LA LETTURA

Chi ha ucciso il sogno di una internet globale? Ma c’è ancora speranza

Nel libro “Internet fatta a pezzi” si racconta nel dettaglio la nascita e la corruzione del sogno di un mondo unito, attraversato da flussi di bit che trasportano idee, emozioni positive e relazioni tra le perso­ne; e si discute quello che tutti noi possiamo fare per cercare di tornare alle origini

Pubblicato il 23 Mar 2023

Vittorio Bertola

Research & Innovation Engineer presso Open-Xchange

Stefano Quintarelli

Imprenditore digitale, già parlamentare e ideatore di Spid nel 2012

bertola quintarelli

Quando negli anni novanta le persone più tecniche o più curiose si affacciarono per la prima volta all’universo di Internet, la sensazione che provarono fu di mistero e meraviglia.

Anche se all’epoca non si parlava affatto di filmati e di musica, e il massimo a cui si poteva aspirare era qualche immagine sgranata a bassissima risoluzione, gli esseri umani si trovarono proiettati in un regno di parole scritte che disponeva di una caratteristica assolutamente nuova: non c’era alcun confine.

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Alla scoperta di Internet, il nuovo modello di interconnessione planetaria

Le risorse disponibili erano scarse, lente e difficili da trovare, oggetto di un passaparola sotterraneo tra i pochi iniziati al culto della rete; eppure, digitando poche parole magiche ci si poteva trovare in un attimo in un archivio di programmi in Svezia, in un gruppo di appassionati di fantascienza negli Stati Uniti, in una raccolta di schede tecniche di macchine fotografiche in Giappone o in una rudimentale chat insieme a persone di tutto il mondo. Il luogo e la nazione in cui un servizio o un contenuto erano collocati era soltanto un fatto statistico, generalmente indicato da una sigla di due lettere al fondo dell’indirizzo visitato; ma non faceva alcuna reale differenza.

L’idea che individui fisicamente fermi in ogni angolo del pianeta, purché parlassero inglese, potessero incontrarsi virtualmente in un luogo di fantasia senza dover prima chiedere niente a nessuno, iniziando subito a scambiarsi elettroni per condividere parole, era talmente rivoluzionaria che poté avvenire solo perché nessuna delle istituzioni ufficiali se ne era ancora accorta. Lo sforzo di controllo sulle comunicazioni che qualsiasi forma di potere intraprende era all’epoca interamente concentrato sui sistemi allora di massa, ossia la telefonia fissa, la stampa, la radio e la televisione.

Rispetto a quei media, Internet disponeva inoltre di un’altra caratteristica ancora più rivoluzionaria; non era soltanto possibile usufruire dei servizi e dei contenuti che c’erano già, ma era relativamente facile aggiungerne di propri. Certo, la tecnologia era agli inizi e non era alla portata di tutti, ma chi in quegli anni bazzicava un’università o una delle prime aziende del settore ebbe la possibilità di creare qualcosa di mai visto prima: il proprio sito web personale,[1] una raccolta di contenuti immediatamente accessibili a tutti nel mondo, con un clic e senza alcun filtro. Non solo: chi fosse stato capace di programmare i computer avrebbe potuto persino inventare un nuovo servizio o una nuova tecnologia e metterli sulla rete a disposizione di ciascuno, gratuitamente o per lucro, come avrebbe preferito; e lo spirito di comunità e d’avventura collettiva era talmente forte che quasi sempre l’opzione scelta era la prima.

Questo nuovo modello di interconnessione planetaria ebbe molte conseguenze, tra cui una crescita economica mai vista prima, che per tutto il periodo successivo ha generato e spostato una quantità immensa di ricchezza. Esso diede però vita anche a un effetto forse meno visibile e meno esplicitamente apprezzato, ma ancora più cruciale: una spinta naturale alla unificazione del pianeta Terra in una sola società globale, in pace e fratellanza tra i popoli, con la prospettiva che tali popoli potessero infine diventare uno solo.

C’erano allora poche persone su Internet; quando ci si incontrava online, lo spirito era simile a quello delle persone che si incontrano sui sentieri di montagna e i rapporti erano rispettosi, cortesi, quasi fraterni. I legami che si formavano erano intimi e solidali, indipendentemente dal luogo del mondo in cui ci si trovava.

Cos’è che ha frantumato l’originale Internet globale in una serie di blocchi nazionali

Molte cose sono successe nei trent’anni che oggi ci separano da quel mondo; è un’epopea già raccontata da molti punti di vista. Vogliamo però affrontare qui un tema nuovo: cos’è che ha frantumato l’originale Internet globale in una serie di blocchi nazionali e di giardini recintati, alcuni evidenti a tutti, altri meno visibili e che molti nemmeno conoscono? Cos’ha trasformato un meccanismo di pace e di cooperazione orizzontale in uno strumento di costruzione di monopoli e di accumulo di ricchezza nelle mani di pochi, e di guerra economica, informativa e militare tra le nazioni? Si tratta di una tendenza naturale e irreversibile, o è possibile ritornare almeno parzialmente indietro?

