La pandemia di Covid-19 ha riportato l’attenzione sulla disinformazione. E mentre la curva dei contagi informativi sale inesorabile, si è deciso di istituire una task force per contrastare il fenomeno. Anche la Rai e i social sono scesi in campo.
Iniziative sacrosante, ma che nulla potranno ottenere se non si punterà prima sulla educazione e l’alfabetizzazione digitale dei singoli cittadini.
La Task force contro le fake news
L’Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al Covid-19 sul web e sui social network è stata istituita lo scorso 4 aprile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (Dipartimento per l’informazione e l’editoria), dal sottosegretario con delega all’Editoria Andrea Martella.
Dall’analisi delle modalità di diffusione e delle fonti che generano le fake news, alla promozione di campagne di sensibilizzazione, dalle partnership con specialisti del fact checking al coinvolgimento diretto degli utenti nell’individuazione e segnalazione – alla stessa Unità – di contenuti non veritieri relativi al Covid-19. Sono questi gli obiettivi della Task force che si avvale, ai fini dello svolgimento della propria attività, dell’apporto – a titolo gratuito – di alcuni esperti, dai giornalisti Riccardo Luna, Francesco Piccinini, David Puente, Roberta Villa e Giovanni Zagni, ai professori Ruben Razzante (diritto dell’informazione alla Cattolica di Milano), Luisa Verdoliva (Elaborazione dei segnali multimediali alla Federico II di Napoli), e Fabiana Zollo (ricercatrice sui flussi informativi online alla Ca’ Foscari di Venezia).
Un passaggio doveroso, spiega Martella, poiché mentre i social si mobilitavano a colpi di slogan, inaugurando la campagna di speranza color arcobaleno “andrà tutto bene”, la disinformazione sull’emergenza Covid-19 dilagava, insidiosa, indebolendo gli sforzi di contenimento del contagio.
Che sia in gioco la libertà di opinione o sia in atto una nuova censura? È stato il timore di molti.
«Non si tratta di discutere le opinioni, che sono sacre – è stata la risposta di Martella – si tratta di tutelare i cittadini ed evitare che le fake news possano creare caos e scompiglio, indebolendo la lotta al contagio».
Lungi dal rappresentare un Ministero della Verità di orwelliana memoria, la task force nasce senza poteri sanzionatori e di vigilanza sui singoli soggetti ma soltanto di monitoraggio sulla circolazione delle fake news, al fine di fornire agli utenti i criteri per discernere le notizie certificate, riconducibili a fonti istituzionali, dai contenuti fuorvianti, di dubbia autenticità.
Un’iniziativa nata, dunque, «nel rispetto dei diritti costituzionali» e che «combatte la disinformazione, non le opinioni».
La Task force RAI
Il web è senza dubbio il principale veicolo di disinformazione, ma non è l’unico. Nell’attuale ecosistema (dis)informativo, un ruolo cruciale spetta anche ai media tradizionali.
Si pensi al caos mediatico generato dal servizio di Leonardo, il tg della scienza e dell’ambiente della Rai, del novembre 2015, riguardante un super-virus polmonare creato nei laboratori cinesi.
E non solo. Abbiamo assistito alla querelle tra virologi, alla circolazione anzitempo delle bozze di decreto, al susseguirsi di dichiarazioni confuse e contraddittorie, ridondanti e non centralizzate. Un «dire e non dire, affermare e poi smentire, contraddirsi l’un l’altro» che, come afferma Francesco Costa, «autorizza poi ciascuno a credere a quel che sente o a quel che ritiene più convincente, anche se proveniente da fonti meno autorevoli».
Per questo la RAI ha deciso di costituire un osservatorio permanente per combattere le fake news sul coronavirus. Trattasi di una task force, coordinata dal direttore di RaiNews24 Antonio Di Bella, un’iniziativa prevista dal Contratto di servizio e dal Piano Industriale triennale 2019-2021 che costituisce un «ulteriore sforzo del Servizio Pubblico nell’informare correttamente il Paese».
Dal punto di vista operativo, la task force tenderà, nella prima fase, alla messa in sicurezza dell’informazione scientifica, attraverso il coinvolgimento di virologi, medici e uomini di scienza che, grazie alle proprie conoscenze, contribuiranno a divulgare un’informazione corretta e a smascherare le fake news sul coronavirus. Poi, nel lungo periodo – spiega Di Bella – proverà anche a tracciare l’origine delle fake news e a comprenderne i meccanismi di diffusione sul web.
Le contromisure dei social network
Ipse dixit. Lo ha detto il social, l’amico, il conoscente. Dalle false credenze sull’origine del virus ai suggerimenti sulle misure preventive. Si pensi alla tabella – fake, neanche a dirlo, – dell’Agenzia giornalistica ANSA che illustrava il calendario della riapertura per le attività post covid19; utilizzando, peraltro, il logo dell’Agenzia per confondere l’utente sulla veridicità e sulla provenienza dell’informazione.
Nella lotta contro le fake news, i big del web si muovono in due direzioni. Da una parte, promuovendo la corretta informazione sul Covid-19; dall’altra, limitando la diffusione delle fake news, ricorrendo alla ‘sacra’ arte del fact-checking.
All’indomani dell’emergenza sanitaria globale dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, Facebook ha indirizzato oltre 2 miliardi di persone verso le risorse dell’OMS e di altre autorità sanitarie ufficiali – in Italia, il ministero della Salute – attraverso il Centro informazioni sul Covid-19 e i pop-up presenti sia su Facebook sia su Instagram.
