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Comunicare i “territori in salute”: il caso San Casciano val di Pesa



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Il Centro Ricerche “scientia Atque usus” (sAu) ha avviato una sperimentazione a San Casciano val di Pesa per sviluppare un modello di e-health più equo e inclusivo. Il progetto mira a coinvolgere vari portatori d’interesse utilizzando la Comunicazione Generativa, per migliorare la relazione medico-paziente e potenziare i servizi sociosanitari locali.

Pubblicato il 24 set 2024

Luca Toschi, Viola Davini, Marta Guarducci, Ludovica Mastrobattista, Eugenio Pandolfini, Marco Sbardella

Centro Ricerche “scientia Atque usus” per la Comunicazione Generativa ETS



san casciano (1)

Il Centro Ricerche “scientia Atque usus” per la Comunicazione Generativa ETS (Centro Ricerche sAu)[1] è una comunità di professioniste e professionisti, ricercatrici e ricercatori accomunati da una precisa missione politica e sociale: ridefinire la relazione tra il mondo della ricerca e della alte professionalità (il mondo della scientia) e quello dei portatori d’interesse quali professionisti, imprenditori, lavoratori, rappresentanti di istituzioni e/o di associazioni, cittadini e cittadine (il mondo dell’usus).

Indice degli argomenti

La comunicazione generativa per territori in salute

Per raggiungere questo obiettivo, il Centro Ricerche sAu applica la Comunicazione Generativa (Toschi, 2011; Toschi et alii, 2021) nei propri progetti, con cui cerca di realizzare percorsi di costruzione di comunità mirati a coinvolgere un numero sempre maggiore di portatori di interesse. Un coinvolgimento che parte dalla fase di ideazione di un prodotto/servizio e si sviluppa progressivamente in tutti i momenti successivi della realizzazione. In questo modo, sono le comunità che si creano durante il progetto a cooperare e co-progettare le soluzioni più efficaci per rispondere alle problematiche comunicative e alle necessità ed interessi di tutti i soggetti coinvolti. Un approccio che ha molti punti di contatto con altri approcci di Participatory Action Research (Cornish et alii, 2023).

Il Centro Ricerche sAu, quindi, agisce con progetti specifici in diversi ambiti di intervento[2] ma nella precisa prospettiva di generare “Territori in salute”. Ma cosa si intende per “Territori in salute”?

Le città, i paesaggi e i territori – nell’accezione più ampia, articolata e, soprattutto, mobile, legata cioè alla mobilità sia fisica che simbolica di persone e prodotti -, sono oggi profondamente influenzati dalla frammentazione imposta dal modello comunicativo dominante. Sulla scia di quel filone di studi scientifici (di ambito ecologico, biologico, fisico, agrario, culturale) che sottolinea la necessità di esaminare questi spazi in relazione alla totalità dei fenomeni naturali e antropici che li interessano, il Centro Ricerche sAu interpreta i territori come “luoghi di vita”, nei quali la qualità degli spazi urbani, delle aree periurbane, agricole, montane, dei servizi e le relazioni dinamiche tra di essi, contribuisce al maggiore o minore raggiungimento del benessere dei cittadini.

Analizzare il territorio come un soggetto vivente

Il Centro Ricerche sAu, in altre parole, non considera il “territorio” come un mero substrato per le attività umane, ma lo analizza e lo interpreta, sempre rispetto allo scopo e agli obiettivi dei progetti che concretamente intende realizzare, come un soggetto vivente, in continuo divenire, espressione di un sistema complesso, fatto da interazioni incessanti tra componenti biotiche e abiotiche. Per questo, nella prospettiva generativa, il territorio è un organismo vivente e autopoietico, capace di apprendere e auto-regolarsi, tramite le molte e variegate forme di comunicazione. Un organismo il cui stato di salute – appunto “Territori in salute” nell’accezione che già nel lontano giugno 1946 indicava l’OMS -, risulta decisamente migliore quanto più quei territori riescono ad avvalersi di un paradigma comunicativo tale da poter effettivamente valorizzare la collaborazione e la cooperazione fra le diversità di ordine sociale, economico, culturale, ma anche politico.

Una prospettiva questa che presuppone, proprio al fine di raggiungere quelle diversità considerate l’unica risorsa vera per ogni futuro miglioramento della condizione umana, la necessità urgente di ridefinire radicalmente il concetto stesso di Territorio, svincolandolo da una definizione di tipo amministrativo, che lo vede come un contenitore, per fare, finalmente, propria una visione di territorio inteso come “Territorio-Progetto”. Con un suo capitale, per lo più ancora da esprimere, il cui valore può essere definito solo in base a definiti e condivisi scopi e obiettivi progettuali, i quali sono i soli che, seppure in una prospettiva rigorosamente storica, possono concorrere a definirne l’identità.

Cosa si intende per “salute” del territorio

La “salute”, quindi, di un territorio, ferma restando la sua indiscutibile centralità fisica, se non bio-medica, riguarda prima di tutto la sua capacità di riconoscere e di dare valore, tramite la realizzazione di obiettivi locali concreti e verificabili sul piano sociale, culturale, ambientale, economico e politico, alle sue risorse chiamate a comunicare come mai in passato fra di loro, ma sempre in una prospettiva sistemica: il che può accadere solo se si è capaci di integrare la dimensione locale con quella non locale. Una prospettiva questa che impone, di conseguenza, una ridefinizione non solo delle risorse endogene, ma anche la relazione con quelle tradizionalmente considerate esogene.

