Dalle piccole e medie imprese che costituiscono il tessuto imprenditoriale italiano e dai cittadini si alza una lamentela sul tema delle competenze digitali, che il decreto Crescita 2.0 non tocca.
La posizione delle PMI è ben spiegata da Roberto Magliulo, Vice Presidente di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici e del CNCT (Comitato Nazionale di Coordinamento Territoriale) dell’associazione: “Per quanto riguarda le imprese, il decreto punta sulle startup, e questo è apprezzabile sul campo dell’innovazione. Ma trascura tutto il mondo delle piccole e medie imprese già esistenti. In questo settore esistono aziende che soffrono di un digital divide più culturale che strutturale”.
“Si tratta di attività che hanno una lunga storia alle spalle, nate e cresciute prima dell’era digitale, che per motivi generazionali o culturali non hanno colto l’occasione di avvicinarsi alla rete e alle tecnologie innovative”, osserva Magliulo. In Italia sono molto diffuse realtà guidate dal fondatore, che intorno a sé ha pochi collaboratori: chi segue le incombenze amministrative sfrutta la rete per elementi basilari (connessione a Internet, utilizzo dell’e-mail), mentre chi si concentra sulle attività progettuali e produttive spesso utilizzano tecniche poco evolute: “Anche a queste aziende si dovrebbero offrire opportunità di agevolazioni, per investire nelle nuove tecnologie e nella formazione delle risorse interne. Per non parlare di commercio elettronico: le misure che inizialmente erano state previste in questo settore, anche per favorire le esportazioni di prodotti italiani, sono state eliminate”.
L’Italia è piena di realtà dalle grandi potenzialità, ma con le ali tarpate: si va dalle piccole imprese manifatturiere, con progettisti che lavorano ancora con il tecnigrafo (anziché con una moderna stazione CAD), alle aziende produttive o commerciali che hanno solo una modesta “presenza sul web” in una directory – o in un proprio sito, magari autoprodotto – su cui hanno pubblicato qualche foto di prodotti in vendita (anziché uno showroom e un negozio virtuale, o un configuratore di prodotto, che consentirebbe acquisti online da parte di clienti da tutto il mondo).
“Naturalmente il decreto non scende in dettagli che saranno approfonditi da provvedimenti attuativi”, prosegue il presidente di Confindustria S.I. “ma si tratta di problematiche che, per essere affrontate, richiedono tempistiche piuttosto lunghe. E’ indispensabile che il lavoro del governo continui, ma questa legislatura ha di fronte a se’ ancora pochi mesi per lavorare, quindi è altrettanto indispensabile che il prossimo governo non perda tempo e prosegua nella stessa direzione”. Non mancano comunque note ottimistiche: “Il decreto è un primo passo per spingere l’innovazione in un contesto molto complesso da affrontare. E’ positivo, fra le misure previste, che sia stata prevista l’introduzione di appalti pre-commerciali per servizi di ricerca, per favorire lo sviluppo di nuove soluzioni industriali”.
“L’auspicio – aggiunge Magliulo – è che i risultati concreti possano arrivare anche dall’attività svolta dall’Agenzia Digitale, anche se non è ancora chiaro quale sia la sua struttura e in che modo opererà. Al momento per ora si parla molto della nomina del direttore e dell’esecutivo, da parte nostra, la speranza è che si tratti di figure attente e competenti nel settore, più che di figure politiche”.
La posizione dei cittadini, nella loro veste di consumatori e utilizzatori finali di quanto previsto nell’Agenda Digitale in sviluppo, ci viene illustrata da Pietro Giordano, segretario generale di Adiconsum: “Il decreto italiano non rispetta l’Agenda digitale europea, che a differenza della nostra insiste sulla necessità di formare un cittadino europeo fiducioso nella Rete”.
“Il Governo Monti nel Decreto sviluppo 2.0 ha scelto di invogliare la realizzazione di nuovi servizi digitali partendo dal presupposto che i cittadini li utilizzeranno perché per legge sono gli unici utilizzabili. Adiconsum la ritiene inadeguata in quanto non prevede alcuna attività di informazione e formazione ai consumatori. Digitalizzare l’impresa e la Pubblica Amministrazione è solo un primo passo per il rilancio del Paese! Se i cittadini infatti non sono messi nelle condizioni reali di saper utilizzare le nuove tecnologie, l’Agenda digitale italiana si trasforma solo in un grande spot pubblicitario e in un nuovo modo per finanziare le imprese”.
Con quali mezzi dovrebbero essere messi a disposizione degli italiani, per beneficiare delle nuove tecnologie? “Il decreto sviluppo 2.0 avrebbe dovuto stanziare fondi per progetti utili alla formazione del cittadino digitale in collaborazione con le Associazioni Consumatori e le Associazioni di assistenza ai cittadini. Sempre ad avviso di Adiconsum, il Decreto Sviluppo bis avrebbe dovuto prevedere organismi di controllo e di denuncia per i crimini online quali furto d’identità, finti siti e vendite online scorrette; modalità extragiudiziali per risolvere i contenziosi del commercio elettronico e dare maggiori sicurezze e tutele ai Consumatori”.
“Adiconsum auspica quindi – conclude Pietro Giordano – un’integrazione al decreto sviluppo, da realizzarsi in collaborazione con le Associazioni dei consumatori, fino ad ora non coinvolte nell’Agenda digitale, che ponga al centro la formazione del cittadino digitale”.
In materia di competenze digitali, imprese e cittadini esprimono dunque la necessità di proposte ben strutturate. In quest’ottica, le iniziative finora previste dal Miur possono essere considerate solo un’anteprima. Una prima risposta a queste esigenze viene dai privati: si veda protocollo d’intesa triennale siglato qualche giorno fa tra Telecom Italia e Unioncamere, che si propone proprio di favorire la diffusione delle infrastrutture di rete a banda larga ed estendere la cultura dell’innovazione digitale presso piccole imprese e distretti industriali. L’obiettivo dichiarato è la realizzazione di un programma nazionale di conoscenza verso le nuove tecnologie, attuabile anche con forme di cooperazione pubblico-privato, che porti ad una maggiore competitività di sistemi d’ impresa e sistemi territoriali.
Qualcosa sta facendo anche la Regione Lombardia, con un bando da 4,2 milioni di euro (risorse a fondo perduto per aziende che investono nel digitale). Se ne parla oggi a Smau. Così, mentre in Italia si spende sempre meno in IT, una delle lacune dell’Agenda è l’assenza di un piano strutturato per le competenze digitali. Almeno per ora.