Arte e Tecnologia

Concerto n.1 in Re minore: il dottor Pinoch e l’ambizione di armonizzare il mondo



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Durante una giornata piovosa e trafficata il dottor Pinoch ha un’illuminazione: l’umanità necessita di eufonia, non di silenzio. Immagina cuffie intelligenti capaci di armonizzare i suoni cacofonici urbani in musica, affrontando sfide etiche, tecniche e sociali per realizzare la sua visione di un mondo dove ogni rumore diventa arte

Pubblicato il 2 apr 2024

Lorenza Saettone

Filosofa specializzata in Epistemologia e Cognitivismo, PhD Student in Robotics and Intelligent Machines for Healthcare and Wellness of Persons



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L‘arte e la tecnologia si fondono in un connubio sempre più stretto, dando vita a espressioni creative innovative ed emozionanti. Da un lato, abbiamo artisti che sfruttano le ultime tecnologie per dare vita alle loro visioni: come il caso del dottor Pinoch e le sue cuffie intelligenti, capaci di trasformare il suono in una vera e propria esperienza sensoriale.

Dall’altro, vediamo come l‘introduzione delle nuove tecnologie ponga sfide inedite, sia a livello logistico che etico. Nell’ambito della condivisione dell’arte, siamo passati da una dimensione fisica – quella dei musei e delle gallerie – a una metafisica, dove la realtà virtuale diventa un nuovo spazio di espressione artistica.

Ma cosa significa tutto ciò per il pubblico? E come cambia il nostro approccio all’arte nell’era della sua riproduzione tecnologica?

Arte e tecnologia: una stretta connessione

Era un giorno di pioggia e di traffico come tanti altri. I fari delle auto si riflettevano sull’asfalto, trasformando le pozzanghere del vecchio continente in pozze americane. Saranno state più o meno le cinque del pomeriggio e stava rientrando a passo svelto dall’ufficio. Fu in quel momento che ebbe un’illuminazione: non era il bisogno di silenzio ciò di cui necessitava, ma di eufonia. Quando scappava in campagna, dai primi giorni di aprile fino a ottobre massimo, il ricordo di quelle giornate era di silenzio e pace, anche se in realtà non c’è luogo più rumoroso di un prato primaverile. Non è la Natura il bisogno atavico dell’uomo: l’essere umano necessita di suoni armonizzati. E che nessuno si sogni di pensare che l’opera sia naturale! L’arte e quindi anche la musica in tutte le sue versioni sono espressioni umane artificiali. Certo, direte: “Facile allora: mettiti le cuffie e che La regina della notte nasconda i suoni circostanti”. Infatti, era proprio quello il punto. È pericoloso camminare per le strade trafficate nascondendo completamente il suono ambientale. Sapete voi quanti incidenti, ogni anno, vengono procurati dalla musica a tutto volume, sia in auto, sia nelle cuffiette?

L’illuminazione del dottor Pinoch: cuffie intelligenti

Fu lì che il dottor Pinoch ebbe l’illuminazione. Bastava solamente che quel suo geniale insight fosse realizzato nel concreto, dopodiché andava brevettato, distribuito e infine tutto il mondo sarebbe stato solo musica e bellezza.

Ormai era quasi giunto alla stazione centrale di Nizza. A gennaio il sole cala sempre molto presto. La voce automatica annuncia un cambio di binario, nell’acciottolarsi dei trolley e di ragazzi che schiamazzano in qualche lingua troppo distante nel tempo generazionale per essere da lui compresa. A chi poteva domandare? Del resto, il suo campo era l’elettronica, mica le reti neurali… Ora che gli veniva in mente, c’era quel collega in Olanda che aveva automatizzato qualcosa. Non ricordava bene, ma se avesse chiesto a lui, senza spiegargli nulla di dettagliato, avrebbe sicuramente raggiunto la persona giusta.

Arte e tecnologie. Da sempre in stretto contatto. Erano entrambe scienze poietiche, riguardanti il fare e l’opera. Quando si è imposta, invece, la distanza incommensurabile tra l’artista e l’artigiano, e ancora più rispetto al tecnico? La musica e la matematica erano un uno, mentre oggi analisi uno e due sono scogli su cui nessuna sirena oserebbe cantare per la perdizione estetica. Le sirene e i tappi? Forse qui si trova la soluzione all’inghippo: delle cuffie intelligenti che armonizzino i suoni cacofonici del mondo esterno, aggiungendo, di massimalismo, note ad hoc, senza mai oscurare ciò che c’è lì fuori, anzi valorizzandolo.