Uno scenario socio-culturale ed economico-politico che il persistere della crisi – ormai pluridecennale – ha reso imprescindibile se vogliamo uscirne. Si configura, infatti, come l’unica prospettiva – difficile ma possibile – per avviare, su basi concretamente fattuali, profondamente nuove quanto solide, quel percorso di progresso entrato in crisi dalla fine del Secolo passato. Ed è proprio questo stesso scenario, che permette di vedere nella complessità non un problema ma una risorsa inesauribile, che rafforza le ragioni urgenti dell’innovazione digitale, certamente non il solo strumento ma altrettanto certamente strumentazione fondamentale – purché ben progettata a tal scopo – per riscrivere operativamente la vecchia trama delle relazioni, appunto, socio-culturali ed economico-politiche.

Il ruolo delle comunità che vivono il territorio

In un progetto di Comunicazione Generativa, quindi, il territorio è composto dalle persone che lo abitano, lo attraversano o vi lavorano, dalle comunità che costruiscono paesaggi di relazione in continua trasformazione. In questa prospettiva, le comunità devono orientarsi verso una comune azione di ricerca e conoscenza della realtà, trasformandola insieme, intercettando i bisogni e le necessità, e collaborando per costruire e comunicare, nel caso specifico qui affrontato, soprattutto, anche se non esclusivamente, servizi, che tengano conto delle infinite connessioni (con luoghi geograficamente distanti, realtà e organizzazioni diverse) da cui non possono necessariamente prescindere.

Il lavoro di ricerca-azione nel territorio di San Casciano in Val di Pesa

Questa è la prospettiva metodologica di questo contributo, che presenta il lavoro di ricerca-azione che il Centro Ricerche sAu ha avviato nel contesto del territorio di San Casciano in Val di Pesa per realizzare interventi specifici che potenzino l’offerta di servizi sociosanitari, partendo da un’analisi degli strumenti di comunicazione e di e-health attualmente in uso nella relazione medico-paziente-servizi sul territorio.

L’idea alla base dell’iniziativa

L’idea alla base dell’iniziativa è quella di creare un percorso generativo di comunità che possa far emergere i bisogni di conoscenza di coloro che operano nel sistema sociosanitario e, al tempo stesso, di chi usufruisce dei servizi indagando i bisogni di salute sulla base di una profilatura demografica e antropologica per progettare una comunicazione che rafforzi le potenzialità di un sistema di sanità digitale equo e inclusivo. Solo partendo dall’analisi dello stato attuale dei processi comunicativi sul territorio, infatti, è possibile individuare le aree di potenziamento su cui intervenire per costruire, appunto, un “Territorio in salute”. Salute intesa nel suo senso più ampio, come «a state of complete physical, social and mental well-being, and not merely the absence of disease or infirmity» (WHO, 1948).

La ricerca nasce nell’ambito del Master in “Comunicazione Medico-Scientifica e dei Servizi Sanitari”, organizzato dal Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze in collaborazione con il Centro Ricerche sAu. Il Master, per la sua natura progettuale, coinvolge, per un intero anno, corsisti e corsiste nella realizzazione di progetti concreti di comunicazione. Al progetto collaborano, finanziando borse di studio che hanno permesso l’avvio delle progettualità qui introdotte, la Misericordia di San Casciano in Val di Pesa, la Misericordia di Campi di Bisenzio, la ChiantiMutua ETS e la Fondazione CR Firenze.

Perché San Casciano in Val di Pesa

Il Comune di San Casciano in Val di Pesa è stato individuato come ambito per la sperimentazione della ricerca-azione in virtù delle sue caratteristiche: ha una popolazione di circa 17.000 abitanti e si configura di fatto come un territorio all’interno di un’area metropolitana identificata come bio-regione urbana (Magnaghi, 2014). Questo territorio è, quindi, espressione di un rapporto rinnovato e sistemico tra le diverse comunità che lo abitano e l’ambiente costruito, l’ambiente naturale, le reti sociali, culturali ed economiche, in cui si creano strette connessioni tra i diversi ambiti che lo costituiscono: da zone di pregio a forte valenza identitaria come il Chianti, alle attività produttive, fino ai centri urbani più prossimi della Toscana (come Firenze e Siena), considerando anche i flussi di persone che provengono da altre città (turismo nazionale e internazionale).

Una medicina basata sulla centralità del paziente

Il baricentro della medicina si è molto spostato negli ultimi decenni, passando dalla centralità della malattia a quella del paziente: rientrano in questo cambio di paradigma la medicina personalizzata, la medicina narrativa, il patient journey, il patient engagement, il patient empowerment, etc. Non è una novità degli ultimi anni, dato che già da quattro decenni è stato stabilito il diritto del paziente di essere protagonista delle sue scelte di salute (WHO, 1986).

Dalla malattia al paziente: quale comunicazione per un nuovo approccio alla salute e ai territori

Quanto più parliamo di medicina personalizzata e di patient engagement, tanto più abbiamo bisogno di chiarire in che modo la comunicazione della salute e della sanità si sta orientando alla costruzione di una comunità di portatori di interessi che si impegnano nella costruzione di politiche e servizi per garantire i principi di equità, uguaglianza, parità di accesso. Una comunicazione che, per raggiungere questo scopo, può essere enormemente aiutata dal paradigma generativo, il cui obiettivo principale è quello di coinvolgere progressivamente i più diversi stakeholder: sia dal mondo della ricerca e delle alte professionalità (scientia), sia dal vasto mondo delle persone comuni, impegnate in attività, anche se di diverso peso socio-economico, lontane strutturalmente dal mondo della ricerca e delle professioni ad alto contenuto specialistico (usus). Solo così si possono concepire e realizzare prodotti o servizi che rispondono alle esigenze di innovazione e di salute presenti nel territorio, in uno scenario di collaborazione e cooperazione, propria nella distinzione dei ruoli, incompatibile con la comunicazione del passato.

