L’epidemia da coronavirus è la prima infodemia della storia, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS): il suo impatto sociale, economico e umano è indissolubilmente connesso al mondo dei media digitali, i social soprattutto. Nel bene e nel male: i media digitali amplificano i danni – veicolando disinformazione sul virus – ma si stanno anche rivelando un mezzo per ridurre le conseguenze negative dell’infezione e fare emergere verità e racconti della gente, anche non gradite al Governo cinese.
Ecco perché la stessa Oms sta collaborando con tutte le società di social media come Google, Facebook, Tencent, etc. con l’intento di combattere notizie incontrollate e “falsi miti” e per garantire che le informazioni corrette e ufficiali siano facilmente individuabili e soprattutto ben visibili prima di tutte le altre.
La raccomandazione dell’OMS è anche rivolta a tutti gli utilizzatori dei social media; ognuno di noi infatti ha il dovere di condividere coscientemente, “facendo click” con attenzione ed evitando di alimentare notizie false o anche solo dubbie.
Come a dire che, per la prima volta, l’umanità sperimenta un’epidemia che va combattuta non solo sul campo della scienza e della salute pubblica, ma anche in quello dei media di massa distribuiti.
La prima pandemia vissuta al tempo dei social media
La battaglia che si sta combattendo è certamente contro l’epidemia nata a Wuhan ma anche contro la disinformazione che si sta diffondendo molto più velocemente di quanto faccia il virus stesso. Anche questo è un problema perché la disinformazione, come sempre, è nemica nel trovare una soluzione e soprattutto alimenta ossessioni e “modi di fare” controproducenti.
L’”infodemia”, dunque sta ostacolando gli sforzi per contenere l’epidemia, diffondendo panico e confusione e anche una certa discriminazione, quando la solidarietà e la collaborazione sarebbero elementi fondamentali e imprescindibili per salvare vite umane e porre fine alla crisi sanitaria.
Abbondano, soprattutto in rete infatti, oscure teorie della cospirazione, false rivendicazioni che il virus sia uno sforzo di qualche fantomatica organizzazione per porre fine alla vita dell’uomo sulla terra, o altre fantasiose rivendicazioni di una presunta guerra biologica. Le false teorie circolano rapidamente online in tutti i paesi del mondo e in quasi tutte le lingue più diffuse contribuendo così alla loro ancora più rapida propagazione.
Combattere la disinformazione sul virus è diventata dunque una sfida che, come ben sappiamo, non è certo l’unica, quando si parla di disinformazione sul web.
Il problema però, come sempre è complesso perché, se da una parte in tutto il mondo e questa volta soprattutto in Cina, le persone hanno diritto di accesso alla libera informazione, in questo caso più di altri, va tutelato il diritto di accesso a informazioni accurate e certificate su come proteggere sé stessi e le proprie famiglie dal contagio.
Nonostante il concreto rischio legato alla disinformazione, va riconosciuto ai social media anche il ruolo di grande ed importante fonte primaria di informazioni. I giornalisti di tutto il mondo hanno utilizzato i social media cinesi per ottenere un quadro più preciso della situazione, raccogliere e archiviare importanti notizie ri-condividendole nella propria lingua.
C’è da dire, anche, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità sta svolgendo un ruolo importante nel soddisfare questa esigenza critica.
Coronavirus: come lo stanno affrontando i Big del web
I colossi del web, in stretta collaborazione con l’OMS, hanno già preso alcune misure per rimuovere false dichiarazioni e promuovere ed evidenziare informazioni accurate e sicure.
Le persone che effettuano ricerche sui motori di ricerca di Google, stanno già ricevendo notizie e suggerimenti sulla sicurezza.
Come si vede dall’immagine sopra ricercando “coronavirus” su google.it vengono messi in evidenza i risultati del WHO (World Health Organization) come informazioni di SOS e poi quelli sui siti ufficiali italiani del Ministero della Salute.
Per capire la “spaventosa” portata della diffusione in rete di notizie sul nuovo coronavirus, in così poco tempo, basta vedere il numero dei risultati della mia semplice ricerca. Per fare un paragone, si può subito notare, come la più generica ricerca per la parola “virus” (parola molto più “antica”), ottiene minori risultati (immagine sotto).
Anche Facebook, Twitter, YouTube e TikTok stanno già indirizzando gli utenti che cercano informazioni su coronavirus sui siti dell’OMS o, come fatto dal motore di ricerca Google, alle organizzazioni sanitarie locali.
- I video su YouTube, di proprietà di Google, che forniscono informazioni sul coronavirus, riportano a dei banner che reindirizzano gli utenti al portale Web dell’OMS.
- TikTok ha cercato di togliere, ricorrendo anche all’uso dell’intelligenza artificiale, i video fuorvianti o inappropriati, affermando con un’apposita dichiarazione che “non possiamo permettere una disinformazione che potrebbe causare danni alla nostra comunità.”, con particolare riferimento anche ai giovanissimi che sono in larga parte i fruitori della piattaforma.