Come sarà mai possibile che un trapano diventi musica? Si potrebbe rispondere che l’arte del campionamento fa tutto questo dagli inizi del 1900. Quando gli artisti poveri non potevano permettersi un’orchestra di archi, andavano per la strada e un tacco su un tombino mal messo diventava il poliritmo di una possibile hit. Questa è una buona partenza. Il punto è insegnare il concetto del bello a una IA. E quale bello? Sicuramente la musica subisce influenze culturali, quanto il cibo. Comprensibile che non basterà l’intervento di un ingegnere. Servono musicisti; servono antropologi; servono filosofi! Anche l’etica non è da trascurare. E la legge. Caspita, quante persone da dover coinvolgere!

Le potenziali problematiche dell’innovazione

Fu lì, che al dottor Pinoch vennero in mente tutta una serie di problematiche umane e sociali. E se un musicista poco ispirato, o, peggio, privo di talento ascoltasse un concerto e l’IA nelle orecchie aggiungesse quel tanto che basta da ovviare al plagio? Avrebbe un’opera bell’e pronta senza bisogno del genio personale! Sarebbe lecito che l’uditore se ne appropriasse, registrando l’ispirazione ingenerata dalla IA nel suo padiglione auricolare? O sarebbe spionaggio? Certamente nessun dato raccolto dai microfoni potrebbe essere utilizzato, se non per migliorare la rete stessa. In caso contrario quell’invenzione diventerebbe una finestra (statale o privata) sul mondo; un balivo di memoria feudale incaricato di spiare se nelle varie zone del Regno si rispettava la centralità.

Che poi ci sarà ancora necessità di arte e di luoghi eufonici specifici, come la campagna, se qualunque via trafficata o voce stridente diventeranno musica? La musica è sempre stata una specie di luogo\momento magico, rigorosamente separato dal resto dell’esistenza del quotidiano, entro cui purificarsi e costruire un gruppo etico di eletti. Se tutto sarà musica non ci sarà più necessità dell’artista… Al contrario qualcuno potrebbe maturare il bisogno di cacofonia. Pinoch si domandava cosa fosse la musica. Un’organizzazione, la parvenza di un ordine. Se tutto diventasse organizzato non sarebbe altro che ossessione: nemmeno Dio sopportò tale compiutezza, creando il perfettibile.

Il text to image e la prospettiva di Dio

Mentre pensava a ogni eventuale deriva e alla creazione umana, artificiale, del Dio (ovvero la Natura) si sorprese di essere già arrivato alla porta di casa sua. In un attimo era seduto sul divano. Come ripresosi da una trance, tirò su gli occhi e vide appese al muro sequenze di numeri e lettere. L’hash della transazione, 0x9f9c424858073f4f059fm1d5b985ed60fee984e3d631f8ae84b45f986992ba125, spiccava sul muro dell’appartamento nella zona di Mentone. Intanto, parallelamente, sulle pareti virtuali di M00ndo mostrava un’opera d’arte in RGB: si trattava di un bellissimo quadro di cui era entrato in possesso attraverso il sito di compravendita di Nft: Opensea. Sfondo bianco, strane forme geometriche che all’ingegnere ricordavano quasi una circuiteria aliena.

Qualche anno prima qualcuno si era inventato di associare all’anagrafe l’immagine certificata del proprio volto. Da piccoli l’obbligo di rinnovo era annuale; al raggiungimento della maturità, ogni individuo era forzato ad aggiornare la catena ogni quattro anni. La certificazione su blockchain del proprio aspetto doveva valere come possesso dell’estetica, altrimenti facilmente replicabile da qualunque rete neurale. C’era stato un momento in cui la testimonianza era venuta meno. La prova cruciale non poteva più provenire da riprese digitali o scatti. Era lecito dubitare di qualunque cosa. A questo punto ciò che valeva come certificato di autenticità per l’arte da parecchi anni fu adottato sia per la votazione democratica sia per il copyright sul proprio volto. In questo modo anche online era possibile ottenere la spunta di certificazione oppure preferire di presentarsi con un personaggio di fantasia, ma dichiarandolo con la dicitura “IA” nella descrizione e con l’assenza del bollino associato all’ID della transazione.