Creare comunità di interessi, obiettivi e valori

Un territorio che a sua volta, se inteso come trama di relazioni in continua evoluzione tra tutti i soggetti, individuali e collettivi, che quotidianamente lo animano, lo abitano, lo attraversano, non può essere ridotto alla sua mera dimensione geopolitica (Pandolfini, 2019). In questo senso, allora, comunicare un servizio o un prodotto, significa creare comunità di interessi, obiettivi e valori che si intersecano proattivamente nello sviluppo del prodotto o del servizio stesso. Solo coinvolgendo ciascuno stakeholder fin dalle prime fasi della progettazione, infatti, è possibile definire strategie di comunicazione efficaci che rispondano alle esigenze della comunità, tenendo conto dei determinanti sociali della salute e delle dinamiche relazionali, sociali, economiche, politiche, culturali che rendono unico ciascun territorio.

Le opportunità del digitale

L’innovazione tecnologica e il digitale, da questo punto di vista, rappresentano un’opportunità immensa se immaginati come opportunità per ridefinire il modo in cui i professionisti della salute, la cittadinanza, ma anche le stesse istituzioni e aziende sanitarie, possono contribuire a co-progettare servizi rivolti in maniera sempre più mirata ai singoli pazienti. Ciascuno con una diversa esperienza, un diverso vissuto, uno specifico tessuto sociale e familiare e un livello differente di alfabetizzazione sanitaria (e – quando si parla di telemedicina – anche digitale).

La medicina genere specifica e la personalizzazione della cura come atto di democrazia

La medicina, quindi, necessita sempre più di essere personalizzata. Emblematico di questa esigenza è lo sviluppo dagli anni Novanta della Medicina di Genere come ambito che studia le principali differenze per sesso, genere e non solo, per migliorare l’informazione medico-scientifica e soprattutto favorire strategie di prevenzione mirate (Davini e Marcucci, 2024). La medicina – ampliandola nell’accezione di “Salute di Genere” – rappresenta uno strumento di personalizzazione della cura che ha bisogno di una comunicazione in grado di valorizzare le differenze di genere (e, all’interno di ogni genere, di cultura, condizione sociale, economica etc. etc.) per arrivare a coinvolgere cittadini e cittadine in percorsi di prevenzione, diagnosi e cura sulla base delle caratteristiche specifiche di ciascun paziente e, quindi, a vantaggio della salute pubblica. Le evidenze scientifiche in settori diversi, che vanno dall’ambito cardiovascolare a quello oncologico, dalla geriatria alla farmacologia, dalla pediatria alla nutrizione etc., stanno facendo progressi enormi nel far emergere le differenze biologiche – ma anche sociali e culturali – per trasformare un modello di medicina e di ricerca biomedica – da uno a tutti – che sia in grado di personalizzare anche le informazioni medico-scientifiche per un equo accesso ai servizi sanitari.

Gli studi clinici condotti negli ultimi anni – non ultimi quelli volti ad indagare gli effetti della pandemia da Covid-19 – hanno dimostrato quanto le differenze biologiche e sociali tra gli individui influenzino la risposta dell’organismo all’insorgenza di malattie e alla somministrazione di cure, tanto da aver spinto il Ministero della Salute ad includere l’approccio alla medicina di genere tra le sfide del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Ripensare la comunicazione partendo dai bisogni

Nell’ambito della personalizzazione della cura, è sempre più necessario ripensare la comunicazione come strumento attraverso il quale analizzare i bisogni e costruire processi comunicativi che siano realmente rispondenti alle necessità di salute delle persone e della comunità nelle quali vivono. Il primo passo è quello di analizzare quali sono le principali barriere che si incontrano nell’accedere alle informazioni di cui si ha bisogno per mantenersi in salute. Per questo motivo ogni strategia di comunicazione – che sia generativa di conoscenza, ovvero che orienti le persone ad acquisire informazioni per agire in termini di comportamento (partendo dalla prevenzione primaria) – deve partire dall’analisi dei bisogni percepiti e dal coinvolgimento di esperti e stakeholder con cui co-disegnare e co-progettare la comunicazione. Lo scenario qui delineato, quindi, corrisponde a una ricerca-azione finalizzata allo sviluppo di una cultura della comunicazione intesa come conditio sine qua non per l’esercizio da parte di tutti e di ciascuno di una piena cittadinanza. Perché come cittadini e cittadine comunichiamo con ogni nostra scelta quotidiana (dalla scelta del medico, alla partecipazione a programmi di screening, all’adesione a un piano vaccinale, etc.) e dovremmo essere messi nella condizione di farlo nel rispetto della nostra salute, della salute dell’ambiente e delle nostre comunità. Ma per farlo è necessario ripensare la centralità dei contenuti medico-scientifici e ridefinire la relazione tra chi è esperto – dallo scienziato, al medico etc. – e il paziente che “non è esperto”, ma che ha tanta conoscenza della propria vita e della propria esperienza quotidiana. E proprio questa conoscenza – noi diremmo dell’usus – costituisce un patrimonio preziosissimo.

Analizzando il percepito, l’immaginario e le caratteristiche delle comunità è possibile far emergere quelle differenze che possono essere alla base della personalizzazione della medicina – con le sue diverse definizioni: “medicina personalizzata” (ESF, 2012), “medicina di precisione” (NAS, 2011) o “medicina della 4 P: predittiva, preventiva, personalizzata e partecipativa” (Hood e Galas, 2008).

Ed ecco allora, proprio alla luce di questa esigenza di ripensare la salute in ottica sistemica, riproporsi la necessità non più rinviabile di attivare processi in grado di favorire la cooperazione tra specializzazioni diverse, valorizzare l’ascolto del paziente e delle famiglie, realizzare un patto comunicativo nuovo pazienti-medici-servizi in grado di generare conoscenza condivisa e migliorare costantemente sia l’erogazione dei servizi, sia una cultura della salute diffusa sul territorio realmente ispirata ai principi propri del nostro sistema sanitario e della nostra Costituzione che, come sappiamo, afferma la salute essere, non solo un “fondamentale diritto dell’individuo”, ma “interesse della collettività”: equità, appropriatezza delle cure, umanizzazione. Essere un “Territorio in salute”, quindi, è molto più di un fatto sanitario, è un principio-dovere costituzionale.

