Oltre all’impatto socio-sanitario del covid-19, l’Europa si trova a dover combattere anche su un altro fronte, più difficile da notare: quello del sottile equilibrio tra diritto all’informazione e verifica della veridicità delle informazioni diffuse.
Anche l’Italia si è prontamente attivata per contrastare la diffusione di fake news legate alla pandemia, spinta anche dai dati dell’ultimo Osservatorio dell’AGCOM sulla disinformazione online.
La strategia europea contro le fake news
L’UE ha fatto sentire la sua voce sul tema della fake news riguardanti il Covid-19 che negli ultimi mesi si stanno diffondendo in modo capillare in rete. La denuncia proviene direttamente dalla Commissione Europea che qualche settimana fa ha approvato la prima Comunicazione sulla disinformazione relativa alla pandemia[1]. In questa Comunicazione si parla di una vera e propria “infodemia” voluta e premeditata al fine di creare confusione e apprensione nei cittadini, e la stessa Commissione indica la Cina e la Russia come principali responsabili di questo trend di disinformazione. Le preoccupazioni della Commissione sono dovute soprattutto al particolare periodo storico in cui ci troviamo: un periodo caratterizzato dal distanziamento sociale e dal lock down in cui le persone sono più attive che mai in rete. Dall’analisi della situazione attuale non è difficile immaginare gli effetti collaterali che la diffusione incontrollata di notizie tendenziose sta avendo sui paesi dell’UE.
La Commissione europea sta spingendo verso una presa di coscienza condivisa fra tutti i paesi dell’UE per realizzare sistemi che permettano la cancellazione o la deindicizzazione dal web di queste fake news. Contemporaneamente, visto il ruolo sempre più importante che i social network rivestono nella nostra società, l’UE fa appello alle piattaforme invitandole ad aumentare gli sforzi per smascherare coloro che diffondono fake news o notizie non verificate. Le misure proposte dall’UE, per quanto fondate, stanno suscitando reazioni contrastanti soprattutto tra i rappresentanti politici che pongono l’attenzione sugli effetti che queste “restrizioni” potrebbero avere sulla libertà di condivisione delle informazioni, e che tale “controllo” possa portare all’instaurazione di un sistema centralizzato incaricato di effettuare una vera e propria censura delle informazioni.
Perché le fake news covid-19 sono pericolose
A detta della Commissione, le fake news sono pericolose perché, oltre a destabilizzare l’equilibrio sociale, minano la credibilità degli apparati governativi nazionali e sovranazionali dei paesi dell’UE e rendono più difficile la cooperazione stato-cittadino in un periodo in cui è necessario collaborare per porre fine alla pandemia. Nel documento si legge che “la motivazione che sta dietro” la disinformazione “può variare dal guadagno economico (truffe online) causando danni alla cittadinanza a scopi politici”. E ancora: “Attori stranieri e alcuni Paesi terzi, in particolare Russia e Cina, si sono impegnati in operazioni di influenza mirata e campagne di disinformazione nell’Unione europea, nel suo vicinato e nel mondo”. Il coronavirus “ha ben evidenziato come la disinformazione non solo danneggi la salute delle nostre democrazie, ma anche quella dei nostri cittadini”, ha spiegato la vicepresidente della Commissione, Vera Jourová, e questo “Può avere un impatto negativo sull’economia e compromettere la risposta delle autorità pubbliche e quindi indebolire le misure sanitarie”. A sostegno di tali accuse la Commissione ha presentato una lunga serie di fake news provenienti da Russia e Cina che spaziano dall’inutilità del lavarsi le mani, alla diffusione del virus dovuta alle antenne 5G, passando per gruppi religiosi o etnie coinvolte in “cospirazioni” internazionali.
Data la situazione la Commissione ha proposto un piano mirato per “combattere il flusso di disinformazione e le operazioni di influenza malevola esterna con pratiche proattive e comunicazione positiva coinvolgendo governi, società civile e piattaforme”. Questo piano prevede maggiore sinergia all’interno dell’UE e maggiori responsabilità per le piattaforme online riguardo alla disinformazione e alle operazioni di influenza. La stessa Commissione non ha mancato di sottolineare che tali disposizioni devono essere realizzate nel massimo rispetto della libertà di espressione e del pluralismo all’interno del dibattito democratico, passando per attività di sensibilizzazione dei cittadini in modo di consentire loro di “difendersi” dai mezzi di disinformazione.
La strategia italiana
Secondo l’ultimo rapporto Agcom, nel nostro paese, l’attenzione attribuita dagli utenti alle fonti di disinformazione (o non verificate) riguardanti il COVID-19 rimane molto elevata e comprende circa il 37% del totale[2].
Ad aprile, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Andrea Martella annunciò la creazione di una task force dedita a contrastare la diffusione di queste fake news. In linea con gli obiettivi della Commissione Europea la task force aveva il compito, in primo luogo, di “individuare i processi e le modalità più adeguate a veicolare efficacemente i contenuti istituzionali” e di “fornire ai cittadini i criteri di discernimento e gli strumenti necessari per documentarsi liberamente”. Questa task force è stata oggetto di numerose discussioni e dibattiti, sollevati soprattutto da esponenti politici che ponevano l’accento sulle attività di “censura” che questa commissione avrebbe attuato nei confronti dei media e dei mezzi di informazione in generale. Come si evince invece dai documenti presentati dalla task force l’approccio posto in essere è tutt’altro che verticale. Dall’operato della task force è emersa la necessità di facilitare l’accesso ai contenuti scientificamente attendibili, ma ciò non sarà fatto mediante “filtri” o censure, bensì mediante mezzi per sensibilizzare i cittadini sui meccanismi alla base della fruizione delle informazioni. Ci viene presentato quindi un piano di “difesa” dalle fake nesw basato non sui controlli massivi, ma sul coinvolgimento attivo dei cittadini nell’utilizzo degli strumenti e nella comprensione dei meccanismi alla base di come le notizie si diffondono sui social media.
Una ulteriore sfida che il nostro paese si sta ponendo in questo momento, quindi, è quella di riuscire a ridurre la distanza che c’è tra la domanda e l’offerta di informazione di qualità e contribuire in questo modo nell’aumentare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni.
Il supporto dei social network nella battaglia
La necessità di munirsi di un “sistema di difesa” dalle fake news, ribadita dalla Jourová, e dall’Alto rappresentante dell’UE Josep Borrell, prevede anche una nuova strategia comunicativa e diplomatica attuata dall’UE che fornirà maggiore sostegno ai media liberi e indipendenti, ai fact-checker e ai ricercatori.
In prima linea in questo scenario si collocano i colossi del web quali Facebook, Google, Twitter e Mozilla che insieme a TikTok (di proprietà della società cinese ByteDance) sottoscriveranno il codice di condotta volontario del blocco per combattere le fake news sulle loro piattaforme.
Sottoscrivendo questo codice di condotta (ha spiegato la Commissione) le piattaforme forniranno rapporti mensili con dettagli sulle loro attività volte a promuovere i contenuti individuati come “autorevoli” e limitare in questo modo la disinformazione sul coronavirus. Quindi non si parla di alcuna forma di censura, bensì di fornire agli utenti un resoconto periodico delle attività e delle linee guida su come distingue le informazioni provenienti da fonti riconosciute dalle fake news o pseudo-notizie non verificate.