l'analisi

Covid-19, disinformazione “made in China”: strategie e conseguenze

Da marzo in poi, contestualmente al diffondersi del contagio da Covid-19, la Cina ha lanciato vere e proprie campagne di disinformazione, non più focalizzate sul promuovere visioni positive sulla Cina e censurare quelle negative, ma volte – secondo report indipendenti – a destabilizzare le democrazie liberali

Pubblicato il 18 Mag 2020

Daniel Maresca

analista presso Hermes Bay

Photo by Dimitri Karastelev on Unsplash

La rivalità economica e geopolitica tra USA e Cina si sta spostando sul piano delle accuse reciproche e della disinformazione, una novità che rischia di avere serie ripercussioni sul contrasto al contagio da Covid-19 e alla necessità di cooperare a livello globale per trovare soluzioni efficaci ad un problema che, oramai, interessa non solo l’ambito sanitario ma tutte le sfere della vita sociale.

Si rischia, infatti, di complicare ulteriormente la risposta delle autorità statali e sovranazionali, alimentando il proliferare incontrollato di fake news, teorie del complotto e informazioni fuorvianti, definiti “infodemia” dal direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità già il 15 febbraio scorso.

La strategia cinese pre-covid

La strategia cinese degli ultimi anni, nell’ambito dell’informazione, si basava su strumenti propagandistici e di pressione tramite media tradizionali e canali diplomatici che, potremmo definire classici, dove le campagne di disinformazione, seppur presenti, erano solo di contorno alla strategia tradizionale. Questa strategia, difatti, si proponeva di cooptare, a livello locale, la diaspora cinese presente in varie nazioni e le autorità locali sia tramite media controllati direttamente da Pechino, sia attuando pressioni sui maggiori media nazionali.

A livello globale acquisizioni, fusioni e interconnessioni tra infrastrutture di informazione da parte di aziende cinesi hanno permesso di esercitare un maggior controllo da parte del governo cinese su piattaforme utilizzate da decine di milioni di utenti.

Gli stessi diplomatici e membri del governo cinese hanno attivamente portato avanti questa strategia, presentando in maniera esplicita la Cina come un modello di successo da emulare, spingendo su questa strada nazioni e aziende multinazionali tramite programmi di formazione del personale e tramite il trasferimento di tecnologie a quelle stesse nazioni e aziende.

La disinformazione cinese legata al covid

Da marzo in poi, contestualmente al diffondersi del contagio da Covid-19, questa stessa strategia sembra essersi trasformata in modo molto più assertivo ed aggressivo. Le accuse che arrivavano, e continuano ad arrivare al governo cinese, riguardo la responsabilità e le presunte mancanze nella gestione del contagio da nuovo coronavirus hanno fatto sì che la Cina lanciasse vere e proprie campagne di disinformazione, non più focalizzate solo sul promuovere visioni positive sulla Cina e censurare quelle negative.

Solo pochi giorni fa in un’audizione tenuta dal Dipartimento di Stato americano la direttrice del Global Engagement Center ha apertamente parlato di campagne di disinformazione cinese, che possono essere collegate al governo di Pechino su scala, finora, non rilevata. Nell’audizione vengono descritti, in particolare, le campagne di disinformazione sui social media portate avanti utilizzando delle reti di bot. Lo stesso GEC ha scoperto una di queste reti, create a partire da marzo, in concomitanza con il diffondersi del contagio da nuovo coronavirus su scala globale. Tra i vari esempi viene presentato anche quello italiano, come già emerso in varie inchieste giornalistiche, tanto da portare già il 25 marzo scorso il presidente del Copasir Raffaele Volpi a confermare che tali attività fossero in corso in Italia ed a dichiarare che “entità statuali esterne” stavano facendo disinformazione online con “una campagna infodemica che vede nei Paesi dell’Unione Europea, e nell’Italia come obiettivo non secondario, il proprio target”.

Nella stessa audizione del GEC si è evidenziato che durante tutto il mese di marzo vi sia stato un indice di coinvolgimento molto alto in riferimento ad hashtag a favore della Cina in vari Paesi europei. Oltre a propagare messaggi positivi riguardo al governo cinese e agli aiuti inviati in varie nazione europee si è ravvisato anche che reti di bot hanno rilanciato messaggi contro l’Unione Europea e gli Stati Uniti o che, comunque, ponevano l’accento su una sua presunta inefficacia e poca incisività. Oltre a reti di bot il GEC ha rilevato che gli stessi account ufficiali di ambasciate, consolati e singoli diplomatici cinesi hanno avuto un aumento significativo nel numero dei follower sui social media tra l’inizio di marzo e la prima metà di aprile, e si è potuto riscontrare che un numero significativo di follower di molti di questi profili ufficiali sia lo stesso gruppo di account. A detta degli esperti del GEC si può parlare di un vero e proprio network che ha come obiettivo di veicolare in maniera capillare la propaganda e le informazioni derivanti dagli account ufficiali del governo cinese, in particolare, su Twitter, in modo da influire sul discorso pubblico di una determinata nazione.

Un modus operandi confermato anche dalle dichiarazioni rese a fine aprile dal Segretario Generale della NATO Stoltenberg, il quale ha accusato la Cina e la Russia di diffondere disinformazione riguardo la NATO stessa ed in particolare riguardo la sua risposta alla pandemia da nuovo coronavirus. Stoltenberg ha sottolineato come la disinformazione punti a ritrarre la NATO ed i suoi membri come inefficaci, inattivi e non capaci di proteggere e di aiutare le popolazioni degli stessi stati membri, non tenendo in considerazione gli sforzi fatti dall’alleanza, ad esempio, nei ponti aerei e nella collaborazione tra i membri per contrastare il contagio da Covid-19.

Conclusioni

La conclusione dell’audizione del GEC, confermata da report prodotti da think tank indipendenti quali il Center for a New American Security, è che si sta andando sempre più verso una sinergia nei metodi e negli obiettivi da parte cinese e russa. Se finora, difatti, le campagne di influenza cinese potevano essere derubricate a propaganda e gli strumenti utilizzati andavano dal soft power alla pressione mediatica ed economica, questo cambio di metodi pare presupporre anche un cambio di strategia. Secondo il CNAS l’obiettivo, infatti, non è più quello di migliorare lo status della Cina, ma di destabilizzare le democrazie liberali, seminando fake news e informazioni fuorvianti.

La polarizzazione, già presente nelle società occidentali, rischia di essere ulteriormente inasprita dalla disinformazione e, considerata la gravità del momento, campagne di questo genere potrebbero avere conseguenze molto serie, generando confusione e incertezza nella sfera pubblica, nonché tra i decisori politici, arrivando perfino a minare la fiducia nelle istituzioni e nel sistema sanitario di un paese.

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