Un nuovo messaggio appare, in cima al News Feed, a tutte le persone che hanno interagito con notizie false relative al Covid-19, e una nuova sezione – attiva solo negli Stati Uniti per il momento – del Covid-19 Information Center, chiamata Get the Facts, include articoli verificati e approvati dai suoi fact-checkers. Sono le nuove iniziative messe in campo da Facebook che, durante il mese di marzo, ha mostrato avvisi su circa 40 milioni di post basati su 4.000 articoli di analisi ad opera dei partner di fast-checking.
Ma la lotta social contro il Covid-19 non finisce qui. Anche Twitter reindirizza alla pagina internet del Ministero della Salute tutti gli utenti che effettuino una ricerca inerente al coronavirus e mette al bando i post fuorvianti. Nel mirino, in primis, i tweet che negano fatti scientifici accertati sulla trasmissione del virus o che propongono teorie complottiste; a seguire, i post che descrivono metodi – non scientifici – di autodiagnosi, misure protettive e trattamenti inefficaci.
Da ultimo, interviene anche TikTok: agli utenti che creano, visualizzano e interagiscono con contenuti relativi al coronavirus, l’app presenta un avviso in cui si raccomanda di rivolgersi alle fonti istituzionali, internazionali e locali. Inoltre, l’Oms ha aperto un account per fare buona informazione sul coronavirus, fornendo consigli affidabili e tempestivi sulla salute pubblica.
La seconda grande sfida – dicevamo – è il contenimento delle fake news. Oltre 60 organizzazioni di fact-checking rivedono contenuti in oltre 50 lingue in tutto il mondo.
Su Facebook, ai contenuti giudicati falsi dai fact-checkers, vengono applicate delle etichette di segnalazione e ne viene ridotta la distribuzione.
Ma il fact-checking arriva anche su WhatsApp. Si chiama Facta, il progetto lanciato da Facebook nell’ambito dell’iniziativa di co-regolamentazione definita da Agcom per arginare il problema della disinformazione online sulle tematiche Covid-19.
Il servizio si avvale della collaborazione di un fact-checker indipendente, Pagella Politica – dotato di un sito internet, Facta News, un profilo WhatsApp e una numerazione dedicata (+393456022504) – che consente agli utenti della piattaforma di segnalare contenuti relativi al Covid-19 per sottoporli alla verifica di autenticità.
Il fact-checker invierà una notifica all’utente che ha trasmesso la segnalazione e, nel caso di fake news accertata, pubblicherà il risultato della analisi sul proprio sito web.
La sperimentazione è stata accolta con favore dall’Agcom, secondo la quale il progetto, compatibilmente col Regolamento sulla privacy (GDPR), «potrebbe rappresentare una best practice in quanto l’iniziativa sull’approfondimento della veridicità di una notizia o di un contenuto, avviene in modalità volontaria e rispettosa delle garanzie di libertà di accesso alle informazioni e ai contenuti da parte degli utenti».
Il ruolo della educazione digitale
L’impegno per prevenire l’epidemia ‘informativa’ passa anche e soprattutto attraverso la collaborazione e le buone pratiche dei cittadini. L’emergenza ci chiama ad un alto senso di responsabilità, individuale e collettiva. Pensiero critico, consapevolezza e responsabilità, sono queste le difese immunitarie da rafforzare in rete. Agenti antivirali che aiutano a destreggiarsi nell’agora mediatica e a filtrare l’ingente mole di informazioni – soprattutto quelle false – a cui siamo quotidianamente esposti.
La verifica dei contenuti spetta a ciascuno di noi. In proposito, si rinnova l’invito ad attenersi ad alcune regole-base quali verificare l’URL – ossia l’indirizzo della pagina – nonché la fonte e l’autore; fare riferimento solo a comunicazioni ufficiali ed istituzionali; diffidare delle notizie sensazionalistiche, ancor più se inoltrate su servizi di messaggistica istantanea, come WhatsApp.
Un click sui siti giusti può chiarire dubbi e incertezze.
Ma perché questo avvenga, è indispensabile potenziare il processo di alfabetizzazione digitale.
In un’epoca in cui ciascuno di noi è un ‘prosumer’ – ossia produttore e consumatore, al tempo stesso, di contenuti informativi – è assolutamente indispensabile investire sull’educazione del cittadino. A partire dai banchi di scuola, bisogna educare ad un uso consapevole e responsabile della rete e delle informazioni che circolano in essa. È in questa direzione che si inserisce la pubblicazione da parte del MIUR, lo scorso gennaio 2018, di un Sillabo per l’educazione alla cittadinanza digitale nonché l’introduzione della legge 20 agosto 2019, n. 92, (“Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica”) che, all’art. 5 (“Educazione alla cittadinanza digitale”), enumera le «abilità e conoscenze digitali essenziali, da sviluppare con gradualità, tenendo conto dell’età degli alunni e degli studenti».
Conclusioni
«La battaglia contro la disinformazione ha due fronti» commenta Roberta Villa, «uno che utilizza le censure, il blocco dei siti e le denunce; un altro che invece predilige la buona informazione», ossia quella fondata su solidi (e reali) dati scientifici. Del resto, «l’informazione di qualità è il primo alleato dei cittadini».
Tuttavia, accanto alle task force, alle iniziative di sensibilizzazione sul tema e ai programmi di educazione civica digitale nelle scuole, si rende necessario intervenire anche su un altro fronte, quello della comunicazione, per garantire la verifica (anche) a monte dell’attendibilità delle informazioni prodotte.
Sembrano quasi un monito le parole di John Barry che, nel 2009, scriveva su Nature «nella prossima pandemia, che sia ora o in futuro, sia il virus lieve o virulento, l’arma più importante contro la malattia sarà un vaccino. La seconda più importante sarà la comunicazione».