Con le trasformazioni radicali in corso nel mondo del lavoro e la necessità di percorsi formativi per colmare lo skill gap, si sono imposti nelle aziende l’upskilling e il reskilling. Il primo riguarda l’aggiornamento e il perfezionamento delle competenze già in possesso dei dipendenti. Il secondo implica una vera e propria riqualificazione per cambiare ruolo o adattarsi a nuove funzioni lavorative.
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Che cos’è l’upskilling
L’upskilling consiste nel potenziare le competenze specifiche, soprattutto le hard skill strettamente legate al ruolo attuale del lavoratore contrattualizzato. In altre parole, si tratta dell’aggiornamento continuo di conoscenze, tecniche e strumenti che consentono di:
- Incrementare l’efficienza: migliorare la produttività e la qualità del lavoro svolto;
- Adattarsi alle innovazioni tecnologiche: utilizzare nuove tecnologie e metodologie senza cambiare il ruolo, ma migliorando la capacità di esecuzione;
- Aumentare l’output: in un’ottica “ricardiana”, ottenere maggiore produzione mantenendo invariati gli input, ossia il tempo e le risorse impiegate.
I programmi di upskilling sono generalmente orientati a rafforzare le competenze esistenti e si integrano spesso nei piani di crescita verticale e di carriera aziendale.
Che cos’è il reskilling
Il reskilling, invece, rappresenta la riqualificazione professionale. Si tratta di un processo formativo che prepara i lavoratori a ricoprire ruoli differenti all’interno della stessa azienda o in altri contesti lavorativi. Le caratteristiche principali del reskilling sono:
- Trasformazione del profilo professionale: i lavoratori imparano nuove competenze che li rendono idonei per funzioni diverse da quelle da loro precedentemente svolte.
- Mobilità interna ed esterna: favorisce la circolazione dei talenti all’interno dell’organizzazione e agevola il passaggio tra diversi settori industriali.
- Adattamento a nuovi scenari di mercato: permette alle aziende di rispondere con agilità ai cambiamenti del mercato, riducendo la necessità di ricorrere a nuove assunzioni.
A differenza dell’upskilling, il reskilling richiede investimenti maggiori in termini di tempo, risorse e impegno strategico, poiché implica un cambiamento radicale nel percorso professionale del dipendente.
Vantaggi competitivi di upskilling e reskilling
Il gap di competenze è uno dei principali ostacoli alla competitività, soprattutto in un mondo in rapido cambiamento tecnologico. Ecco perché l’implementazione di programmi di formazione aziendale e riqualificazione comporta numerosi benefici che possono tradursi in un riposizionamento più competitivo dell’impresa.
Migliorare le competenze tecniche significa ridurre gli errori, ottimizzare i processi e aumentare l’efficienza operativa. Un lavoratore aggiornato è in grado di utilizzare al meglio le tecnologie e le metodologie più innovative, contribuendo a una crescita dell’output produttivo. L’“Upskilling for Shared Prosperity” del World Economic Forum (2022) dice che investire nelle competenze future potrebbe incrementare la produttività globale di 8,3 trilioni di dollari entro il 2030.
Le aziende che investono in formazione continua riescono a:
- Colmare il divario tra le competenze attuali e quelle future: secondo lo European Skills Index 2023, il gap medio in Italia si attesta intorno al 12%, superiore alla media europea del 10%.
- Favorire una cultura dell’apprendimento continuo: integrare programmi di formazione nella strategia aziendale permette di creare un ambiente di lavoro dinamico e orientato all’innovazione, riducendo il rischio di obsolescenza delle competenze.
Benefici psicologici e di engagement
I programmi di upskilling rappresentano una forma di investimento sul capitale umano che ha effetti positivi sulla motivazione dei dipendenti. Per molti lavoratori, percepire l’azienda come un ambiente che investe nella loro crescita professionale si traduce in fidelizzazione e soddisfazione individuale. I dipendenti formati e valorizzati sono più propensi a restare in azienda. L’apprendimento continuo e il riconoscimento delle proprie competenze migliorano il benessere psicologico e l’engagement.
Il reskilling, pur richiedendo uno sforzo maggiore, porta benefici simili, soprattutto in termini di adattabilità e resilienza organizzativa.
Implementazione in azienda di upskilling e reskilling
Nella maggior parte delle aziende italiane, esistono già programmi strutturati di formazione che puntano all’upskilling. Questi percorsi sono spesso legati a piani di carriera verticali, prevedono corsi di aggiornamento professionale, workshop e seminari, oltreché piani di mentoringche permettono ai dipendenti più esperti di trasmettere il proprio know-how ai colleghi meno esperti.
Tali pratiche sono relativamente meno onerose, in termini di risorse e tempo, e non comportano un impatto psicologico elevato sui lavoratori, poiché l’enfasi è posta sul perfezionamento dell’attuale ruolo.
