gli interrogativi

Covid-19: le sette lezioni da imparare subito per evitare nuove crisi globali

Quanto sta accadendo a livello globale deve essere spunto dalle riflessioni per alcune considerazioni, sotto forma di lezioni da apprendere per limitare il più possibile l’eventualità di nuove pandemie e crisi di tale portata. Ecco allora due interrogativi e sette insegnamenti da trarre

Pubblicato il 29 Apr 2020

Mauro Lombardi

Scienze per l’Economia e l’Impresa, Università di Firenze

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Sulla pandemia in atto si è detto, affermato e si sosterrà tutto e il suo contrario, non è quindi difficile sottrarsi al compito di mettere in rilievo gli aspetti più discutibili del dibattito per proporre invece una riflessione da una prospettiva diversa, che esplicitiamo con risposte ad interrogativi espressi a fini euristici.

Erano prevedibili la pandemia e i suoi effetti?

Come afferma Dani Rodrik (2020), economista recentemente nominato da Papa Francesco membro ordinario dell’Accademia Pontificia delle Scienze Sociali, le crisi si dividono in due categorie: “quelle per cui non ci siamo preparati, perché nessuno le ha previste, e quelle per cui avremmo dovuto essere preparati, perché erano attese”.

Covid-19 appartiene alla seconda. Ecco alcuni elementi a sostegno di questa affermazione. Il 6 gennaio 2017 il Pentagono redige un Rapporto (Pentagon, 2017), ora declassificato e accessibile in rete (con una certa difficoltà), nel quale si anticipa l’insorgenza di una pandemia da coronavirus particolarmente virulenta (pathogenic), tra le cui conseguenze ci sarebbe stata sicuramente la carenza di risorse sanitarie (maschere, ventilatori, insufficienza di letti per terapie intensive). La descrizione delle condizioni e dei meccanismi favorevoli è molto precisa e del tutto simile a ciò che viene reso attualmente pubblico sulle pubblicazioni scientifiche e sulla stampa ordinaria. Onde evitare equivoci, facili nel nostro Paese, non si tratta di preveggenza né di espressione di un complotto, perché il documento in questione è solo l’ultimo di una serie di elaborati segreti, prodotti dalla Defence Intelligence Agency dal 2014 al 2017 (Klippenstein, 1-4-2020, The Nation).

Il Pentagono e le Agenzie per la sicurezza USA non sono i soli a formulare ipotesi di una pandemia con gravi conseguenze respiratorie. Dal 2003 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha raccomandato a tutti i Governi di elaborare un piano pandemico, aggiornandolo costantemente “seguendo linee guida concordate”. Il Piano italiano è stato redatto nel 2002 e poi nel 2005.

Nel settembre 2019 l’OMS e la World Bank hanno pubblicato un documento (GPMB, 2019), dove si afferma: “The world is at acute risk for devastating regional or global disease epidemics or pandemics that not only cause loss of life but upend economies and create social chaos.” (GPMB, 2019: 11). Dal 2011 al 2018 l’OMS ha individuate 148 eventi epidemici in 172 Paesi, come si vede dal grafico seguente

GPMB, 2019: Fig.1

Nello stesso Rapporto sono contenute una serie di raccomandazioni alle autorità istituzionali in merito alla predisposizione di strumenti tecnico-scientifici e finanziari, oltre che di attrezzature e personale in campo sanitario. Inutile sottolineare che sono previsti severi effetti socio-economici a livello globale, con particolare incidenza sulle Nazioni e le fasce più povere delle popolazioni. Alla base dell’elaborato c’è un ampio studio dello John Hopkins Center for Health Security (2019).

Nello stesso mese di settembre 2019 il Council of Economic Advisors (CEA) della Presidenza Usa ha prodotto un Report concernente le perdite economiche sociali, umane (oltre 500.000 morti negli USA, nel peggiore scenario)[1]. In esso viene tra l’altro suggerita la creazione di vaccini di nuovo tipo per una categoria di episodi epidemici, stimando anche in questo caso la rilevanza delle azioni da intraprendere per velocizzare la velocità di produzione e renderla più sicura.

