglioramento continuo.

Il cambiamento da guidare

Il passaggio fondamentale per i manager pubblici è l’acquisizione della piena consapevolezza della non neutralità del cambiamento. Le tecnologie non determinano lo scenario di arrivo, e quindi la costruzione del percorso di cambiamento, del contesto di azione e dello scenario finale grazie ad un utilizzo consapevole ed efficace delle tecnologie sono tutte azioni che sono basate su scelte e richiedono adeguate capacità per poter essere assunte. Capacità di “pensare digitale”. Evitando il rischio, sempre presente, di realizzare una “digitalizzazione” inefficace, senza ripensamento e revisione dei processi, senza interoperabilità di dati e applicazioni, in grado di produrre anche danni, amplificando le distorsioni e i problemi del processo di origine, rendendo più difficile e complesso l’utilizzo di un servizio. Anche se con tecnologie sofisticate e d’avanguardia.

Come ha scritto Alfonso Fuggetta, “la digitalizzazione non deve servire a creare sportelli digitali per richiedere certificati, quanto a far sì che le amministrazioni parlino tra loro e non chiedano nulla al cittadino”.

Per questo, è necessario “pensare digitale”, agire consapevolmente nella dimensione onlife, dove non c’è più un “dentro” e un “fuori” del digitale, e le tecnologie sono sempre più un elemento che compone e forma il contesto, e che consente di cambiarlo.

In questo senso, se la transizione digitale è il percorso di cambiamento che deve permettere l’assunzione consapevole del nuovo contesto onlife, ecco che la trasformazione digitale diventa “affare” di tutti (non riservata ai tecnici ICT, ai CIO e ai responsabili della transizione al digitale) e in primo luogo di tutti coloro che hanno responsabilità di guida e coordinamento di gruppi e iniziative all’interno di un’organizzazione.

In questo senso, nella logica organica delle transizioni gemelle, il modello dello sviluppo sostenibile, così come definito dai 17 obiettivi (SDG ‒ Sustainable Development Goals) dell’Agenda 2030, è il più chiaro e coerente quadro d’insieme che permette di indirizzare, in una logica virtuosa e sociale, la crescita digitale.

La responsabilità delle amministrazioni, nazionali e locali è di costruire le condizioni perché tutti gli elementi del sistema siano congruentemente orientati alla sostenibilità, spostando gli sforzi sulla programmazione e sulla prevenzione, sulla costruzione di una resilienza che diventa capacità del governo per il bene comune. Ai manager pubblici sono così richieste competenze che consentano di definire concretamente le iniziative di miglioramento, cambiando paradigma, nel profondo, con le radici affondate in un nuovo modello culturale, rendendolo sistema.

La dimensione dell’e-leadership

Per rendere sistema questo nuovo modello occorre che alcune competenze digitali diventino competenze indispensabili del profilo dei dirigenti pubblici e dei funzionari, così come occorre che si affermino alcune competenze collettive, come la capacità di condivisione di esperienze e soluzioni, in grado di produrre un cambiamento culturale nell’amministrazione e prima di tutto nella sua cultura manageriale. Per una cultura di e-leadership che sia diffusa in tutto il personale in modo da permeare realmente le nuove azioni e i nuovi piani.

Nuove azioni in grado di produrre un cambiamento organico e profondo della macchina amministrativa, agendo innanzitutto sull’area dei processi operativi e operando sugli assi principali di trasformazione, dalla visione strategica alla dimensione organizzativa, al sistema premiante, al controllo di gestione e di misurazione delle attività, al metodo di lavoro, basato sul project management diffuso, alle competenze e alla cultura dell’amministrazione, al modello di lavoro agile, nell’accezione (assunta anche per le Linee Guida sul POLA ) di lavoro “anytime anywhere” emancipandoci dalla dimensione di “lavoro da casa” che ha predominato nel periodo della pandemia. Modello di lavoro che rappresenta una misura affidabile della maturità organizzativa e digitale di un’amministrazione.

Qui di colloca la dimensione dell’e-leadership, chiaramente la nuova leadership ai tempi del digitale. Competenze non accessorie e neppure specialistiche, anzi fondamenta di base per la nuova cultura della guida, il coordinamento, la gestione e l’indirizzo di gruppi e unità organizzative. Una cultura nativamente interdisciplinare e trasversale, per e-leader con caratteristiche distintive di curiosità, capacità di visione, collaborazione e sperimentazione, attenzione specifica allo sfruttamento del networking.

Caratteristiche che si combinano con quelle che possiamo definire come le competenze della leadership ai tempi dell’onlife:

  1. cultura e conoscenze relative al mondo digitale, declinate certamente in senso organizzativo, ma attinenti con la cultura più generale dei dati e delle applicazioni, delle tecnologie emergenti. Non conoscenze tecniche, naturalmente, ma di architettura, relazioni, opportunità e potenzialità;
  2. soft skill, capacità individuali di relazione e di comunicazione. Rivisitazione di queste capacità rispetto a un contesto di relazione e comunicazione digitale in cui anche le interazioni cambiano tempi, punti di vista e spazi;
  3. capacità di gestione organizzativa e di cambiamento, di costruzione di una organizzazione innovativa e di una cultura di innovazione che deve permeare l’intero contesto organizzativo;
  4. capacità manageriali nel contesto della PA, di messa a terra e di esecuzione, con una considerazione profonda, culturale e tattica, delle azioni identificate per la realizzazione della visione;
  5. capacità di attuare e ripensare i processi della PA in funzione degli obiettivi e della missione dell’amministrazione, sulla base della declinazione degli obiettivi generali nella visione specifica per il proprio contesto di azione.

La ristrutturazione della macchina amministrativa, da cui passa la reingegnerizzazione dei processi con le nuove tecnologie, richiede anche un profondo scardinamento delle modalità di lavoro, così da realizzare una transizione effettiva dai silos ai processi trasversali, dai controlli autorizzativi e sul tempo di lavoro alle verifiche sul raggiungimento degli obiettivi, dalla logistica del lavoro per uffici funzionali a un approccio in chiave di lavoro agile.

Per questo è necessario far sì che la rigenerazione della PA si avvalga della coltivazione di competenze di e-leadership per i manager pubblici di oggi e di domani, ma anche pensate come elementi fondamentali da richiedere nelle procedure di assunzione, portando nelle amministrazioni competenze di e-leadership anche sviluppate nel mondo privato.

Tutto questo deve essere realizzato in un contesto in cui si concretizza nella PA una cultura digitale matura e diffusa, con lo sviluppo delle competenze digitali a tutti i livelli e in tutte le aree, dalle competenze per il lavoro all’e- leadership, con una diffusione e una pervasività tale da rendere la “PA digitale”, da argomento di nicchia (come è ancora oggi) ad argomento obsoleto (perché non ha senso una PA “non” digitale).

Sapendo che il circolo virtuoso della trasformazione ha bisogno di cittadini consapevoli e che anche questo è compito della PA e dei suoi manager pubblici, come affermato nella Strategia per le competenze digitali.

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