Chi è arrivato a Internet soltanto negli ultimi anni ha potuto percepire appena un debole riflesso della luce di cui essa originariamente splendeva. Certamente la rete resta un mezzo fondamentale di crescita personale e collettiva, di informazione, di socializzazione, che dà a chi la usa infinite possibilità di imparare e conoscere fatti e persone da tutto il mondo, permettendo con questo di migliorarsi e realizzarsi. Ma quell’originale magnifico bagliore è stato catturato e oscurato dalla nascita di muri e di recinti di ogni genere. Chi ricorda per esperienza diretta il modello originario della rete si sente costantemente trattato come una mucca al pascolo circondata da cowboy con il fucile in mano, pronti a sparare se qualcuno dovesse osare un rifiuto di fronte all’ennesima pubblicità invadente.

Oggi, ognuno di noi viene arruolato a forza in questa o quella piattaforma digitale, o in tutte quante insieme. Che sia Google o che sia Apple, la scelta del proprio smartphone por­ta con sé un intero ecosistema di servizi talmente spinti e integrati col resto che farne a meno è quasi impossibile. Ognuno di noi entra in reti sociali che creano barriere artificiali in funzione delle loro strategie per far denaro e per orientare il discorso collettivo; c’è quella che ti obbliga a condividere solo un certo tipo di contenuti, quella che non ti lascia inserire collegamenti a nessun altro sito – un’eresia contro il concetto stesso di rete – e quella, anzi tutte, che sceglie per te cosa devi vedere, mostrandoti non ciò che ti piace ma ciò che fa guadagnare il gestore, e scegliendo al posto tuo i tuoi nuovi amici, le tue nuove fonti e i tuoi nuovi guru. Queste piattaforme ci proiettano in una bolla di relazioni e di informazioni controllata e gestita da algoritmi, una bolla che ci appare come il mondo mentre in realtà ne è solo un piccolissimo scorcio, visto da un oblò algoritmico attraverso una lente distorcente. L’obiettivo della piattaforma non è presentarci un’idea corretta della realtà, ma farci stare più tempo online. Le tecniche per farlo sono assai sofisticate; richiamano alcuni aspetti fondamentali della psicologia umana, esacerbando posizioni e radicalizzando divisioni.

Le barriere crescenti delle regole pubbliche

Anche dal punto di vista delle regole pubbliche, le barriere sono crescenti. È normale attendersi che paesi governati in forme autoritarie esercitino uno stretto controllo sull’accesso dei loro cittadini alle risorse informative del resto del mondo, ma ormai anche nei paesi democratici si oscurano e si rimuovono contenuti per i motivi più disparati, talvolta anche di tipo politico, in modo sempre meno garantito e trasparente.

La creazione e la vigilanza di barriere, inoltre, richiedono di conoscere esattamente chi si muove al loro interno. Una delle migliori possibilità offerte dalla rete originaria, quella di togliersi la faccia, il nome e il passaporto, per essere veramente qualcun altro se e quando lo si voleva, sta venendo per forza di cose circoscritta, costringendo le persone a identificarsi e a essere sempre, senza scampo, ciò che è scritto sul loro documento. Una famosa vignetta pubblicata nel 1993 sul «New Yorker» mostrava un cane al computer che diceva a un altro cane: «Su Internet nessuno sa che sei un cane». Oggi non è più così, anzi, le grandi piattaforme della rete tracciano e conoscono i tratti più intimi delle persone.

Tutto questo ha conseguenze psicologiche profonde; l’originaria sensazione di fratellanza e di libertà assoluta è stata sostituita da un senso di divisione e da una crescente sfiducia nello strumento stesso. I social si spopolano e si trasformano in sistemi di sola scrittura; la comunicazione delle persone in rete non è più caratterizzata da un senso di partecipazione in qualcosa di più grande e collettivo, ma da un individualismo ossessivo, che afferma posizioni radicali, e dalla ricerca spasmodica di attenzione personale, come a cercare invano di colmare un’ennesima manifestazione di un generale senso di vuoto.

La frammentazione di Internet è dunque la frammentazione del pianeta Terra, ma anche della società e dell’animo delle persone, costrette a scegliere se stare in questa o quella piattaforma, in questo o quel blocco culturale, invece che essere ovunque e chiunque a proprio piacimento.

Conclusioni

La storia umana ci insegna che raramente la creazione di divisioni porta a qualcosa di buono. Nell’attuale momento storico, uno strumento per far conoscere e dialogare persone di tutte le parti del mondo parrebbe essere fondamentale per evitare il ritorno a epoche di conflitto diffuso e drammatico. Davanti a sfide ambientali e sociali che non guardano affatto al colore delle bandiere nazionali e non si arrestano alle frontiere, c’è sempre più bisogno di pace e di fratellanza nel mondo. Se riuscissimo almeno in parte a ripristinare i modelli originari di Internet, anche la tecnologia potrebbe finalmente dare un contributo a questo obiettivo, anziché limitarsi a produrre strumenti di controllo e di offesa.

Nel libro “Internet fatta a pezzi” raccontiamo dunque nel dettaglio la nascita e la corruzione del sogno di un mondo unito, attraversato da flussi di bit che trasportano idee, emozioni positive e relazioni tra le perso­ne; e discuteremo quello che tutti noi, cittadini e proprietari finali del nostro pianeta, possiamo fare per ripristinarlo.

Note

  1. Prima della metà degli anni novanta le tecnologie erano diverse, e si parlava di archivio di file ftp o di menu di testi Gopher/Veronica/wais, oppure, fuori da Internet, di bacheche bbs.

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