Il 9 gennaio 2020 l’OMS ha annunciato ufficialmente lo scoppio dell’epidemia influenzale in Cina, ma non è stata la prima, perché il 6 gennaio c’è stato l’annuncio per l’US Centers for Diseases Control and Prevention. Soprattutto, però, il 31 dicembre 2019 e in un paper del 10-1-2020 Bogoch et al. (2020) descrivono l’insorgere dell’epidemia di origine ancora ignota, ma di potenziale disseminazione a livello internazionale attraverso i flussi di persone e cose. Lo strumento con cui il gruppo di esperti ha effettuato l’analisi è la piattaforma tecnologica della società canadese BlueDot, che impiega un algoritmo di Intelligenza Artificiale, in grado di perlustrare migliaia di Report in diverse lingue, le reti di diffusione di malattie delle piante e degli animali, mentre il ricorso alle informazioni fornite da Governi è ritenuto poco rilevante.

Per riprendere la distinzione proposta da Rodrik, da cui siamo partiti, l’episodio pandemico attuale era atteso: diversi organismi hanno formulato suggerimenti abbastanza precisi (non ascoltati) sulle iniziative da prendere e i primi segnali non sono stati percepiti oppure sono stati sottovalutati.

È allora opportuno porsi un secondo quesito.

Nessuno al mondo ha compreso ciò che stava accadendo?

Escludiamo consapevolmente quanto accaduto in Italia, tenendo sullo sfondo un dato incontrovertibile: nel 2016, nell’ambito del riordino dell’Istituto Superiore di Sanità, è stato soppresso il Centro Nazionale di Epidemiologia e Sorveglianza (CNESPES, sito aggiornato al 2013, consultato il 18-4-2020), che forse avrebbe potuto, nelle circostanze odierne, fornire coordinate molto significative alle varie entità regionali in materia sanitaria.

Lasciando da parte l’Italia, è noto che Taiwan e la Corea del Sud sono i Paesi che hanno reagito più efficacemente, contenendo al minimo possibile le ripercussioni negative del Covid-19. Soffermiamoci su Taiwan, la cui strategia e le cui azioni sono state assunte esplicitamente a modello da Nuova Zelanda (Taiwan News, 2020) e Israele (Times of Israel, 2020; Nikkei Asian Review, 2020). La prima in modo più esplicito, la seconda in modo meno evidente, probabilmente perché non può urtare la Cina, con cui Israele ha accordi tecnico-scientifici molto importanti anche in tema di lotta alla pandemia.

Innanzitutto Taiwan, 24 milioni di abitanti circa, è un Paese tecnologicamente molto avanzato e con una partecipazione democratica intensa e consapevole. I governi che si sono succeduti nel corso degli anni, unitamente all’apparato pubblico e privato, hanno studiato molto attentamente l’evoluzione, gli effetti e i rischi delle precedenti epidemie, come la SARS. Memori delle esperienze, hanno predisposto essenzialmente piani su due livelli: l’uno strategico e l’altro di breve termine (reattività immediata).

Per quanto riguarda il primo, avendo acquisito chiara consapevolezza che i rischi pandemici sarebbero stati molto alti, hanno creato le condizioni materiali (strutture, tecnologie, attrezzature) e immateriali (formazione degli operatori, informazione sistematica a imprese e popolazione sui comportamenti più consoni da tenere) per una risposta ritenuta appropriata.

