trasparenza e partecipazione

Consultazioni pubbliche: le regole in Italia ci sono, basterebbe rispettarle

La gestione della consultazione pubblica sulla riforma del Codice degli appalti dal parte del MIT conferma il ritardo culturale del nostro Paese nel migliorare e moltiplicare gli strumenti di partecipazione dei cittadini ai processi decisionali. Eppure abbiamo regole chiare, perché vengono ignorate?

Pubblicato il 27 Gen 2023

Federico Anghelé

Direttore The Good Lobby

Fabio Rotondo

The Good Lobby

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Che l’Italia non avesse mai preso troppo sul serio le consultazioni pubbliche ce ne eravamo già accorti. Non ci saremmo però aspettati una conferma così smaccata.

Il casus belli

Il casus belli è scoppiato su Twitter: lo scorso 24 novembre il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture twittava con soddisfazione di aver già ricevuto 30 pareri di qualità nella consultazione sulla riforma del Codice degli appalti.

Nessuna delle organizzazioni della cittadinanza attiva impegnate sul fronte della trasparenza e del monitoraggio della spesa pubblica ne era stata informata, e lo stesso sito del ministero dava notizia di una (introvabile) consultazione apertasi il 23 e destinata a chiudersi il 25 novembre. Solamente 48 ore per inviare il proprio parere su un tema importante, certamente degno di approfondimenti.

La nostra segnalazione pubblica ha permesso di riaprire i termini della chiusura della consultazione, consentendo ad alcune organizzazioni che si occupano di monitoraggio del PNRR di far pervenire il loro punto di vista al Ministero. Ma di quante altre bad practices non veniamo a conoscenza? Quante altre consultazioni non tengono conto delle regole base che dovrebbero contraddistinguere questo metodo di ascolto degli stakeholder e di acquisizione dei loro pareri qualificati?

Nel caso del MIT, alcuni errori erano stati davvero macroscopici: mancata pubblicizzazione della consultazione; tempi eccessivamente serrati per partecipare; selezione opaca degli interlocutori; nessuna chiarezza sul percorso partecipativo.

Le regole sulle consultazioni pubbliche ci sono: ecco quali sono

Eppure il nostro Paese si era già dato regole chiare sulle consultazioni pubbliche, a partire dalla Direttiva 2/2017, firmata dall’allora Ministra della Pubblica Amministrazione Marianna Madia, con cui si raccomandava alle PA di organizzare consultazioni, anche telematiche, secondo le linee guida stilate dal Dipartimento della funzione pubblica in collaborazione con la società civile aderente all’Open Government Partnership. Le linee guida si avvalgono delle principali analisi internazionali sulla materia, come quelle dell’OCSE (2009, 2016), dell’OGP (2016) e le raccomandazioni del Consiglio d’Europa del 1999.

Secondo le linee guida del Dipartimento della Funzione pubblica, le PA avrebbero dovuto considerare le consultazioni pubbliche come “fase essenziale” del processo decisionale. Compito primario, quello di pubblicizzarle adeguatamente per consentire la più ampia partecipazione e investire risorse (finanziarie, logistiche, tecnologiche e umane) per garantirne l’efficacia. L’impegno richiesto alle amministrazioni era anche quello di promuovere la cultura della partecipazione e coinvolgere le associazioni rappresentative per creare un “ecosistema partecipativo e responsabile”.

Come dovrebbe farsi una consultazione pubblica

Gli obiettivi della consultazione così come l’oggetto, i destinatari, i ruoli e i metodi dovrebbero essere definiti in modo chiaro prima del suo avvio. L’amministrazione dovrebbe anche esplicitare se l’esito della consultazione è vincolante oppure no rispetto alle scelte pubbliche.

Trasparenza e pubblicazione

Il contenuto e la documentazione informativa, inoltre, devono essere formulate in un linguaggio semplice e chiaro. Nell’ottica della trasparenza, oltre ad una campagna di comunicazione, l’amministrazione si dovrebbe impegnare a pubblicare i risultati della consultazione con i commenti ricevuti (nel rispetto della privacy), il numero dei partecipanti, eventuali testi allegati e i costi sostenuti per l’organizzazione. Questo aspetto è molto importante perché, come dimostrato da una ricerca di Lind e Arndt (2016) e ripreso dalle linee guida Ocse (2018), quando gli stakeholder notano che le loro opinioni sono state considerate dalle amministrazioni che offrono un riscontro puntuale ai commenti pervenuti, si sentono trattati con rispetto. Al contrario, se la consultazione viene svolta in maniera superficiale o per esempio si fallisce nel dimostrare come i contributi dei partecipanti siano stati utilizzati, si genera una grande sfiducia verso le istituzioni e i processi partecipativi stessi.

Principio di inclusione e scelta della modalità della consultazione

Per garantire il principio di inclusione, l’amministrazione dovrebbe inoltre stabilire se la consultazione sarà in modalità online, offline o mista. La scelta della modalità è utile per non pregiudicare la partecipazione a nessuno per motivi logistici, tecnologici, di sicurezza, socio economici, culturali, religiosi e di genere. Infine, l’amministrazione deve garantire la partecipazione stabilendo e comunicando, con largo anticipo, l’inizio e la conclusione del processo consultivo che dovrebbe durare tra le 8 e le 12 settimane.

Il flop della piattaforma ParteciPA

Due anni dopo le linee guida sulle consultazioni, nel 2019, nell’ambito del 4° Piano Nazionale d’azione per il governo aperto il Dipartimento della funzione pubblica e quello per le riforme istituzionali danno avvio alla piattaforma opensource ParteciPA, che nasce con l’ambizione di stimolare, da una parte, i processi partecipativi pubblici in Italia e, dall’altra, di creare uno strumento unico nazionale, messo a disposizione di tutte le amministrazioni pubbliche che siano statali, regionali o locali.

A distanza di più di 3 anni dal lancio della piattaforma, non si può dire che essa abbia riscosso un grande successo: sono pochissime le amministrazioni che conoscono e si avvalgono di tale strumento e il numero esiguo di processi partecipativi che popolano ParteciPA testimonia un fallimento che ci auguriamo sia solo temporaneo. Una certa allergia nei confronti delle consultazioni si era già vista nel corso della discussione sulla legge per la regolamentazione del lobbying votata a inizio 2022 dalla Camera. Sebbene la maggior parte degli esperti auditi dalle Commissioni parlamentari avesse chiesto di moltiplicare le opportunità di partecipazione da parte degli stakeholder, il Parlamento ha mostrato una certa resistenza a rendere tassative le consultazioni per le istituzioni in occasione dell’istruttoria di provvedimenti normativi.

Conclusioni

Il ritardo culturale italiano stona con l’ampio dibattito in piedi in Europa per migliorare e moltiplicare gli strumenti di consultazione nell’ambito dei processi decisionali dell’Unione Europea. Le istituzioni comunitarie si avvalgono già largamente delle consultazioni, partendo da un assunto teorico secondo il quale una cattiva regolamentazione influisca in modo negativo sul funzionamento della società. Coinvolgendo i cittadini nel processo decisionale, quindi, si migliorerebbe la qualità e la legittimità delle decisioni pubbliche. La consultazione pubblica è quindi uno degli strumenti delle politiche di Better Regulation, finalizzata a creare norme efficienti e legittimate dalla popolazione. Legittimazione di cui le nostre istituzioni avrebbero un enorme bisogno.

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