umanesimo vs scienza

Contro l’analfabetismo scientifico degli italiani bisogna abbattere i muri tra ricerca e cultura

Una scuola che privilegia la cultura umanistica rispetto a quella scientifica combinata all’atteggiamento ai limiti dell’arroganza culturale del mondo della ricerca ha generato un Paese i cui cittadini riconoscono le opere di Leonardo o Caravaggio ma non sanno cosa sia una cellula. Eppure le due cose dovrebbero convivere

Pubblicato il 23 Nov 2022

Francesco Beltrame Quattrocchi

Ordinario di Bioingegneria Università degli Studi di Genova; Presidente di ENR - Ente Nazionale di Ricerca e promozione per la standardizzazione

open science

In Italia, l’evento pandemico e la crisi energetica hanno reso manifesta a tutti la difficoltà di articolare e comunicare in modo adeguato riflessioni, motivazioni e corrispondenti decisioni operative a chi di competenza riguardo materie che hanno, alla fine, a che fare col discorso scientifico.

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Cultura umanistica e scientifica: perché due club separati?

Nulla di nuovo sotto il sole, in realtà. Dal tempo dell’unità d’Italia in particolare, ma pure nei secoli precedenti, è stato così: una situazione frutto di un atteggiamento culturale che, a dispetto di Galileo, per tante ragioni, le più diverse, ha in modo più o meno cosciente relegato la cultura scientifica come cosa di serie B, rispetto a quella umanistica, intesa sempre come la cultura, quella con la “C” maiuscola. Controprova ne è che esiste in Italia un dicastero per i Beni Culturali, che sono considerati patrimonio della nazione italiana, non così certamente per la ricerca scientifica e per i pur suoi rilevanti scienziati e risultati a livello mondiale (si pensi soltanto a Enrico Fermi e alla fisica), valutati in termini di bilancio quasi come oggetto del conto economico e non di quello patrimoniale. Nel tempo passato, in Occidente e in Oriente, non fu così: si pensi solo ad Aristotele e a Confucio. Gli uomini di cultura di quei tempi antichi erano personaggi colti a tutto tondo, ricchi di cultura umanistica e scientifica, ferma restando la complessità di entrambi gli ambiti di riferimento.

Col passare dei secoli, specialmente in Italia, invece il divario è andato formandosi e progressivamente la forbice si è allargata, con un duplice effetto, quello di creare due club separati (due vasi poco comunicanti fra loro) e quello di generare ovviamente una comunicazione più semplice e dunque immediata e percepibile dalla stragrande maggioranza dei cittadini per la parte umanistica. Basti citare, in Italia, il pensiero di Benedetto Croce e l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana (la Treccani). Se è vero che la ricerca scientifica richiede un metodo logico e, soprattutto, un linguaggio certamente più complesso da apprendere per essere percepita, rispetto a un’opera d’arte pittorica o letteraria o monumentale, è anche vero che troppo poco i fisici, i chimici, i matematici, i biologi, si sono adoperati per comunicare all’esterno i loro peraltro rilevantissimi risultati: si pensi solo a quelli relativi alla salute delle persone.

Alle origini dell’analfabetismo scientifico dei cittadini

Ritenendosi detentori del “vero”, hanno frequentemente trascurato di “coltivare” i bisogni e le domande dell’umanità: un arroccamento quasi autoreferenziale, finalizzato sovente a produrre certamente nuova conoscenza, senza porsi però il problema del valore di tali nuove conoscenze, almeno a livello di scala di priorità in relazione alle domande dei cittadini, dei loro bisogni, finendo per ottenere un vero e proprio analfabetismo scientifico nel cittadino, incapace di comprendere le loro pur sudatissime pubblicazioni che raccontano i loro eccellenti risultati. Tutto ciò non è mai accaduto (anche se negli ultimi decenni sono da registrare pure in questo caso abbassamenti dell’asticella valoriale) in ambito umanistico.