Per quanto riguarda la capacità di reazione immediata, sono stati predisposti piani d’intervento per il contenimento della disseminazione virale, con scenari alternativi simulati per tempo circa gli effetti. Sulla base di questa formazione conoscitiva Taiwan ha fin dal 31 dicembre 2019 introdotto controlli severi e successivamente bloccato i flussi da Wuhan e dalla Cina in generale, più tutta un’altra serie di provvedimenti (124 per la precisione, elencati da Wang (2020, supplemento). Va precisato che Taiwan non fa parte dell’OMS, nonostante chieda di entrare, per l’opposizione del vicino gigante, ma ha comunque offerto il suo aiuto a molti Paesi (per esempio 10 milioni di mascherine donate agli Usa). In ogni caso, la strategia composita breve-lungo termine ha funzionato. Maschere, visiere e altri strumenti di protezione per tutti i cittadini, debitamente informati, controllo degli ingressi nel Paese, immediata identificazione e contenimento dei contagi, tracciamento con nuove tecnologie, logistica preparata per tempo e pienamente operativa al verificarsi dell’evento, popolazione collaborativa, nonostante la costante disinformazione e i tentativi di confondere i processi decisionali generati sul continente asiatico.

Gli effetti positivi sono quasi straordinari, se comparati a quelli di tutti gli altri Paesi: poco meno di 400 contagiati, meno di 10 decessi, tutti con severe patologie precedenti. Nessuna attività economico-produttiva è stata interrotta, la popolazione ha adottato consapevolmente le regole di comportamento e indossato strumenti di protezione predisposti. In conclusione, vi è stato un management pubblico-privato con una chiara percezione del pericolo sul piano strategico, conscio del fatto che gli investimenti effettuati avrebbero consentito di ridurre molto i costi economici di una potenziale epidemia e lasciato quasi intatto il tessuto sociale. Uno degli ingredienti fondamentali è poi stata l’interazione continua tra autorità e popolazione, sia in forma collettiva che individuale. In definitiva, siamo fino ad ora di fronte ad una positiva combinazione di intelligenza individuale collettiva.

Un ulteriore punto da mettere in evidenza è costituito da un insieme di presupposti i socio-economici e culturali, su cui si basa il “sistema Taiwan”, rispetto al quale ciascuno può trarre conclusioni specifiche in relazione al proprio contesto di riferimento. Dopo un’attenta analisi possono essere enucleate le seguenti componenti:

  • significativo e condiviso senso di identità nazionale, ovviamente rafforzato dagli elementi di differenziazione rispetto al vicino “gigante”.
  • Cultura partecipativa e democratica diffusa, che interagisce con quanto appena detto, alimentando un continuo processo di partecipazione nell’acquisire informazioni, anche perché sotto attacco della disinformazione di fonte esterna.
  • Elevata propensione innovativa sia nel campo tecnico-scientifico che in tema di acculturazione generalizzata della popolazione, che in tal modo completa il circolo virtuoso con gli elementi 1 e 2. Un insieme di fattori esterni (contrapposizione) ed interni (capacità reattiva endogena, perennemente incrementata dal punto di vista tecnico-culturale) hanno quasi automaticamente rafforzato l’attitudine al pensiero strategico, compreso estensivamente nella società.
  • Una spinta imprenditoriale molto dinamica, con iniziative dal basso che hanno punti di riferimento precisi su cui modulare le decisioni anche in condizioni estremamente difficili.
  • Un processo di apprendimento continuo diffuso e sistematico, che costituisce di fatto la trama sulla quale si costruisce una società dinamica.

È opportuno chiarire che non si intende mitizzare Taiwan, dove ovviamente esistono contraddizioni e qualche defaillance, unitamente a grandi investimenti -non sprecati- di provenienza statunitense nel corso di decenni. Abbiamo semplicemente sintetizzato i tratti essenziali di un sistema dinamico, che ha assorbito la crisi da Covid-19 senza mai interrompere le attività e in assenza di imposizioni coercitive, anzi è avvenuto il contrario: informazioni puntuali, trasparenza decisionale, spinte bottom-up convergenti nel tessuto economico-sociale, consapevoli che nel breve e lungo periodo benessere individuale e collettivo sono strettamente connessi.

Senza alcuna intenzione di proporre mitologie fuori luogo nell’era della cosiddetta “post-verità”, riteniamo che sia ragionevole adottare, sulla base dell’analisi volta, uno schema in sette punti come una specie di metrica con cui ciascuno può valutare la propria realtà di riferimento.

