La notizia che dal 15 novembre, per la prima volta, i cittadini potranno scaricare i certificati anagrafici online, in maniera autonoma e del tutto gratuita, ha reso evidente quanto sia fondamentale quel passaggio all’Italia digitale che tutti si aspettano dall’interazione con la Pubblica Amministrazione.
Anagrafe unica, siamo alla svolta: ecco le nuove funzionalità e i servizi in arrivo
L’onda lunga della trasformazione digitale sta interessando, inevitabilmente, anche il settore pubblico. D’altronde, in pochi mesi si è compressa l’evoluzione tecnologica di una decina d’anni e abbiamo verificato che la necessità ha fatto da acceleratore al progresso. Il 2021 potrebbe chiudersi come l’anno in cui entriamo, per davvero, in una nuova dimensione dei servizi pubblici al cittadino. Una dimensione digitale che non ammette più alibi, da cui non sarà più possibile tornare indietro.
L’impatto della digitalizzazione “forzata”, però, non è stato lo stesso ovunque. Per molte istituzioni è stato un impatto traumatico ed è diventato un implicito richiamo per tutte quelle amministrazioni chiamate a recuperare terreno. Un invito a guardarsi allo specchio, a decidere quale debba essere la PA del futuro e a superare i ritardi, i contrasti e i veti incrociati che hanno impedito per anni lo sviluppo digitale del Paese.
Certificati anagrafici online e gratuiti
«Le cose stanno accadendo». Sono le parole che Vittorio Colao ripete più spesso in queste settimane, le stesse usate nell’annunciare il nuovo servizio dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente del Ministero dell’Interno, grazie al quale si potranno scaricare 14 certificati per proprio conto o per un componente della propria famiglia, dal proprio computer senza bisogno di recarsi allo sportello, senza nemmeno pagare il bollo, che in qualche caso arriva fino a 16 euro.
La novità non è di poco conto. Al portale dell’ANPR si accede con la propria identità digitale (SPID, Carta d’Identità Elettronica e CNS-Carta nazionale dei servizi) e se la richiesta è per un familiare verrà mostrato l’elenco dei componenti della famiglia per cui è possibile richiedere un certificato. Il servizio, inoltre, consente la visione dell’anteprima del documento per verificare la correttezza dei dati e di poterlo scaricare in formato pdf o riceverlo via mail.
Tutto questo è stato possibile grazie ai numeri raggiunti dall’ANPR, che copre ormai il 98% della popolazione, con 7.794 Comuni già subentrati e gli ultimi 77 in via di subentro. L’Anagrafe nazionale, che include l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), pari a 5 milioni di persone, coinvolge oltre 57 milioni di residenti in Italia e sarà ultimata nel corso del 2021.
Numeri che mostrano come il Paese stia avanzando nella trasformazione digitale dei servizi. I prossimi passi annunciati sono incoraggianti e prevedono che a questi primi certificati scaricabili online, se ne potranno aggiungere facilmente altri, senza modifiche al quadro normativo; nei prossimi mesi saranno implementati ulteriori servizi per il cittadino, come le procedure per effettuare il cambio di residenza.
Il digitale nei processi gestionali delle PA
Diversi Comuni, in verità già da diverso tempo, offrono servizi digitalizzati ai propri cittadini, così come fanno diverse altre amministrazioni dello Stato. Tutte quelle che hanno saputo investire in tecnologie digitali e adesso raccolgono i frutti di quell’investimento. L’evidenza ci dice, purtroppo, che moltissimi altri Comuni sono in sofferenza e tante PA fanno fatica a stare al passo di una digitalizzazione ormai pervasiva.
Motivo che ha spinto cinquecento sindaci del Mezzogiorno, uniti nella rete “Recovery Sud”, a scrivere al presidente dell’Anci, per reclamare interventi che concorrano a eliminare il divario Nord-Sud e a dare “risposte sui temi del divario nelle infrastrutture, nell’istruzione, nei servizi sociali, nell’assistenza sanitaria e pediatrica, nella ricerca, nello sviluppo economico”.
Amministrazioni in sofferenza da anni, con carenze di personale, che chiedono di poter assumere più liberamente le persone che realmente occorrono, senza subire i vincoli legati alle capacità assunzionali. Sono moltissime le amministrazioni pubbliche in difficoltà che avrebbero bisogno di una iniezione di forza lavoro giovane, tanto più che sono alle prese con la ricollocazione della forza lavoro legata alla fine della pandemia.