Le nuove tecnologie: un’occasione persa?

Come logica conseguenza dei processi illustrati nel paragrafo precedente, a vari livelli e con varie declinazioni operative, si fa sempre più riferimento, in letteratura, al coinvolgimento dei pazienti e dei professionisti nella progettazione dei servizi sanitari, a partire dalla loro comunicazione fino alla definizione dei percorsi di cura. e per Comunicazione, qui s’intende, naturalmente, l’intero apparato comunicativo, che va dalla quella organizzativa interna a quella verso l’esterno.

Alla ricerca di un ruolo attivo per pazienti e professionisti nella progettazione di servizi e strumenti di telemedicina

Nel contesto socio-sanitario attuale, stiamo assistendo a un radicale cambiamento delle pratiche di cura e, in particolare, degli approcci terapeutici verso i pazienti, anche a causa dell’aumento delle patologie croniche, che ha comportato una revisione dei modelli di cura in medicina. Come già anticipato, infatti, analizzando il tradizionale modello centrato esclusivamente sulla cura della malattia e, quindi, dei suoi sintomi, si è compresa l’importanza di prendersi cura del paziente nella sua complessità, andando oltre la concezione limitata che tradizionalmente lo vede come soggetto passivo sottoposto a una serie di cure o collegato a diversi device. Finalmente si è arrivati a considerare il paziente come una persona, portatrice di un vissuto specifico e inserita in un particolare contesto socio-familiare. La prospettiva alla base, quindi, supera il concetto della medicina territoriale, riferendosi a una rete di supporto informale del paziente, che rappresenta un punto di forza cruciale per l’impostazione del percorso terapeutico.

Il ruolo dei clinici

I professionisti costituiscono il rovescio della medaglia. Se parliamo di Patient Engagement, ovvero il coinvolgimento attivo del paziente, è chiaro che questo non può configurarsi solo come un processo esperienziale per i pazienti che affrontano un percorso di malattia. Deve essere inteso anche come una nuova modalità di intervento. In questo approccio, infatti, i clinici non sono solo i fornitori di un servizio di cura, ma diventano anche figure con cui condividere la gestione della patologia, l’uso di un device di telemedicina, uno specifico percorso terapeutico.

A fronte di una forte comunicazione scientifica orientata sui temi del Patient Engagement, del coinvolgimento delle persone nella definizione della propria cura, dell’uso dei device, del coinvolgimento di pazienti e professionisti nella progettazione di servizi e strumenti, di processi e nuovi device, quando poi si accede alle fonti la situazione appare purtroppo molto diversa da quello che ci si potrebbe aspettare.

L’importanza del coinvolgimento dei pazienti

Focalizzandosi sui device di telemedicina e limitandosi al coinvolgimento di pazienti e professionisti nella loro progettazione, quello che si trova nelle fonti di ambito internazionale e nazionale che trattano di progettazione dei servizi di telemedicina (Digital Health) non è particolarmente esaustivo in termini di effettivo coinvolgimento (Ministero della Salute, 2014; 2022a; 2022b; 2022c). Analizzando il corpus di fonti che è stato preso in considerazione per il progetto San Casciano “Territorio in salute”, in un solo caso (WHO, 2020) si fa riferimento al coinvolgimento dell’utenza nella progettazione della telemedicina.

Il riferimento è in termini generali ai Principles of Digital Development, dove si prevede il Design with the user, ma poi il documento non fornisce indicazioni precise in relazione a come effettivamente coinvolgere le persone nella progettazione e nella programmazione dell’innovazione in medicina per realizzare in pratica la co-creazione, come previsto dall’enunciazione:

Design with the User: User-centered design starts with getting to know the people you are designing for through conversation, observation and co-creation. (WHO, 2020)

La necessità di uno specialista di Human-centred design

Sempre nello stesso documento si riporta la necessità di uno specialista di Human-centred design, che faccia parte del gruppo di management da formare – a livello governativo – per assicurare il coinvolgimento dell’utenza nel processo di pianificazione dell’innovazione digitale in medicina. Il ruolo di questa figura è descritto come segue:

[He\she] engages the end users directly for co-design and co-creation of the planned digital health intervention. Trained in human-centered design, this person would provide technical support in determining the most appropriate methodologies and mechanisms for engaging the end-users from the beginning. (WHO, 2020)

In sintesi, e in relazione alle fonti analizzate, la partecipazione dell’utenza alla progettazione della telemedicina si realizza rivolgendosi a un esperto di coinvolgimento dell’utenza, la quale finisce, al di là del dichiarato e delle intenzioni, a configurarsi come un’area di test.

Negli altri documenti si riportano dettagliate analisi dei possibili problemi (dall’accesso ai servizi alla literacy) senza proporre soluzioni, o misure per il coinvolgimento dell’utenza.

Per quanto riguarda il coinvolgimento dei professionisti della salute nella progettazione dei servizi di telemedicina, invece, questi sono considerati utenti dei servizi di telemedicina. In questa accezione, l’attenzione dedicata a queste figure riguarda:

  • in un caso (WHO, 2020) il loro ruolo di utenti finali (End-users) – la definizione di End-users è: “health workers who interact directly with the digital health implementation once implemented” (p. 54) – e come coinvolgerli in processi di analisi che possano indicare eventuali criticità e colli di bottiglia (bottlenecks) per l’implementazione dei nuovi servizi;
  • in un altro (WHO, 2019) i fattori dipendenti dai professionisti della salute che influenzano l’accettabilità, la fattibilità e l’attuazione (acceptability, feasibility and implementation) di interventi di telemedicina.