In buona sostanza il text to image generato dalle IA ci ha fatto capire la prospettiva di Dio: il verbo che diventa essere. Ovviamente non è Dio, ma la sua simulazione, una metafora, come una metafora è la RAM per spiegare come è possibile si funzioni noi e l’immagazzinamento in memoria. “Genera l’immagine di un coniglio, come se fosse fatto in olio su tela. Il coniglio deve indossare una tuta spaziale; lo stile un po’onirico, cute. L’ambiente è quello di un praticello di un esopianeta, dai toni violacei, frutti strani al posto dei fiori”.

Ed è qui che arriva il bello. Troppo facile dire che il Verbo crea. Adesso ci troviamo di fronte a quattro mondi possibili, a quattro situazioni alternative come quelle che Leibniz ipotizzava per la Creazione. Era tramite la scelta del Dio, di quello che Gli pareva il migliore tra i vari progetti, che veniva inserita la contingenza nella Sua necessità e quindi il libero arbitrio, e con esso la responsabilità. Il ruolo dell’artefice demiurgo non è quello di avere sottomano l’inevitabile. La regia e infine il mondo migliore possibile sono frutto di una responsabilità personale. Dal momento in cui Dio stesso scelse, venne inserita nell’esistenza la libertà e il bene e il male entro cui poter scegliere. Lo stesso si applichi alle tecnologie generative, mutatis mutandis. Possono essere bene o male; dal momento in cui liberamente viene scelta qualcosa, solo lì si innesta il merito o la colpa. Umani. Va sempre tenuto conto che anche quando si tratta di una scelta di una delle quattro realtà, essa non sarà mai la perfezione, caro il mio dottor Pangloss. È solo la migliore delle possibilità, in senso comparativo, mai assoluto. E il metro è sempre il giudizio dell’essere umano che guarda e che se la può credere. Insomma, Dio se la crede.

La realtà virtuale come nuovo spazio di espressione artistica

Pinoch riteneva che la metafisica fosse un atto di libertà meraviglioso, ma di certo fa venire una gran fame tutto quel pensare svincolato dalla realtà ed è la fame che ci fa tornare in una condizione di necessità del concreto. Nessun filosofo, insomma, è mai morto di fame la filosofia è una questione di mente e di pancia… piena. È un lusso.

La casa in cui viveva era una sorta di scatola tecnologica, era come se abitasse dentro a un robot. Pinoch somigliava molto a una lumachina chiusa in una conchiglia automatizzata, senza la quale non avrebbe potuto sopravvivere a lungo. Era tutto etero-deciso: accensioni smart e cibi che si auto-preparavano, in base a scadenze, impronta di carbonio permessa e digital twin. Da quando il Ministero approvò il doppelganger digitale nessuno poteva sfuggire alla prevenzione stabilita dalla statistica. Il doppio digitale veniva creato con i dati biometrici dei dispositivi indossabili, dalle scelte e abitudini, dal DNA computato dalla nascita. Grazie a tutto questo ammontare di informazioni, veniva ricreato un doppio con cui prevedere gli esiti più probabili. Qualora il sosia di zeri e uno avesse sviluppato in anticipo il diabete, il digital twin sarebbe stato curato attraverso cambi comportamentali decisi dalla statistica, (solo nei casi estremi si doveva ricorrere alla somministrazione di farmaci e del taglia-e-cuci dei geni con tecnica CRISPR). Se il gemello digitale avesse risposto bene, allora ogni scelta adottata a livello ipotetico, sarebbe stata seguita pedissequamente anche sull’organismo. Il fine era curare il digital twin al posto dell’archetipo in carne ed ossa. Nessuno poteva sottrarsi: la salute era un dovere sociale.

L’Ombra, in questo modo, invecchiava prima, si ammalava prima, e quindi si sacrificava per gli esseri umani, i quali scampavamo al suo destino, quello del doppio digitale. Chi dei due era organismo vivente, se chi moriva e chi cambiava in misura maggiore era lui? Da un lato avevamo un’esistenza artistica, derivata, immutabile, sugli spazi virtuali del Metaverso come M00ndo, nei quali anche la morte non esisteva; dall’altra avevamo un doppio somatico, più realistico di noi stessi, custodito dai medici dell’Assistenza Sanitaria, e interfacciato con tutti gli oggetti intelligenti a loro volta collegati con le nostre azioni\corpi\menti, da cui in definitiva prendevamo le mosse, per realizzare il miglior mondo possibile. Venne chiamato “PAR: Programma Astuzia della Ragione”. Se tutto ciò che è Razionale è Reale, perché deve esserlo, allora che si affidi il progetto logico alla IA e ai dati: Spirito o Idea prima della Natura.

