Da circa un mese è terminato il World Economic Forum che quest’anno ha trattato in modo particolare il tema della quarta rivoluzione industriale. Purtroppo l’opinione pubblica viene toccata solo limitatamente dai lavori del WEF e invece i temi trattati sono importantissimi ed hanno un impatto enorme nella vita di tutti noi, primo tra tutti il futuro, terribilmente prossimo, del lavoro in un modo in cui i progressi tecnologici stanno trasformando ogni settore dell’attività umana ad una velocità mai sperimentata precedentemente.
La sostanziale impreparazione del nostro Paese a far fronte alla trasformazione sociale che l’automazione del lavoro porterà nei prossimi anni è uno dei motivi principali che, insieme alla necessità di modernizzare la macchina amministrativa dello Stato, mi ha portato alla candidatura alla Camera dei Deputati. Il primo problema da affrontare, mi dissi nel 2013, è sicuramente portare consapevolezza della trasformazione digitale, dei suoi tempi, velocissimi, e della sua portata, amplissima. Cercare di far comprendere l’urgenza della questione lì dove si fanno le regole.
La prima volta che, nel 2013, ho parlato di queste tematiche ad un ristretto gruppo di deputati, tutti esperti di materie economiche, cercando di spiegare loro che la rivoluzione digitale sta cambiando radicalmente il mondo del lavoro e che è necessario adattare il nostro sistema scolastico e della formazione oltre a quello del welfare lavorativo, il deputato che aveva più “esperienza” politica tra coloro che erano presenti, mi ha liquidato dicendo che “le tecnologie hanno sempre cancellato alcuni lavori, ma ne hanno sempre creati di nuovi e il bilancio è sempre stato positivo”.
E’ sicuramente vero, ma questa volta le cose sono diverse per un paio di motivi. Il primo riguarda la velocità di sostituzione e cambiamento, che questa volta è vertiginosa e in accelerazione. La seconda, più importante, riguarda le competenze necessarie nei nuovi lavori che a differenza del passato sono praticamente tutti nel livello alto di conoscenza e creatività. Detto in altre parole, se è vero che nel passato l’automazione ha portato, ad esempio, i lavoratori dai campi alle fabbriche, è anche vero che il salto di competenza tra il lavoro dei campi e quello alla catena di montaggio non era eccessivo. Anche nel passaggi dalle fabbriche al mondo dei servizi sono sempre esistite mansioni che non richiedessero particolari competenze. Sono stati creati molti lavori nuovi che richiedevano personale sempre più specializzato, ma ci sono sempre stati anche posti di lavoro per personale con un livello di competenze medio-basso. Ora, invece, accade che i successi nei campi della robotica e dell’intelligenza artificiale fanno presagire un mercato del lavoro suddiviso in due gruppi ben separati. Da una parte i lavori a basse competenze e basso salario e dall’altra quelli ad alte competenze alto salario. Nel mezzo le macchine e i software. Anche di questo hanno parlato al Word Economic Forum quest’anno. Klaus Schwab, fondatore del WEF, scrive in un articolo datato 12 gennaio: “…sono convinto di una cosa: che in futuro, il talento, più che il capitale, rappresenterà il fattore critico della produzione. Questo darà luogo ad un mercato del lavoro sempre più segregato in segmenti “low-skill / low-pay” e “high-skill / high-pay”, che a sua volta porterà ad un aumento delle tensioni sociali. “
Ecco il punto: il rischio di aumento delle tensioni sociali è molto alto. Come fare per ridurre al minimo queste tensioni? Come dobbiamo attrezzarci per trarre dalla rivoluzione digitale in atto il massimo beneficio riducendo al minimo i rischi?
Sicuramente l’ipotesi “neo-luddista”, con il conseguente rifiuto o rallentamento del cambiamento non può essere la scelta giusta, perché in un mondo fortemente globalizzato, reso sempre più piccolo dalla presenza di Internet che annulla costi e tempi dell’accesso all’informazione, non cambiare significa perdere in competitività e quindi in capacità di crescere e produrre progresso e benessere.
Altrettanto sicuramente la soluzione, troppo spesso praticata dal nostro Paese, di attendere e accodarsi non può essere sufficiente. Se nel passato ci ha creato problemi obbligandoci a rincorrere, sempre in affanno, i “migliori della classe”, questa volta, a causa delle dinamiche esponenziali del cambiamento digitale, quei “migliori” non vanno a velocità costante, ma sono in accelerazione e il nostro rincorrere vedrebbe la distanza aumentare sempre di più.
L’unica possibilità è anticipare, accelerare più di loro, costruire il futuro, ma per farlo occorre passare dalla retorica della magnificazione del digitale alla concretezza delle politiche per aiutare il nostro Paese al salto culturale. Dopo quasi tre anni di attività parlamentare spesa sui temi del digitale mi è evidente che da solo non ho forze sufficiente e quindi chiedo aiuto. Un aiuto a far uscire il tema del digitale dai convegni. La necessità del cambiamento deve essere praticata, negli uffici, nelle aziende, nelle Pubbliche Amministrazioni, nella vita di ogni giorno. Il sistema educativo e della formazione va cambiato velocemente. La riforma della Buona Scuola mette in fortissima evidenza l’importanza dell’educazione digitale, ma non basta. Deve essere realizzata in fretta perché il 65% dei bambini che sono ora alle scuole elementari, saranno occupati in tipi di lavoro che al momento ancora non esistono, come è possibile leggere nel lungo report disponibile sempre sul sito del WEF.
La formazione permanente deve essere adeguata a un mondo del lavoro sempre più in contatto con le macchine e con i software e soprattutto va ridefinito il sistema di ammortizzatori sociali per massimizzare la riconversione dei lavoratori che verranno sostituiti dall’automazione. La politica industriale deve essere decisa. Nell’economia della conoscenza il valore più grande, l’investimento migliore, come dice anche Schwab, è nei talenti, nel capitale umano. Il cambiamento che il digitale porta nel nostro mondo è fortissimo, profondo, dirompente. Se la politica vuole dare risposte adeguate a questo cambiamento, per evitare il più possibile le tensioni sociali di cui parla Schwab e cogliere il maggior numero di opportunità, non può continuare a operare timidi cambiamenti rispetto al passato. Il cambiamento deve essere altrettanto dirompente. In questa corsa digitale che può essere affannata o meravigliosa, chi prima parte si trova in vantaggio. Io vorrei che il nostro Paese quel vantaggio se lo prendesse, ma serve il coraggio di cambiare. Cosa ne pensate? Quel coraggio lo abbiamo?