oltre l'emergenza

Covid-19, stress test per gli Studi professionali: ecco la lezione da trarre

In questo periodo di emergenza, molti studi professionali sono stati in grado di garantire la continuità del servizio, altri hanno avuto difficoltà. Esaminiamo le strategie vincenti e le criticità, gli step necessari per affrontare questa nuova fase e gli elementi su cui riflettere

Pubblicato il 29 Mag 2020

Claudio Rorato

Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Politecnico di Milano

Photo by Scott Graham on Unsplash

L’emergenza sanitaria, tra i tanti effetti, ha avuto anche quello di essere uno stress test organizzativo per molti degli studi professionali. Avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro si sono trovati dalla sera alla mattina nella necessità di cambiare paradigma lavorativo e di servizio.

Qualcuno in 24 ore ha ‘girato la chiave’ e, senza traumi per sé e per i clienti, ha garantito continuità di servizio, trasparenza ed efficienza lavorativa. Altri con qualche affanno, magari più di natura tecnica – deviazione delle chiamate sui cellulari dei dipendenti, utilizzo della rete casalinga, accesso in remoto agli archivi digitali dello studio – sono riusciti a tamponare l’emergenza.

Esistono, però, anche studi che hanno evidenziato difficoltà importanti perché impreparati ad affrontare una situazione imprevista: archivi non totalmente digitalizzati, mancanza di soluzioni in cloud, centralini non abilitati alla deviazione delle chiamate su numeri esterni allo studio, personale timoroso di non avere ‘il capo’ a portata di mano, per citare solo alcuni esempi.

La tecnologia da sola non basta: il ruolo di un personale ben formato

Chi emerge? Tutti coloro che in questi anni hanno avviato un percorso di crescita ben definito e cadenzato, migliorando l’efficienza dei processi lavorativi, aggiornando il parco tecnologico per dialogare meglio all’interno dello studio e con i clienti, aumentando il portafoglio servizi e, soprattutto, facendo crescere il personale dello studio. L’empowerment del personale, pur in un’economia sempre più digitale, è cruciale per il successo del cambiamento. La tecnologia – indispensabile perché abilita il cambiamento – da sola non basta. Anzi, il rischio è di tenere parcheggiata nel garage la formula uno perché manca il pilota. Ma il pilota non dev’essere solamente addestrato alla guida ma anche a saper utilizzare al meglio la macchina e ad agire con responsabilità nella gestione delle diverse attività.

Chi ha fatto tutto ciò, si è trovato una squadra che, al momento opportuno – l’emergenza sanitaria – ha saputo estrarre dallo zaino il suo bastone da maresciallo. Ma anche i professionisti hanno fatto la loro parte importante, giocando un ruolo – chi si è preparato nel tempo – di manager e di coach, organizzando riunioni periodiche e a orari definiti con il personale ‘ai domiciliari’ o garantendo la disponibilità per affrontare casi spinosi.

I cambiamenti necessari

Con l’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale abbiamo intercettato diversi studi che, già nel corso dell’emergenza, hanno attivato cambiamenti che diventeranno permanenti anche dopo il Covid-19. Chi sta già realizzando progetti per ridisegnare il lay-out degli uffici, chi ha già individuato il personale adatto o meno a proseguire l’esperienza di lavoro in remoto, chi ha potenziato o potenzierà le strutture tecnologiche per incrementare ulteriormente la collaborazione interna e con i clienti.

Il passaggio da home working – di questo si è trattato nel periodo di emergenza – a smart working può diventare breve e agile, a patto di inserire alcuni accorgimenti gestionali – per esempio, flessibilità degli orari, assegnazione formalizzata di obiettivi, sistemi premianti formalizzati e condivisi, dotazioni tecnologiche adatte al lavoro da svolgere, spazi fisici idonei a differenti tipologie di attività – in grado di far evolvere gli studi verso nuovi modelli organizzativi ma anche di business.

La squadra sembra essere il ‘tallone di Achille’ un po’ per tutti gli studi. Se lo smart working – più nell’accezione limitata e in parte distorcente di lavoro in mobilità – è abbastanza diffuso tra tutte le dimensioni di studio (micro, piccoli, medi e grandi), così non si può dire tra i dipendenti, che trovano il loro maggior picco tra i grandi studi (69%) solamente per la possibilità di lavorare da casa e le tecnologie idonee al lavoro in mobilità. Nelle altre dimensioni di studio arriviamo a percentuali tra l’11% e il 40% (flessibilità orario di lavoro, possibilità di lavoro da casa) o addirittura più basse (6%-30%) per la disponibilità di tecnologie idonee al lavoro in mobilità.

La lesson learned dell’emergenza

Cosa portarci a casa dall’emergenza che, ancora, stiamo vivendo? In 8 punti sintetizzo alcuni elementi fondamentali sui quali è opportuno riflettere:

  • partire dal riconoscimento delle proprie debolezze è il primo atto di forza;
  • elaborare una nuova visione dell’agire quotidiano, che impatti sul modello organizzativo e di business dello studio;
  • da soli non si va lontano, soprattutto quando le cose si mettono male;
  • la collaborazione, interna e con i clienti, moltiplica le energie e le risorse;
  • è la squadra che vince, non il singolo e sulla squadra occorre investire nel tempo;
  • occhi attenti e orecchie dritte, più che un comportamento è un atteggiamento mentale che ci predispone a intercettare i segnali di cambiamento, soprattutto quelli deboli, e a cavalcarli senza subirli;
  • la tecnologia è un prezioso alleato, che ci aiuta a risolvere problemi e a renderci più competitivi;
  • la flessibilità organizzativa va regolarmente allenata nel corpo (modelli organizzativi e di business) e nella mente (confronto con gli altri e formazione).

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