Il combinato-disposto di una scuola che privilegia (per certi versi, correttamente) in Italia la cultura umanistica rispetto a quella scientifica con l’atteggiamento ai limiti dell’arroganza culturale del mondo della ricerca scientifica (quella vera non è così!) ha generato la situazione attuale. I cittadini italiani facilmente riconoscono Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, Caravaggio e percepiscono in pieno la bellezza e la potenza delle loro opere, ma non distinguono un virus da un batterio, non sanno cosa voglia dire gas, potenza, le forme di energia, cosa significhi fare una misura e che misurare comporta commettere degli errori. Pochissimi conoscono Boltzmann, i principi della termodinamica, l’entropia e il suo significato, cosa sia il sangue o un’arteria rispetto a una vena, una cellula, come si realizzi nel corpo umano la visione degli oggetti o l’ascolto dei suoni.

I benefici di una divulgazione scientifica “a la Quark”

In Italia, la RAI molto ha fatto col maestro Alberto Manzi e la sua indimenticabile trasmissione “Non è mai troppo tardi” per alfabetizzare tante persone, ma ci sono voluti decenni per arrivare a “Quark” di Piero Angela, che pure ha ben dimostrato che la divulgazione scientifica possa essere fatta in modo corretto, efficace ed efficiente: egli era come la voce della scienza per i cittadini. Esistono anche svariati e non meglio definiti eventi denominati “festival della scienza”, ma il loro impatto non è certo comparabile a quelli delle trasmissioni di Piero Angela. Anzi, il termine stesso “festival” finisce a volte per degradare nella percezione comune il pur lodevole proposito dei “festival” medesimi: come fosse il festival di Sanremo o, peggio, una sagra di paese, dove le persone vanno per passare il tempo e per distrarsi un po’, facendo finta di essere capaci di prestare attenzione alle cose scientifiche dalle quali, purtroppo, continuano a restare troppo estranee.

Molto potrebbe essere fatto invece dai ricercatori, ove essi, ferma restando una quota di loro libera creatività sulle cose più “difficili” e lontane come ricadute, si rendessero conto che la maggior parte della loro attività di ricerca può generare nuova conoscenza corredata di valore per chi esprima un certo bisogno (per esempio, di cura della salute) soltanto a patto di progettare, sviluppare e verificare sul campo un’offerta di prodotti, processi e altro, dettata dalla domanda di chi esprima il bisogno. Questo richiede da parte di chi fa ricerca scientifica un bagno di umiltà nella cultura di coloro che esprimono la domanda, altrimenti il rischio altissimo è quello di produrre soluzioni anche molto brillanti alla ricerca di problemi da soddisfare. Invece, logica vuole che siano i bisogni a governare il processo di generazione dell’offerta di qualcosa che possa essere anche di aiuto parziale a soddisfarli.

Il valore che potrebbe nascere dalla simbiosi tra ricerca e cultura

Ecco così che i due termini, ricerca e cultura si congiungono e vivono in simbiosi per generare valore efficace in un dato ambito. Del resto, così suggerisce anche l’etimologia delle due parole: “ricerca” viene dal latino da re (rafforzativo) circum ire, ovvero andare attorno a un determinato ambiente o territorio: ma solo a patto che quell’ambito o territorio sia stato coltivato (ecco il termine “cultura”), posso avere la speranza (non certo la certezza!) di trovare qualche frutto: senza cultura di quel certo dominio, invece, nessun frutto potrà venire per quell’ambito.

Se quanto rappresentato fosse inteso da chi di competenza, si potrebbe pensare di ridurre la forbice già sopra menzionata e tornare a persone che fanno ricerca colte, come ai tempi di Aristotele e Confucio, con vantaggio per tutti.

Ma c’è di più. Il binomio ricerca cultura risulterebbe un elemento fondante a livello metodologico per definire la sfera della politica industriale sul breve, medio e lungo termine, per l’Italia, assente da troppi decenni.

La definizione di questa sfera potrebbe essere utilmente collegata alla sfera della ricerca cultura nel senso di cui sopra, attraverso la sfera intermedia dell’innovazione intesa in senso lato, ovvero antropologica, sociale, tecnologica, creando una vera e propria catena del valore per l’economia italiana, questa volta sì percepibile dal cittadino, così come egli percepisce il patrimonio culturale italiano. Egli, così alfabetizzato, potrebbe essere attore consapevole di scelte sulla propria salute, sulle materie prime e le tipologie di risorse energetiche per lui fondamentali, conoscendo ciò di cui parla, senza rischio di essere manipolato dai mezzi di comunicazione, spesso portatori di interessi quanto meno sghembi rispetto al merito.

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