In entrambi i documenti, orientati allo sviluppo di servizi di telemedicina che rafforzino i sistemi sanitari e rivolti ai decision makers, il coinvolgimento dei professionisti della salute si riferisce alla fase di implementazione e, quindi, non riguarda la fase di ideazione e progettazione.

L’importanza della formazione dei professionisti della salute

Sono presenti numerosi riferimenti al tema della formazione necessaria (in base al grado di conoscenza che si ha dei processi e delle tecnologie di telemedicina), dell’analisi congiunta delle possibili criticità, delle modalità per l’individuazione di colli di bottiglia. Ma si tratta di processi assolutamente top-down, che prevedono un confronto su progetti e procedure già definite, con l’obiettivo di ottimizzarle.

I professionisti della salute – a livello dell’analisi attuale – sono coinvolti nel processo con un ruolo passivo, che si limita a testare servizi e restituire commenti in base alla propria esperienza. E l’impressione che si ricava dalla lettura è quella di manuali finalizzati a “far digerire” i nuovi servizi (approfondite sono le analisi relative alle potenziali criticità nel percepito dei professionisti, quali ad esempio l’aumento del carico di lavoro, legato al fatto di essere “sempre raggiungibili”), piuttosto che a co-progettarli insieme.

Un mondo possibile: valorizzare le specificità nell’ottica di un progetto comune

Quale che sia il reale coinvolgimento nella loro progettazione, è innegabile che le nuove tecnologie di comunicazione abbiano rivoluzionato il modo in cui i pazienti interagiscono con i professionisti della salute e i servizi socio-sanitari. Per sfruttare appieno il potenziale di queste tecnologie, però, è essenziale che esse non standardizzino l’esperienza dei pazienti. Al contrario, devono essere progettate per valorizzare la specificità e la diversità di ciascun individuo.

In Italia si assiste ad un crescente utilizzo delle risorse digitali da parte dei pazienti. Secondo i dati ISTAT, il 46,1% degli italiani sopra i 14 anni ha utilizzato il web negli ultimi tre mesi per cercare informazioni sulla salute. Inoltre, il 25,1% ha prenotato un appuntamento medico tramite un sito web o un’app, il 24% ha consultato il proprio fascicolo sanitario online e il 23% ha utilizzato il web per accedere ad altri servizi sanitari, invece di recarsi fisicamente dal medico o in ospedale. Questi dati riflettono un panorama in cui la tecnologia sta diventando sempre più centrale nell’accesso ai servizi sanitari e nella gestione delle informazioni sanitarie. Tuttavia, per massimizzare i benefici, è cruciale che queste tecnologie siano progettate con un focus sul paziente, promuovendo soluzioni che si adattino alle esigenze e alle competenze digitali della popolazione (ISTAT, 2022).

A tal proposito, l’intervento del Centro Ricerche sAu che sarà approfondito nel prossimo paragrafo si basa sul coinvolgimento attivo dell’usus. Perché i cittadini non sono semplicemente utenti dei servizi, ma possono essere a tutti gli effetti dei co-creatori di soluzioni e servizi. Questo approccio inclusivo garantisce che le soluzioni sanitarie siano adattate alle reali esigenze della comunità, promuovendo così un senso di appartenenza e responsabilità collettiva.

La chiave per una medicina personalizzata

La chiave per una medicina personalizzata risiede nella capacità delle tecnologie di adattarsi alle esigenze individuali piuttosto che imporre soluzioni standardizzate, capaci di rispondere alle diverse esperienze e bisogni dei cittadini. Vale a dire, strumenti che permettano ai pazienti di ricevere cure a distanza, con interfacce adattate alle loro specifiche esigenze e competenze digitali. Siti che rendano la prenotazione di visite e l’accesso ai referti semplice e intuitivo per quelle fasce della popolazione con basso livello di alfabetizzazione digitale. Strumenti digitali che possano essere personalizzati per monitorare condizioni specifiche. Tecnologie, insomma, che rispondano tutte a un unico progetto comune, cioè quello di promuovere una salute equa, accessibile e centrata sul paziente.

Rilevare il livello di alfabetizzazione digitale dei cittadini

Uno degli aspetti cruciali dell’approccio adottato a San Casciano è l’attenzione alla qualità percepita e alla soddisfazione dei cittadini riguardo agli strumenti digitali e alle piattaforme di accesso ai servizi socio-sanitari. A questo proposito, rilevare il livello di alfabetizzazione digitale dei cittadini è fondamentale per capire quanto efficacemente possano utilizzare queste tecnologie. Questo rilevamento permette di identificare eventuali barriere nell’accesso ai servizi sanitari digitali e di progettare interventi mirati per abbatterle. Congiuntamente, comprendere come i cittadini percepiscono e utilizzano gli strumenti digitali è il primo passo per creare soluzioni che rispondano realmente alle loro necessità.

L’approccio partecipativo adottato negli studi sulla percezione dei cittadini, come quelli condotti dall’UNESCO nel 2014 (Unesco, 2014) e nel 2021 (Unesco, 2021), che comprendono focus group, interviste e indagini attraverso l’uso di social media, sottolinea l’importanza di progettare soluzioni che siano non solo funzionali ma anche orientate all’utente. In questo contesto, i principi di usabilità e user experience sono integrati nella progettazione per assicurare un’interazione efficace degli utenti con i sistemi digitali. Questi approcci non solo migliorano l’accettazione delle tecnologie sanitarie, ma potenziano anche l’engagement e l’efficacia delle soluzioni proposte, facilitando la raccolta di dati significativi sulle esigenze e le percezioni delle comunità coinvolte. Ancora una volta, si tratta di elementi indispensabili per generare “Territori in salute”.