Il reskilling, al contrario, richiede un approccio altamente strategico e una visione a lungo termine. Le aziende che decidono di investire in reskilling devono affrontare sfide anche di medio/lungo periodo. È indispensabile una mappatura accurata delle competenze attuali e delle esigenze future. Lo European Centre for the Development of Vocational Training, ECDL 2023 suggerisce che una pianificazione accurata può ridurre il divario di competenze fino al 30%. Inoltre, il reskilling efficace richiede programmi su misura che non solo insegnino nuove competenze, ma aiutino i dipendenti a integrare queste conoscenze in contesti lavorativi reali.Un recente studio dell’Harvard Business Review Italia ha messo in luce come le aziende con politiche di mobilità interna consolidate registrino un tasso di retention superiore del 25% rispetto alla media del settore. Infine, i costi associati al reskilling sono generalmente più elevati rispetto all’upskilling. Tuttavia, investimenti mirati in formazione avanzata possono tradursi in risparmi significativi a medio-lungo termine, riducendo il turnover e migliorando la produttività globale.
Confronto pratico tra costi e impatti
L’upskilling richiede in genere minori risorse finanziarie e tempi di formazione ridotti. Più in generale, programmi di aggiornamento specialistico possono comportare investimenti relativamente contenuti. Il reskilling, da parte sua, essendo un percorso di totale trasformazione del ruolo, necessita di risorse maggiori per corsi, consulenze esterne e programmi di mentoring strutturati con formatori professionisti.
Dal punto di vista del benessere del dipendente, l’upskilling tende a essere accolto positivamente, poiché rafforza l’identità professionale e il senso di appartenenza. Il reskilling, invece, può inizialmente generare incertezza e stress, richiedendo un’attenta gestione del cambiamento da parte delle risorse umane.
In contesti dinamici, dove le tecnologie e le esigenze del mercato evolvono costantemente, il reskilling diventa indispensabile per mantenere la competitività aziendale e garantire una continua innovazione.
Il contesto italiano
Il mercato della formazione in Italia ha mostrato, negli ultimi anni, tassi di crescita significativi. Nel 2023, il settore formativo ha registrato un incremento del 6% rispetto agli anni precedenti, con un valore di mercato che ha superato i 1,5 miliardi di euro. Le aziende italiane in media hanno aumentato gli investimenti destinati alla formazione per dipendente, passando da circa 150 euro per dipendente nel 2020 a €200 nel 2023 (Sole 24 Ore, Analisi Formazione, 2023).
Nonostante questi investimenti, l’adozione di programmi di reskilling su larga scala resta ancora limitata. Secondo il “Digital Transformation Report Italy 2023” pubblicato da Assinform, solo il 30% delle aziende italiane con almeno 50 dipendenti ha implementato iniziative strutturate di reskilling, evidenziando una lacuna rispetto alla media europea.
Lo scenario in UE
A livello europeo, la spinta verso la formazione continua e il reskilling è più marcata. Ancora lo European Skills Index 2023 evidenzia che la percentuale di lavoratori coinvolti in programmi di formazione continua si attesta intorno al 14,3% in media, mentre in Italia questo dato si ferma all’11,7%. Diverse nazioni europee hanno avviato ambiziosi piani di reskilling integrati con politiche pubbliche, riducendo il gap di competenze e favorendo una maggiore mobilità lavorativa interna ed esterna. Un esempio virtuoso è rappresentato dalla Danimarca, dove il 35% delle aziende ha implementato programmi strutturati per la riqualificazione dei propri lavoratori (European Centre for the Development of Vocational Training, 2023).
Perché il reskilling è l’elemento chiave nell’era dell’Ai
Mentre l’upskilling rimane una pratica fondamentale per il perfezionamento continuo delle competenze esistenti, la rapida evoluzione delle tecnologie – e in particolare l’avanzata diffusione dell’Intelligenza Artificiale – rende indispensabile un approccio strategico al reskilling.
Le tecnologie emergenti, come l’AI, il machine learning e l’automazione richiedono adeguata formazione. Per le aziende, rimanere al passo con questi cambiamenti significa dover anticipare le nuove competenze digitali richieste. L’upskilling, pur essendo efficace per ottimizzare il ruolo attuale, non riesce sempre a colmare il gap tra le competenze tradizionali e quelle emergenti, rendendo il reskilling una necessità strategica.
Un ambiente lavorativo dinamico richiede una forza lavoro flessibile, capace di muoversi facilmente tra differenti ruoli e funzioni. Investire in reskilling significa una soft skill in azienda come la versatilità che permette di adattarsi rapidamente ai mutamenti del mercato senza dover ricorrere a lunghi e costosi processi di reclutamento.