Il lavoro agile post pandemia
La pandemia ha accelerato l’evoluzione dei modelli di lavoro verso forme di organizzazione più flessibili e intelligenti e ha cambiato le aspettative di imprese e lavoratori. Emergono tuttavia delle differenze fra le organizzazioni che rischiano di rallentare questa rivoluzione.
Se nel privato il 55% delle grandi aziende ha avviato interventi di modifica degli spazi dell’organizzazione per adattarli al nuovo modo di lavorare, nel pubblico si è mosso in questa direzione giusto il 25% delle pubbliche amministrazioni. Fra le grandi imprese che hanno definito o stanno definendo un progetto di smart working, il 40% afferma che il progetto non era presente prima dell’emergenza e che è stata la pandemia l’occasione per introdurlo. Nel pubblico, progetti di questo tipo risultavano assenti prima del virus nell’85% delle PA.
Oggi il lavoro agile sembra essere arrivato al capolinea, ma non è così. Anzi, finita la pandemia, continuerà a coinvolgere più di 4 milioni di lavoratori, di cui circa 700mila nella PA. È quanto emerge dall’ultima indagine dell’Osservatorio sullo smart working della School of management del Politecnico di Milano. Così il responsabile scientifico dell’Osservatorio Mariano Corso: «In molte organizzazioni, soprattutto Pmi e PA, si sta tornando prevalentemente al lavoro in presenza a causa della mancanza di cultura basata sul raggiungimento dei risultati. Un arretramento che si scontra con le aspettative dei lavoratori e gli obiettivi di digitalizzazione, sostenibilità e inclusività del nostro Paese».
PA complesse che non cambiano solo per norma
L’accelerazione impressa ai servizi digitalizzati ha messo in evidenza una divaricazione concettuale profonda tra i Ministri che vogliono tutto il pubblico impiego ordinariamente in presenza, perché la normalità è fare le file agli sportelli pubblici, e quelli che annunciano che per avere un certificato anagrafico non servirà più andare allo sportello, basterà sedersi al computer e scaricarlo.
Molti osservatori hanno intravisto nella decisione del Ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, di far rientrare dal 15 ottobre tutti i dipendenti pubblici in presenza, il rischio concreto di decretare la fine dello smart working, con un ritorno alla cosiddetta “burocrazia difensiva”, sempre molto attenta alla logica del mero controllo.
Il capitale umano nei PIAO
Se è vero, infatti, che il lavoro agile dovrà essere definito con precisione in sede di contrattazione collettiva e che tutte le PA, fra non molto, nel redigere il Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO[1]), dovranno declinare la strategia di gestione del capitale umano e di sviluppo organizzativo, è altrettanto vero che le stesse PA, per ora, restano a guardare, in attesa dell’esito delle trattive sul rinnovo contrattuale e delle linee guida ministeriali che meglio specificheranno le modalità attuative del nuovo lavoro agile.
Con la decisione di voler riportare tutti in ufficio, dimostriamo di aver cambiato realmente mentalità nel pubblico impiego? E poi, ritornare tutti in presenza, ma per fare cosa?
Sono davvero poche quelle amministrazioni che finora sono riuscite a portare a termine verifiche interne per regolamentare il lavoro agile e strutturarlo al meglio. Sarebbe interessante conoscere quante PA, in questi anni di emergenza, hanno svolto un’analisi seria, chiedendosi se hanno le persone giuste al posto giusto, se ci sono colli di bottiglia nell’erogazione di servizi, a causa di uffici con servizi digitalizzati, che ancora impiegano persone con metodi e procedimenti analogici, a causa di gap di competenze degli addetti agli sportelli, o se questi ultimi stiano esprimendo il massimo del loro potenziale nell’attività in cui sono impegnati, o potrebbero svolgere mansioni a maggior valore aggiunto.
Per questo, oggi, stanno emergendo tutte le contraddizioni del rientro in ufficio dopo la fase emergenziale. Il ritorno alla propria postazione si sta rivelando più complicato dell’uscita improvvisa dello scorso anno. Contraddizioni di un lavoro a distanza non gestito, invischiato nella giungla degli adempimenti burocratici e dei cicli delle performance.
Le competenze digitali dei dipendenti pubblici: una sfida per la ripresa del paese
POLA, questo sconosciuto (o quasi)
Un tema emergenziale, rimasto legato all’aspetto formale dell’ennesimo documento da redigere, il Piano Organizzativo del Lavoro Agile (POLA[2]), dai più considerato come un’incombenza.