Generare Territori in salute

Come anticipato nel paragrafo introduttivo, le città, i paesaggi e i territori sono probabilmente le realtà che maggiormente risentono della frammentazione causata dal modello comunicativo dominante, il quale utilizza il divide et impera come principale strumento di gestione della vita quotidiana (Toschi, 2019).

Ridefinire il ruolo dell’usus per riscrivere i territori

Gli studi scientifici ed ecologici sui territori e sui paesaggi suggeriscono chiaramente che essi devono essere esaminati in relazione alla totalità dei fenomeni naturali e antropici che li interessano, in un insieme di elementi e relazioni dinamiche che si riferiscono a aspetti complementari di un unico processo conoscitivo (Gibelli, 2007).

In questo contesto, i territori possono essere visti come “luoghi di vita” e “habitat di biodiversità” (Criconia et alii, 2023), ma anche come luoghi dotati di “coscienza” (Becattini, 2015). O, meglio ancora, come “Territori in salute”, riconoscendo nelle strutture antropiche, nelle nostre città, nella qualità degli spazi e dei paesaggi urbani che attraversiamo, nelle aree periurbane (che combinano le dinamiche urbane con l’apertura a territori meno densamente funzionali ma più ampi dimensionalmente) importanti elementi di relazione, che contribuiscono – anche attraverso lo scambio e il confronto, e la diffusione di informazioni – a influenzare i comportamenti dei cittadini, creando condizioni di benessere. Benessere inteso, secondo il “Capabilities Approach” di Amartya Sen (1999), come la qualità della vita che gli individui sono effettivamente in grado di raggiungere, scegliendo liberamente tra diverse possibilità di azione.

In questo quadro, non possiamo considerare i territori come meri oggetti o substrati su cui si svolgono le attività umane. In una prospettiva generativa, i territori sono considerati soggetti attivi, terre di mezzo, luoghi ancora da esplorare per quanto riguarda le potenzialità inespresse (Toschi, 2011), che svolgono un ruolo fondamentale nell’orientare la nostra esperienza quotidiana, con ricadute trasversali su diverse sfere, tra cui quella fisica, biologica, sociale, culturale e medica.

Il “territorio”, quindi, esaminato in termini generativi, non è un sistema chiuso e limitato geograficamente, ma un organismo vivente (Pandolfini, 2019), autopoietico (Maturana e Varela, 1980), che vive, raccoglie energie e le utilizza per “nutrire” le sue componenti. Un sistema capace di apprendere e auto-regolarsi proprio come un essere vivente. E, come gli esseri viventi, trova nella comunicazione una risorsa fondamentale, in grado di adattarsi alla complessità delle funzioni che deve svolgere. Il contributo della Comunicazione Generativa alla progettazione di nuovi “Territori in salute” va in questa direzione, favorendo l’individuazione dei portatori di interesse, delle funzioni e delle organizzazioni che costruiscono fisicamente territori non necessariamente contigui geograficamente e, tra queste realtà, uno scambio di informazioni che incide, trasformandoli, sui soggetti coinvolti.

Il territorio in un progetto di Comunicazione Generativa

In un progetto di Comunicazione Generativa, il territorio di riferimento è costituito dalle persone che lo abitano, che lo vivono per motivi lavorativi o che vi transitano (Urry, 2001), e che nel corso della loro vita costruiscono paesaggi di relazione che sono ideali, fisici, culturali e, soprattutto, in continua trasformazione: tutti i soggetti che costituiscono comunità coese di interesse e progetto individuano territori in modo dinamico e inclusivo e, piuttosto che cercare di prendere il controllo l’uno dell’altro o di convincersi reciprocamente della qualità di un servizio, si orientano a una “comune-azione” di ricerca e conoscenza della realtà, per trasformarla insieme fino a innescare un salto di sistema che porti i soggetti stessi a cambiare insieme ad essa.

Un territorio, quindi, deve essere in grado di intercettare i bisogni di una popolazione offrendo servizi, socio-sanitari e non solo, che siano in grado di fornire risposte anche considerando le infinite connessioni che si possono creare con luoghi geograficamente distanti (ma da cui le persone arrivano o verso cui le persone vanno) e con realtà diverse tra loro che normalmente hanno difficoltà a comunicare tra loro (istituzioni, associazioni, aziende e imprese, etc.).

Una prospettiva questa in cui il territorio socio-economico interessato non è uno spazio di prossimità fisica, economica, amministrativa preesistente, oggettivamente dato, da difendere come un’area di pertinenza esclusiva, in cui trasferire conoscenze, competenze, pratiche più o meno avanzate. È, al contrario, un soggetto attivo, in continua trasformazione, che quotidianamente si rapporta e interagisce con la ricerca e la formazione, ponendo a sua volta domande, manifestando necessità, offrendo e creando, così, conoscenza. (Toschi, 2018, p. 189)

