La pandemia in corso ha sicuramente contribuito ad accelerare il declino del mito del progresso, così come inteso nel senso comune a partire dalla fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento. Un mito basato sulla crescita a tutti i costi, correlato alla convinzione di una espansione illimitata dei mercati e delle infrastrutture, e alla cieca fiducia nei confronti di ogni tipo di innovazione tecnologica. Un mito che porta con sé un’idea di tecnica e tecnologia fortemente polarizzata, che oggi si scontra con un contesto altamente compromesso: la pandemia ci costringe a prendere definitivamente una posizione per ipotizzare uno scenario futuro accettabile. Spunti interessanti arrivano dalla teoria dell’Homo Fictus.
Che cos’è la teoria dell’Homo Fictus e perché potrebbe aiutare a costruire un nuovo immaginario
Per elaborare contro-immaginari, alternativi al mito del progresso, è possibile trovare alcuni strumenti operativi e spunti di riflessione nel volume “Fragile. Un nuovo immaginario del progresso” di Francesco Monico, uscito a giugno 2020 per Meltemi.
Monico tratteggia la teoria dell’Homo Fictus, letteralmente l’ “uomo finzionale”, che si costruisce in base all’invenzione narrativa. L’uomo finzionale è un animale narrativo: “La teoria dell’Homo Fictus immagina la natura come un’integrazione di elementi e forze che si estendono in una catena di casualità materiale, dal livello più basso, delle particelle, ai più alti livelli dell’immaginazione culturale. L’idea è che per gli esseri umani, come per tutte le specie, l’evoluzione abbia plasmato le caratteristiche fisiologiche e neurologiche da cui si sono modellati il comportamento, il sentimento e il pensiero, fino a sottendere la comprensione dei prodotti dell’immaginazione umana”.
La teoria prende in prestito l’idea di Giambattista Vico secondo cui gli uomini sarebbero educati a sviluppare la loro parte razionale, ovvero il pensiero logico e calcolatore, mentre sarebbero molto meno educati, se non del tutto ineducati, a sviluppare l’immaginazione, che ci fonda in quanto esseri. Se accogliamo l’idea che l’umano non sia altro che “vita narrativa”, diventa naturalmente possibile avanzare la descrizione di una nuova antropologia per il XXI secolo, lavorando proprio sulla costruzione di un nuovo immaginario narrativo.
Secondo questa prospettiva, infatti, anche il progresso non sarebbe altro che il frutto di un’invenzione narrativa, autoalimentata da una messa in scena in cui fatti e personaggi incarnano un copione elaborato in vista di un’autoaffermazione di se stesso, di cui l’uomo, in quanto animale narrativo, non può fare a meno.
“La teoria dell’Homo Fictus pone la pulsione artistica come punto di partenza dell’immaginario: una pulsione a immaginare, ragionare per descrizioni-racconti di queste stesse immagini, e quindi a derivare un modo di abitare la natura organizzando compiutamente un Mondo in un racconto” sottolinea Monico. “L’Homo Fictus è un modello per poter operare nella nuova cultura delle ipernarrazioni contemporanee. Viviamo in un ipertesto artistico e questo è fondamentale per poter analizzare e decodificare il XXI secolo, l’epoca della fine della storia, della fine della verità e del compiersi della tecnica. Prima ci educhiamo a gestire l’immaginario alla pari con il pensiero razionale, prima potremo arrivare a una nuova fase speculativa per il XXI secolo”.
Se dunque questi sono i presupposti, per poter sperare di ristabilire un rapporto più equilibrato con la natura e più armonioso con il nostro Pianeta, sarebbe necessario stimolare una nuova cultura dell’immaginario: qualcosa che molti definiscono una ‘nuova scienza’, che utilizzi in modo alternativo anche nuove tecnologie e nuovi media.
Dalla critica al progresso all’antimodernità il passo è così breve?
In coerenza con gli insegnamenti della scuola del teorico delle comunicazioni sociali Marshall McLuhan, Monico intende i Media come apparati tecnologici che ri-mediano e modellano le nostre esperienze. Media che quindi possono essere usati per sviluppare concetti nuovi: endiadi tecnica, terziarizzazione della memoria, prometeizzazione del pensiero, discrepanza tecnica, eterogenesi dei fini, potenza, dissipazione, delega tecnica, mistica del progresso, principio di maggiore utilità tecnica.
La prospettiva finale che emerge dalla lettura del testo è, tra le altre cose, sicuramente antimoderna, come antimoderni sono i modelli usati nel libro come spunti di riflessione. Ad esempio, il modello della cultura Amish: un gruppo socio-culturale che basa la propria sopravvivenza su proposte alternative al modello di crescita iperindustriale, dalle small farm alle grid energetiche. Gli Amish, al di là delle singole scelte legate al quotidiano, dimostrano, secondo Monico, che pensare criticamente il presente è possibile, così come liberarsi dalla schiavitù della tecnica e impedire al mezzo tecnico di colonizzare l’immaginario. Per questo stesso motivo, viene recuperata anche la teoria della decrescita di Serge Latouche, che pure prevede un’alternativa al modo di concepite l’economia contemporanea, sebbene da molti criticata. In entrambi i casi, il valore dei riferimenti non è dato dalle realtà in sé, ma dalla chiave di lettura alternativa del contemporaneo che essi offrono, come sistema omogeneo e coerente.
Sebbene il testo non offra soluzioni, ma si addentri in un labirinto di metodi di approccio al pensiero, riteniamo che sollevi questioni urgenti, guardandole da un punto di osservazione originale.
_____________________________________________________________________________
Bibliografia
J.Gottschall, “The storytelling Animal; How Stories make us human”, 2012, trad.it, “L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani”, Bollati Boringhieri, Torino 2014
M. McLuhan, “Understanding Media: The Extensions of Man“, Ginko Press, 1964, trad.it., “Gli strumenti del comunicare”, Il Saggiatore, Milano 2010
F.Monico, “Fragile. Un nuovo immaginario del progresso”, Meltemi, Milano 2020
S.Latouche, “Petit traité de la décroissance”, 2006, trad.it, “Breve trattato sulla decrescita serena”, Bollati Boringhieri, Torino 2007
G.Vico, “Principi di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni” [1744], in “Opere”, vol.I, A. Battistini, a cura di, Mondadori, Milano 1990