Prima di esporre lo schema sotto forma di lezioni da trarre, può essere utile dedurre alcuni spunti di riflessione da alcuni contributi di significativo interesse. Dani Rodrik (2020) così sintetizza le reazioni di ciascun Paese alla pandemia: la crisi sembra aver accentuato le caratteristiche dominanti della politica dei vari Paesi, che “sono in effetti diventati versioni esagerate di sé stessi”. L’episodio pandemico pare anzi aver enfatizzato quello che in gergo viene chiamato “confirmation bias”, cioè la tendenza a vedere negli accadimenti la conferma delle proprie visioni del mondo, anche quando le contraddizioni tra punti di vista, non di rado mutevoli, e i processi reali sono più stridenti.

Sembrano pertinenti a questo proposito le riflessioni del politologo Moises Naim (El Pais, 20-2-2020), che formula l’equazione P + P + P= C (Populismo, Polarizzazione, Post-verità, Continuismo). Naim argomenta che il Populismo non ha una caratterizzazione univoca, perché l’attribuzione della qualifica è trasversale tra gli schieramenti e spesso all’interno degli schieramenti omologhi. Ciascun gruppo o frazione pensa e ritiene che populisti siano gli altri, magari anche affini idealmente. Ciò avviene perché le società sono polarizzate dal punto di vista socio-economico e frantumate sul terreno culturale (aggiungiamo noi). I feedback multipli tra populismo e polarizzazione esercitano una significativa forza distruttiva all’interno delle società e mettono in discussione la stessa sopravvivenza dei sistemi, specie in una fase storica contraddistinta da “post-verità”, ovvero disinformazione/falsità e distorsioni cognitive, indotte da potenti meccanismi di “orientamento” dei social. La combinazione di populismo, la cui natura proteiforme è tale da non poter essere delimitata, polarizzazione e post-verità può alterare le fondamenta dei processi democratici, perché tende ad esasperare all’ennesima potenza le deviazioni decisionali, da cui consegue che la competizione politica diviene “lotta tra nemici”, i quali si delegittimano reciprocamente. Le pericolose implicazioni sul piano della tenuta sociale sono evidenti, dal momento che i conflitti possono sfuggire al controllo razionale e diventare implosioni/esplosioni devastanti. La somma P + P +P dà il Continuismo, secondo Naim, nel senso di attaccamento ossessivo al potere: chi ce l’ha fa di tutto per conservarlo, chi l’ha perso fa di tutto per riacquisirlo, con l’esito di accumulare un potenziale distruttivo endogeno al sistema.

Se a tutto questo aggiungiamo gli episodi pandemici, lo scenario diviene inquietante. Purtuttavia e consapevoli del fatto che la storia umana è costellata di società complesse che “collassano” (Taintner, 1988) oppure, per dirla in termini più brutali, sembrano suicidarsi (Diamond, 2007), pensiamo che alcune lezioni da trarre dalle vicende internazionali odierne possano servire ad evitare scenari catastrofici, purché si sviluppino processi di apprendimento individuali e collettivi.

Prendiamo allora spunto dalle riflessioni di Diamond (2007, Cap. XV, “Lezioni per il futuro”) per alcune considerazioni, sotto forma di lezioni da apprendere, pertinenti rispetto a quanto sta accadendo a livello globale.

I Lezione: “We are all neighbors” (Naim, 20.3.2020)

La “spagnola”, l’”asiatica” e le altre pandemie, in particolare la Covid-19, con la sua virulenza, nonostante l’enorme potenziale tecnico-scientifico attualmente a disposizione dell’umanità, dovrebbero far acquisire a tutti la consapevolezza che le nostre scelte individuali e collettive (di produzione consumo) influenzano immediatamente tutta l’umanità e l’intero pianeta. Ciò vale per temi attinenti alla sanità come quelli relativi all’impiego delle risorse naturali (cibo, acqua, energia, materie rare, uso dell’Intelligenza Artificiale). Una generale assunzione di responsabilità a tutti i livelli è pertanto fondamentale per la sopravvivenza non solo di una civiltà, ma anche della stessa vita così come la conosciamo e stiamo danneggiando.