L’obiettivo di tutti era non riconoscersi più nell’avatar medico, scorporando l’imperfezione e conservando una sorta di semi-eternità; di semi-perfezione. Era un ritratto di Dorian Gray medicalizzato e Basil una IA. Pinoch si sentiva una specie di Dorian, tra due livelli di arte: quello estetico, con cui esistere e mostrarsi, concretizzazione dell’ideale e quello medico, scorporazione del corpo, mentre lui, a metà strada, come l’eros del Simposio, a fare da spola tra l’inevitabile decadenza, ma in afflato vero la perfezione. Il bello, il bello è l’energia per la sublimazione, per l’innalzamento.

Ma come implementarlo in una macchina? Come insegnare a organizzare i suoni esterni in armonie. Cos’è l’armonia? Doveva risolvere questo problema se voleva sottoporre la propria idea a un team di sviluppatori e data scientists.

La musica è una organizzazione, ma di silenzi e di pieni. È necessario che, se c’è un colpo di martello, la macchina sappia improvvisare il giusto tempo, l’attesa e il riempimento. E quale scelta ritmica? Il cuore? Il livello di stress? L’azione che si sta portando a termine? Quindi deve sapere le motivazioni e tutta una serie di parametri giornalieri. Imprescindibile l’accesso all’avatar medico. Forse allora potrebbe trovare un finanziamento nel momento in cui facesse passare l’arte come strumento diagnostico, motivazionale, organizzativo. Se il soggetto abbisogna di dormire e il problema è che viene costantemente svegliato da rumori provenienti dalla strada limitrofa, allora quel brusio deve essere equalizzato e unito con frequenze già impiegate nella mindfulness. Incorporare il mondo perché esso sia di vantaggio.

Ma l’arte in tutto questo… È ancora arte o è un programma comportamentista? Un videogame Capcom sta alla gamification come un concerto di Bach sta alle cuffie armonizzanti? E cosa ne è della condivisione? La musica, il bello ha come effetto il creare comunità. Anche quando una persona stesse tornando in auto da Milano centrale alla periferia, e bloccata sulla tangenziale accendesse il Concerto n.1 in Re minore per Clavicembalo e Orchestra e fosse da solo, poi potrebbe sempre condividere quell’esperienza e chiunque altro la comprenderebbe. L’arte se fosse individuale, astratta, non esisterebbe affatto; al contrario, visto che esiste, essa è il risultato dello scambio. Per quanto ogni sentire resti soggettivo, visto che se ne può parlare, essa è riproducibile. Con buona pace di Benjamin per il quale l’opera d’arte non può essere duplicata. Sì, non sarà mai una copia carbone, ma in questo mondo non esiste l’uguale perfetto, né al teatro né sulla pellicola del cinematografo. Provate a disegnare concretamente due quadrati su un foglio: al microscopio le righe, per quanto precise, saranno tutte differenti. E nemmeno il digitale ricopia. Sullo schermo i quadrati, i pixel sono uguali? Fino a un certo punto, c’è sempre una condizione di luminosità che li farà diversi alla vista. Il fenomeno è quel che conta: il soggetto che percepisce. Tuttavia, per quanto vi sia una sbavatura di differenza nella matita che traccia la linea, un’esecuzione diversa dell’Allegro di Bach, poiché se ne può parlare, allora deve esistere un qualcosa che rende comunque uguali gli oggetti e le menti che ne fanno esperienza. La riproduzione dell’opera d’arte è diversa quel tanto che basta dall’archetipo da non essere una copia ed è uguale quel tanto che basta da avere lo stesso valore estetico. Con le cuffiette di Pinoch ognuno avrebbe il proprio suono. Di uguale il trapano, di diverso l’artificazione, con il risultato che forse nessuno la percepirebbe più come tale. Il bello si sente, sì, ma nella condivisione.

Conclusioni

Non ci siamo… Pinoch aveva toppato. L’essere umano ha bisogno di situazioni cacofoniche perché diventi necessaria l’arte musicale, e l’arte ha bisogno della comunità e la comunità si regge proprio sul reciproco testimoniare il bello. L’arte è pubblica, nello stesso modo della cognizione, della realtà, del linguaggio, delle istituzioni e così via. Non c’entra chi la crea, chi trae ispirazione, non c’entra la tecnica o l’istanziazione dell’opera in sé (Billie Jean è Billie Jean sempre, sia che venga suonata con flauto, con la chitarra o riprodotta solo con la voce): il punto è chi la percepisce, il destinatario. Il punto è che nell’arte non scompaia il pubblico.

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