- Tencent, il proprietario di wechat, molto diffuso in Cina, ha utilizzato la sua piattaforma, in via straordinaria (almeno secondo quanto dichiarato) per esaminare le “voci che circolano” sul coronavirus rimuovendo quelle ritenute palesemente false.
Con il 99% dei casi di coronavirus in Cina, l’OMS sta lavorando alacremente per condividere consigli accurati e attuabili in cinese. Su questo Tencent svolge un ruolo vitale in questo senso, offrendo strumenti digitali integrati in wechat, promuovendo quotidianamente articoli, informazioni e infografiche dell’OMS e collaborando alla verifica delle voci.
Un problema di informazione globale
Non sono solo i social media ad essere coinvolti. L’OMS ha coinvolto anche giornalisti e media tradizionali in tutto il mondo, organizzando conferenze stampa quotidiane per garantire che i corrispondenti abbiano accesso e utilizzino le informazioni giuste. I focal-point di trasmissioni televisive e della “carta stampata” hanno la responsabilità di mettere la salute pubblica davanti ai titoli da “clickbait” che diffondono il panico.
Informare correttamente il più vasto pubblico possibile per proteggerlo va di pari passo con la ricerca e il lancio del vaccino. Combattere i “falsi miti” e fornire solide prove, sono stati storicamente passi fondamentali per sconfiggere le malattie prevenibili con il vaccino, come il morbillo e la poliomielite, o sensibilizzare sui rischi associati.
L’OMS continuerà a promuovere le informazioni verificate, continuando la stretta collaborazione con le società tecnologiche partner e collaborerà con le case dei social media e dei media tradizionali, per garantire che le persone abbiano accesso ai fatti reali, rimuovendo le teorie cospirazioniste consapevole che la corretta informazione consente di proteggere e promuovere la salute pubblica.
Il ruolo positivo dei social media per il coronavirus
I social si stanno rivelando anche un’importante fonte di informazioni utili, che vengono da fonti ufficiali e dalla gente. In questo modo stanno svolgendo anche un ruolo positivo.
I giornalisti di tutto il mondo hanno utilizzato i social media cinesi per ottenere un quadro più accurato della situazione. Inoltre, solo grazie a quest’abbondanza di notizie che fluiva sui social il Governo è stato obbligato a fornire informazioni più precise sull’emergenza, che all’inizio ha provato a tenere sotto traccia. Gli stessi medici hanno provato ad avvisare gli utenti, in un primo momento, mentre il Governo li contestava e provava a bloccare queste notizie. Sempre sui social si è potuto manifestare il malcontento del popolo verso il Governo quando uno di questi dottori, Li Wenliang è morto per la malattia.
Forse senza social, il Governo sarebbe riuscito a censurare meglio gli avvisi iniziali e l’epidemia quindi sarebbe stata più grave.
L’attività sui social potrebbe servire anche a monitorare l’andamento di un’epidemia, con tecniche di data analysis. Raina MacIntyre, esperta di biosicurezza presso l’Università del Nuovo Galles del Sud, ha pubblicato a gennaio un articolo sulla rivista Epidemiology rilevando che contenuto e frequenza dei tweet potrebbero essere buoni indicatori su come si diffonde una epidemia. E permettere così di bloccarla prima che diventi emergenza globale.
Infine, i social sono diventati un luogo di lutto collettivo, dove i cinesi – si pensi soprattutto a coloro che sono in quarantena – possono condividere storie, preoccupazioni; tenersi in contatto tra loro.
Secondo Shen Lu, un giornalista di Boston che segue da vicino l’attività dei social media cinesi, quelle storie personali sono diventate un modo importante per le persone di seguire la crisi sia all’interno che all’esterno della Cina, fungendo da forma di catarsi e dando alla gente, in mezzo al panico e alla tossicità, un piccolo raggio di speranza.
Quali insegnamenti per le piattaforme di social media
Di contro, purtroppo, non sono mancati, anche in questa drammatica circostanza della diffusione di un nuovo virus, casi di utenti che si sono “spinti” a fingere una diagnosi di coronavirus per guadagnare visualizzazioni e follower.
Questa emergenza sanitaria, di cui avremmo fatto volentieri a meno, speriamo invece venga colta come un’opportunità per le aziende proprietarie delle piattaforme social più importanti, per ripensare il modo in cui affrontare la disinformazione sulle proprie piattaforme. Sarebbe davvero molto bello vedere questa emergenza trasformarsi in un modello sostenibile a lungo termine, in cui sia possibile avere un controllo più efficace per garantire contenuti più pertinenti rispetto alle esigenze.
È necessario su vari temi, in primis la politica, una strategia più ampia per smascherare la disinformazione, soprattutto quella fatta scientemente, e rafforzare al contempo la fiducia in temi che sono di fondamentale importanza per la vita democratica. La disinformazione prospera laddove la fiducia nelle autorità è debole, mentre la coesione sociale e la fiducia favoriscono risposte efficaci, in minor tempo e un clima più sereno.
Il messaggio dunque deve essere rivolto anche a tutti noi: “Condividiamo con saggezza, facciamo click con attenzione e non alimentiamo i troll” come giustamente suggerito anche dall’OMS.