Il POLA, invece, doveva definire la strategia di gestione del capitale umano, individuando le modalità attuative del lavoro agile e prevedendo, per le attività che potessero essere svolte da remoto, che almeno il 60% dei dipendenti potesse avvalersene. A tal fine dovevano essere definite le misure organizzative, i requisiti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di miglioramento della digitalizzazione dei processi, nonché della qualità dei servizi erogati, anche coinvolgendo i cittadini, sia individualmente, sia nelle loro forme associative.
Ma di tutto questo ancora non c’è traccia. Di Piani sul lavoro agile in giro se ne sono visti ben pochi. Il problema vero, perciò, non è “cartaceo vs. digitale”. Ben vengano i certificati online, sia chiaro, ma il problema vero è cambiare mentalità, arrivare a un ripensamento complessivo delle organizzazioni, dei processi e del modo di lavorare nelle PA.
Una nuova gestione della forza lavoro nella PA
Andiamo verso una PA caratterizzata da una customer experience di qualità superiore, garantita dai dati, infrastrutture condivise e piattaforme. La complessità aumenta con la necessità di garantire che i dipendenti con le competenze necessarie siano disponibili, quando serve, per soddisfare le esigenze lavorative.
È arrivato il momento di rendere strutturato il cambiamento nel mondo del lavoro pubblico e che anche nel settore pubblico il digitale sia utilizzato per la gestione del capitale umano. Il tema non è più scegliere tra smart working o lavoro in ufficio, ma affrontare il tema del “ritorno al lavoro”, arrivando a un giusto mix tra i due. Non deve essere un problema di percentuali. Né può essere uno strumento riservato ai soggetti fragili. Deve essere, una volta tanto, un tema gestionale, altrimenti il rischio è di rimanere impantanati in modelli organizzativi novecenteschi che poco hanno di resiliente e poco hanno di digitale.
Basta saper gestire le condizioni organizzative che già ci sono. Come ha proposto Francesco Verbaro, un attento analista del pubblico impiego, “ci sono condizioni organizzative importanti: processi gestibili da remoto e quindi informatizzati; dipendenti con competenze digitali medie se non elevate; cybersecurity, device adeguati e un’organizzazione fondata per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo. Può essere allora il lavoro agile, apprezzato dal personale, la spinta gentile per cambiare il modo di lavorare nella PA?”
Conclusioni
Il 2021 segna per il nostro Paese l’inizio di una fase di trasformazione profonda, pervasiva, che sta interessando diversi aspetti (economia, istituzioni, società e cultura) e si prospetta di lungo periodo. È impensabile che le nostre amministrazioni tornino a funzionare con gli stessi processi di prima.
Da molto tempo si auspica (l’Europa ce lo chiede e il rispetto del PNRR ce lo impone!), un profondo cambiamento nell’organizzazione del modo di lavorare. Va affrontata la sfida della trasformazione organizzativa, aprendo le porta a una moderna gestione del pubblico impiego, altrimenti tra qualche anno le PA saranno, ancora più di oggi, il collo di bottiglia della trasformazione digitale del Paese.
Il Governo sta mostrando determinazione nel perseguire l’interoperabilità tra le varie Amministrazioni, e con questa il miglioramento dei servizi offerti dalle PA ai cittadini e alle imprese.
Adesso è il momento di mostrare, con una certa urgenza, una forte volontà politica per una profonda riorganizzazione nel modo di lavorare e nel percorso di formazione, che porti l’attenzione sulle competenze, perché il fattore umano non sia un freno al cambiamento.
Note
- La disciplina relativa al Piano integrato di attività e organizzazione è contenuta all’articolo 6 del DL 80/2021. Il PIAO è chiamato a definire, su base triennale e con aggiornamento annuale, diversi profili di interesse dell’attività e dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni. Tutte le PA con più di 50 dipendenti, con esclusione delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative, entro il 31 dicembre 2021 dovranno adottare il Piano integrato di attività e organizzazione. ↑
- Ai sensi dell’art. 263 del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 77 del 2020, le amministrazioni pubbliche, entro il 31 gennaio di ciascun anno (a partire dal 2021), redigono, sentite le organizzazioni sindacali, il Piano organizzativo del lavoro agile (POLA), quale sezione del Piano della performance. ↑