II Lezione: “Il futuro dipende dalla nostra intelligenza, così come dal suo venire meno”

“Il compito di una mente è produrre futuro”, ha detto una volta Paul Valry, citato da Dennet (1997: 69). Alla luce della storia delle società e della teoria dell’innovazione è fondato ritenere che per anticipare il futuro è cruciale l’esercizio di una costante attenzione nell’individuare i problemi emergenti, soprattutto quelli inattesi, con un incessante processo di ricerca esplorativa. Il futuro può essere denso di soddisfazioni se si prevengono i problemi a livello individuale e collettivo grazie alla capacità di scandagliare “l’orizzonte degli eventi” e non finire nel “buco nero” della storia (si perdoni la metafora tratta dalla fisica). L’adeguatezza di una leadership tecnico-scientifica, socio-politica, culturale si esprime non nell’esaltazione di un futuro promesso, ma nello stimolo maieutico a riflettere seriamente sulle sfide e i problemi da affrontare, che oggi sono globali.

III lezione “Non esistono soluzioni locali a problemi globali”

Il Covid-19 e i problemi ambientali sono l’ennesima prova che occorre adottare un approccio multi-livello nell’analisi e nei tentativi di governare processi e dinamiche che sono intrinsecamente multi-scala. Le scelte di consumo e di produzione non possono non considerare le ripercussioni globali: le interdipendenze tra processi sono tali e tante che le nostre scelte generano inevitabilmente un’evidente asimmetria. Quelle non attente agli effetti complessivi tendono oggi e nel prossimo futuro a generare conseguenze negative amplificate, mentre quelle più consapevoli possono mitigare solo in parte le implicazioni spiacevoli delle sconsiderate opzioni selezionate da altri (vedi Taiwan). L’implicazione logica di queste considerazioni è che per rispondere a problemi globali è necessario muoversi contemporaneamente a diversi livelli, pertanto la collaborazione internazionale è essenziale, anche se non è semplice raggiungerla, perché non è un lavoro da poco generalizzare la consapevolezza che è l’intera umanità a beneficiare di strategie e comportamenti commisurati ai problemi. L’alternativa all’idea che interessi individuali e collettivi sono connessi e convergenti è il danno per tutti.

IV Lezione: “Systems Thinking”

Strettamente congiunta alla precedente è l’indicazione che i processi decisionali non possono più svolgersi in orizzonti di entità isolate, ma va assunta la centralità delle interrelazioni sistemiche multi-livello. Esempi rapidi: la deforestazione può innescare il salto di specie verso gli umani dei virus che “abitano” animali selvatici, quindi pandemie sempre più frequenti. L’uccisione sistematica di balene individuate con satelliti può indurre mutamenti dell’ecosistema marino a livello planetario, oltre che ridurre “il respiro degli oceani”, insieme alle gigantesche isole di plastica, prodotte dal modello di consumo “usa e getta”. L’ecosistema marino e quello umano strettamente intrecciati, per cui la sua salvaguardia nel lungo periodo produce effetti benefici di breve e di lungo termine sugli umani. Il pensiero sistemico, attento alle interrelazioni può contribuire a ridurre i rischi individuali e collettivi, che attualmente mettono in discussione la sopravvivenza di meccanismi vitali basilari.

V Lezione: “Adaptive Strategic Thinking”