San Casciano in Val di Pesa, Territorio in salute

All’interno del quadro teorico sinteticamente presentato nei paragrafi precedenti, lo scopo della ricerca-azione che il Centro Ricerche sAu ha avviato per rendere San Casciano in Val di Pesa un “Territorio in salute” è quello di sperimentare come l’uso delle nuove tecnologie possa mettere l’intera cittadinanza – da coloro che hanno bisogno di assistenza, ai professionisti e professioniste della sanità, dalle organizzazioni pubbliche e private alle istituzioni, e più in generale tutti i soggetti portatori d’interesse a vario titolo coinvolti – nella condizione migliore per dare vita ad una comunità in salute. Una comunità in grado di far emergere i bisogni di salute e, al contempo, di offrire le risposte necessarie attraverso i servizi disponibili, così da poter favorire una medicina territoriale sempre più “personalizzata”. “Personalizzata” perché capace di mettere tutti – senza differenza di sesso, genere, età, censo, appartenenza culturale etc. – nelle condizioni migliori per ricevere e dare cura. A tal fine è necessario – grazie alla comunicazione – che si metta in azione un sistema di reciprocità e di co-responsabilità in cui le istituzioni, le organizzazioni pubbliche e private siano chiamate a compiere scelte che promuovano la salute sull’intero territorio, attraverso il miglioramento dell’alfabetizzazione sanitaria, la promozione di corretti stili di vita (dall’educazione alimentare, all’attività fisica) e la partecipazione a programmi di screening. Senza ignorare la fondamentale messa in atto di politiche pubbliche – dalla mobilità, alle infrastrutture etc. – che abbiano come scopo il benessere della cittadinanza e la salubrità dell’ambiente. Un impegno in cui un contributo non meno fondamentale è quello rappresentato dalle azioni portate avanti dalle aziende, dalle loro politiche di welfare.

Questa sperimentazione rientra in un’idea di ricerca che vede nell’ascolto dei bisogni della comunità, e nel suo coinvolgimento reale, un valore aggiunto per rendere più efficaci i processi comunicativi che possano mettere nelle condizioni le persone di apprendere, comprendere e agire, in termini di salute e non solo. Un approccio che vede nell’usus non un contenitore da riempire, bensì una comunità di portatori di interesse che devono essere ascoltati, attivati e coinvolti in tutte le fasi del progetto. Solo creando comunità di interessi, di pratiche, di valori (Wenger, 1998) – che si riconoscano nel progetto portando il proprio contributo – si possono creare relazioni sempre nuove. Questa sperimentazione prende le mosse, quindi, da approcci che – a livello internazionale – si basano sul coinvolgimento delle comunità e sulla co-creazione di valore, come ad esempio il Community-based Participatory Research (CBPR) (Holkup et alii, 2004) o la Knowledge Mobilization, nella definizione del Social Sciences and Humanities Research Council of Canada (SSHRC) (Government of Canada, 2023).

Il digitale per migliorare la comunicazione medico-paziente e l’accesso ai servizi sanitari

A San Casciano in Val di Pesa, per la realizzazione del “Territorio in salute”, sono attivi quattro progetti centrati sull’integrazione delle tecnologie digitali per migliorare la comunicazione medico-paziente e l’accesso ai servizi sanitari, con il fine di promuovere una salute più equa e personalizzata per tutta la cittadinanza. Queste iniziative esplorano la comunicazione tra servizi e cittadini, l’alfabetizzazione digitale alla salute, il coinvolgimento degli utenti nella progettazione dei device di telemedicina e l’introduzione dell’intelligenza artificiale nei processi sanitari. L’obiettivo comune di questi progetti è costruire un ecosistema sanitario partecipativo e multifunzionale, capace di rispondere alle esigenze specifiche della comunità.

Come le nuove tecnologie di cambiano il modo di essere professionisti sanitari e pazienti

Il primo progetto mira a realizzare una fotografia di quali siano gli strumenti di comunicazione – digitali e non – utilizzati nella comunicazione medico-pazienti-servizi-cittadinanza. Per indagare tali aspetti, il Centro Ricerche sAu ha avviato un’analisi – attraverso tecniche di ricerca qualitative e quantitative – per rilevare come il mondo delle professioni sanitarie e la cittadinanza – un campione randomizzato di cittadini/e – interagiscono fra loro e con il sistema sanitario per ottenere le risposte di cui hanno bisogno.

L’analisi avrà come output la stesura di un report della ricerca sull’uso delle nuove tecnologie di comunicazione tra medici, cittadini, pazienti e servizi sul territorio di San Casciano in Val di Pesa. Il documento sarà corredato da un ricco apparato documentario e sarà condiviso con istituzioni, aziende, associazioni del territorio e tutta la cittadinanza per individuare insieme le aree di intervento e di potenziamento su cui agire nel breve e nel lungo periodo.

Analizzare il livello di digital health literacy per progettare azioni di in-formazione

Il secondo progetto che si sta realizzando sul territorio di San Casciano in Val di Pesa mira a rilevare il livello di alfabetizzazione digitale alla salute sia lato professionisti (medici, ma anche amministrativi) sia lato cittadinanza. Lo scopo principale dell’analisi è comprendere come la comunità di San Casciano in Val di Pesa interagisce con le tecnologie digitali per gestire le proprie condizioni e bisogni di salute e accedere ai servizi sanitari, anche in un contesto di assistenza remota. Questa analisi è cruciale per identificare le competenze attuali, le lacune e le esigenze formative della comunità stessa. L’intento finale è co-creare insieme alla popolazione e alle istituzioni percorsi in-formativi ad hoc per aumentare conoscenze e competenze digitali.

L’analisi includerà interviste qualitative e focus group mirati a esplorare i punti di forza e le criticità nella comunicazione tra persone nella ricerca di informazioni, nella prenotazione di esami e prestazioni e nell’uso di strumenti di telemedicina associati a determinate patologie (tra le più diffuse sul territorio).

Parallelamente, si osserveranno i comportamenti dei cittadini nell’interazione con le interfacce digitali dei principali servizi online, nonché la relazione tra questi e i professionisti della salute. Inoltre, verranno organizzate sessioni di shadowing (Czarniawska, 2007) con i cittadini volontari, in cui si studieranno da vicino le loro attività quotidiane, come prenotare una visita, fissare degli esami o cercare informazioni specifiche sui siti delle aziende sanitarie.

La centralità dell’usus nella progettazione dei device di telemedicina

Con il terzo progetto, il Centro Ricerche sAu – individuati gli strumenti e i device di sanità digitale diffusi sul territorio, anche in relazione a patologie frequenti, stili di vita e prevenzione – intende avviare una ricerca per indagare in che modo l’usus è coinvolto nella progettazione e quanto conosce gli strumenti che utilizza, attraverso un’analisi dei principali punti di forza e criticità comunicative riscontrate.