È fondamentale che sia a livello micro (persone, imprese, organizzazioni) che a livello macro e planetario (Nazioni, Organismi multilaterali, Global Player) si superino modelli mentali orientati al breve termine e si mettano al centro delle strategie gli effetti medio-lungo termine, la cui mancata considerazione può trasformare il breve termine in un “termine a breve” per tutti. Occorre un generale e diffuso cambiamento di mentalità, non più basato su indirizzi e piani predeterminati/rigidi, bensì su sistemi che evolvono, quindi richiedono strategie adattative, il che non vuol dire “cambiare idea ad ogni stormir di fronde”. Parafrasando Seneca del “Non esiste vento favorevole se non si sa dove andare”, tutti gli eventi possono diventare della prima delle due categorie introdotte all’inizio con il riferimento a Dani Rodrik, quando rinunciamo al mancato esercizio del pensiero strategico, incentrato su problemi individuati, pronti a captare segnali e informazioni raccolte in modo sistematico, con la mentalità degli esploratori in terre e spazi ignoti alla ricerca di qualcosa di preciso, ma consapevoli che possono scoprire qualcosa di inatteso ed essere quindi preparati a rispondere. La necessità di questo cambiamento verso un modello mentale sistemico, adattativo, attento alla complessità dei fenomeni a livello globale, inizia ad affermarsi anche nel campo della teoria e della pratica manageriale di alto livello (BCG, Henderson Institute, 2018).

VI Lezione: “Assegnare centralità alle vulnerabilità umane e sistemiche”

Tra le implicazioni più rilevanti della crisi indotta dal Covid-19 vi è la profondità dell’incidenza sull’economia e sulle fasce di popolazione più vulnerabili, cioè quelle più povere con contratti di lavoro temporaneo in tutte le sue forme. Negli Usa e in tutti gli altri Paesi la cosiddetta gig economy, essenzialmente basata sull’uso di piattaforme tecnologiche (Uber, Google e tante altre) è già pesantemente colpita (Conger et al., 2020, con un riferimento anche a un tassista milanese), con impoverimenti repentini e conseguenze tendenzialmente letali (disperazione, alcolismo accentuazione della vulnerabilità sanitaria). In sostanza, siamo quasi di fronte al rischio di frantumazione sociali tra “meritevoli (“worthy”) (Wong, 2020) e lasciati al loro destino (“unworthy), senza protezioni se non “raccomandarsi l’anima a Dio”, secondo un vecchio detto.

A differenza di quanto accade in altri Paesi, pochi analisti e politici, anche se influenti, mettono in discussione la necessità di interventi sostanziali e azioni pubbliche di sostegno diretto in campo sanitario ed economico. Una survey della Chicago Booth School of Business, effettuata coinvolgendo “leading economists (Policy for the Covid-19 desease) conferma questa tesi, così come le ricerche del MIT di Boston (Correia et al., 2020, che traggono insegnamenti dalla pandemia del 1918). Si profila inoltre un ulteriore pericolo: una ulteriore spinta verso l’automazione e l’impiego diffuso di sistemi di IA, indotti da tutte le difficoltà e i problemi generati dall’impiego di umani (sostituibili) in attività pericolose di controllo, assistenza e trattamenti sanitari di luoghi e persone.

Si pone allora l’alternativa tra crisi economica e salvare le vite? Già porre questo interrogativo significa adottare la prospettiva sbagliata! Certo le economie nazionali e regionali prevalentemente terziarie sono maggiormente colpite, mentre quelle con una varietà di composizione economico-produttiva hanno maggiori chances di contenimento.

Il fatto è, però che abbiamo un potenziale tecnico-scientifico e produttivo che potrebbe essere impiegato in modo più efficace, come sostiene il premio Nobel per l’Economia Paul Romer (intervistato da Rotman, 2020) per test di massa, raccolta e gestione dei contagi mediante sistemi computazionali molto potenti, controllo delle persone contagiate, individuazione delle aree-hub di contagio e così via. Vi sono problemi non irrilevanti, però, da affrontare quali la privacy, le ripercussioni sul terreno democratico, che tratteremo in un altro contributo.

In questa sede sosteniamo che le nuove tecnologie, la robotica, l’IA dovrebbero essere sviluppate per favorire l’amplificazione dell’intelligenza e delle potenzialità umane, non la sua semplice sostituzione, perché costa meno nel lungo periodo e non pone problemi di salute! Non esiste alternativa alla Human Computer Interaction, giustamente considerata linea di ricerca da alcuni Centri internazionali.

Riemerge allora di nuovo la questione del management dei sistemi sociali a tutti i livelli, in particolare durante le come quella attuale, per cui avremmo dovuto essere preparati, perché attesa. In realtà in quasi tutte le parti del mondo si pensava solo al breve periodo.

VII Lezione: “Processi apprendimento generalizzati”

Esiste una linfa vitale, senza cui le precedenti lezioni non possono essere comprese: i processi di apprendimento individuali e collettivi devono essere stimolati su basi completamente nuove, che non consistono nel semplice introdurre nuovi dispositivi di accesso all’informazione. Il punto cruciale è come usarli per acquisire informazioni che vadano nel senso del pensiero strategico adattativo, diretto alla risoluzione di problemi e non al P + P+P = C. Suggeriamo un possibile punto di partenza per affrontarli: occorre innovare i contenuti insieme al processo di formazione delle menti, non pensando solo a ciò che queste utilizzano. Un ulteriore suggerimento nella forma di un interrogativo: è casuale che i più grandi fisici del secolo scorso avessero e quelli del XXI secolo abbiano una solida formazione filosofica? Perché grandi esperti di Intelligenza Artificiale hanno come punti di riferimento espliciti filosofi da Aristotele a Kant?

Bisogna anche tenere presente un grande rischio nell’anticipare il futuro: se i processi formativi vanno nella direzione sbagliata, non potranno svilupparsi forme di intelligenza individuale e intelligenza collettiva (Saunders e Mulgan, 2017), quindi potrebbe accadere che, tra qualche secolo, i grandi calcolatori odierni siano visti da un’altra civiltà di esseri viventi come le grandi statue dell’isola di Pasqua.

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Riferimenti

Bogoch I.I. et al., 2020, Pneumonia of unknown aetiology in Wuhan, China: potential for international spread via commercial air travel, Journal of Travel Medicine, 2020, 1–3

BCG (Boston Consulting Group) Henderson Institute, 2018, Thinking Biologically. Messy management for complex world.

Corkery M., Gelles D., 2010, Robots Welcome to Take Over, as Pandemic Accelerates Automation, The New York Times, April 10.

Correia et al., 2020, Pandemics Depress the Economy, Public Health Interventions Do Not: Evidence from the 1918 Flu, Mit Sloan Management School WP, April 10.

Diamond J., 2007, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi.

GPMB (Global Preparedness Monitoring Board), 2018, A World at Risk, September.

John Hopkins Center for Health Security, 2019, Preparedness for a High-Impact Respiratory Pathogen Pandemic,

Conger K. et al., 2020 Pandemics erodes gig economy, The New York Times, March 18.

Nikkei Asian Reviews, 6-4-2020, Israel, ranked ‘safest’ place in pandemic, draws on Asia’s lessons.

Pentagon, 2017, Pandemic Influenza and Infectious Desease Response, 6 January, Unclassified.

Rodrik D., 2020, Will COVID-19 Remake the World?, Project Syndicate, April 6.

Rotman D., 2020, Stop covid or save the economy? We can do both, MIT Technology Review, April 8.

Saunders T., Mulgan G., 2017, Governing with Collective Intelligence, NESTA

Tainter J.A., 1988, The Collapse of Complex Societies, Cambridge University Press

Taiwan News, 16-3-2020, New Zealand to follow Taiwan as model for coronavirus prevention.

https://www.taiwannews.com.tw/en/news/3897972

Times of Israel, 14-3-2020, All leisure venues closing as Netanyahu tells Israel: Adjust to new way of life

Wang C.J., 2020, Response to COVID-19 in Taiwan Big Data Analytics, New Technology, and Proactive Testing, Journal of American medical Association, JAMA April 14, Volume 323, Number 14

Wong J.C., 2010, Coronavirus divides tech workers into the ‘worthy’ and ‘unworthy’ sick, The Guardian, Narch 12.

  1. Fatalities in the most serious scenario would exceed half a million people in the United States. Millions more would be sick, with between approximately 670,000 to 4.3 million requiring hospitalization.” (CEA, 2019: 2).

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