La ricerca prenderà in esame anche le sperimentazioni attive a livello nazionale e internazionale, con lo scopo di verificare quanto siano coinvolti tutti i soggetti nella progettazione delle nuove tecnologie: dagli strumenti utilizzati per la televisita, la teleassistenza, ai device indossabili – quelli utilizzati nel caso di patologie specifiche, ma anche quelli più diffusi come App o smartwatch dell’area wellness -, fino all’analisi dell’usabilità degli strumenti di comunicazione dell’offerta dei servizi (dagli strumenti di prenotazione delle visite, al Fascicolo Sanitario Elettronico – FSE).

Il Centro Ricerche sAu realizzerà delle linee guida sulla comunicazione per l’introduzione di dispositivi tecnologici nella relazione medico-paziente-servizi. Tale documento sarà presentato a livello scientifico e istituzionale per identificare gli aspetti più significativi per l’inserimento dei dispositivi tecnologici nei percorsi di cura, ponendo attenzione non solo all’usabilità ma anche a possibili barriere linguistiche, culturali etc.

IA: il percepito di professionisti sanitari e cittadini sulla relazione tra umanità e automazione nella medicina del futuro

Il quarto progetto che concorre alla realizzazione di “San Casciano Territorio in salute” è un’analisi del percepito del mondo delle professioni sanitarie (medici, infermieri, amministrativi), da una parte, e della cittadinanza, dall’altra, sulle nuove tecnologie di Intelligenza Artificiale (AI), sul loro potenziale sviluppo futuro, sui possibili punti di forza e sulle criticità (cliniche, relazionali, etiche) che tale innovazione – da più parti indicata, anche in ambito medico, come the next big thing – potrebbe comportare (Cristianini, 2024). Infatti, dopo che negli ultimi anni “Dottor Google” ha rappresentato la croce (soprattutto) e la delizia (in misura decisamente minore) della relazione medico-paziente, l’Intelligenza Artificiale Generativa promette un’imminente rivoluzione anche in questo ambito. Siamo pronti? La governeremo o ne saremo sopraffatti?

Dopo una prima fase – attualmente in corso – di desk research, sostenuta dal coinvolgimento di esperti ed esperte a livello nazionale, il progetto prevederà un percorso di ascolto sia lato scientia sia lato usus (con un’attenzione particolare ai ragazzi in età scolastica e alle loro famiglie).

Lo scopo di questo progetto è quello di analizzare l’immaginario collettivo sancascianese in relazione al futuro della medicina e alla diffusione di nuove tecnologie sempre più intelligenti, per arricchire e dettagliare ulteriormente l’analisi di contesto sul quale tutti gli altri interventi presentati in queste pagine insistono.

Il community building come valore aggiunto

Il valore aggiunto dei progetti di Comunicazione Generativa, tra i quali rientra la ricerca-azione presentata in questo articolo, è la costruzione e l’animazione di una comunità partecipante e multifunzionale, costituita da un numero sempre crescente di soggetti attivi sul territorio e interessati a lavorare fianco a fianco per operare cambiamenti nei rispettivi contesti di vita.

Attraverso la comunità che si costruisce progressivamente, si svolgono attività di raccolta e sistematizzazione di dati, analisi, survey, in-formazione ai partecipanti, co-progettazione di soluzioni migliorative della comunicazione tra istituzioni e tra istituzioni e portatori d’interesse, sperimentazione delle soluzioni.

La comunità che sta crescendo e che si sta consolidando è costituita da:

  • cittadini/e individuati/e insieme ai partner che siano rappresentativi della cittadinanza, comprendendo anche i gatekeeper di comunità locali strategiche per il progetto stesso;
  • cittadini e cittadine che – a seguito di presentazioni del progetto e altre attività di ricerca-azione sul campo – si dimostrano interessati a partecipare al progetto.

La comunità è intesa nel senso più aperto possibile e tutta la cittadinanza sarà invitata a partecipare, nel rispetto delle normative relative alla privacy e del codice etico che costituisce parte integrante del progetto.

A fronte della partecipazione, ogni cittadino otterrà in cambio:

  • proposte di soluzione ai propri problemi specifici;
  • informazioni sul funzionamento del sistema sanitario;
  • l’aumento del livello di alfabetizzazione sanitaria e alfabetizzazione digitale alla salute;
  • la soddisfazione dell’aver collaborato a un progetto di miglioramento del sistema sanitario locale.

Per assicurare il buon funzionamento della comunità, le varie figure coinvolte hanno diversi livelli di coinvolgimento e diverse funzioni, a partire dai ricercatori e dalle ricercatrici del Centro Ricerche sAu, che hanno il ruolo di coordinare e animare le attività della comunità, fino ai cittadini, che partecipano come depositari di importanti elementi di conoscenza sui servizi del sistema sanitario e sulle relative difficoltà di accesso, passando per i professionisti della salute, i partner di progetto e i membri del Comitato Tecnico Scientifico, che hanno una funzione consultiva e di collaborazione nello sviluppo di soluzioni partecipate che contribuiscano a migliorare la comunicazione tra istituzioni e cittadinanza.

Bibliografia

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[1] Il Centro Ricerche sAu è stato inaugurato nel 1991 presso l’Università di Firenze ed è iscritto al RUNTS – Registro Unico Nazionale del Terzo Settore del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – dal 21 novembre 2022.

[2] Gli ambiti di intervento del Centro Ricerche sAu, in ordine alfabetico, sono: agricoltura e sviluppo rurale, cultura e società, ricerca e terzo settore, salute e sanità, sostenibilità quotidiana e cambiamenti climatici, tecnologie per valorizzare il tocco umano.

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