la prospettiva

Covid-19, verso una società più efficiente e giusta

Il coronavirus ha messo in risalto alcune importanti criticità del nostro modello di sviluppo. E’ vero anche, però, che possiamo, e anzi dobbiamo, cercare di capire se questa esperienza tragica e complessa non possa offrirci una diversa prospettiva, capace di una visione di più lungo termine

Pubblicato il 23 Mar 2020

Giuseppe Pirlo

Delegato dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro per la Terza Missione e i Rapporti Territoriali Direttore del laboratorio nazionale del CINI su Competenze Digitali, Formazione, Certificazioni

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Oltre la pandemia che sta cambiando le nostre vite, esiste un mondo nuovo, che Covid-19 ci sta costringendo a iniziare a esplorare. Tutti, per il timore di una esplosione del contagio, siamo costretti a interpretare un cambiamento che vede anche le tecnologie digitali al centro della costruzione di un modello di società più efficiente e certamente più civile di quella a cui negli ultimi decenni ci siamo abituati a vivere.

Certo, non era necessario che il 10 marzo scorso l’OMS dichiarasse lo stato di pandemia per comprendere la gravità del momento in ordine al contagio da Covid-19, che dopo aver ferocemente colpito la Cina e altri Paesi asiatici sta ora, con estrema aggressività, attaccando l’Italia e l’intero vecchio continente. La severità della situazione si palesava già da giorni.

I numeri del contagio, crescenti su base esponenziale, descrivono meglio di tante parole la problematicità del momento e fotografano la generale difficoltà di tutti i Paesi a confrontarsi rapidamente ed efficacemente con tali fenomeni di scala planetaria.

Le criticità del nostro modello di sviluppo

La pandemia ha evidentemente messo in risalto alcune importanti criticità del nostro modello di sviluppo, perlopiù legate alla globalizzazione e causate non solo dalla esasperata ricerca del profitto ma anche, probabilmente, da una miope sottostima dei possibili rischi, anche di tipo economico. Del tutto evidente è stata, ad esempio, in Italia la difficoltà di rifornire importanti filiere produttive che sono oramai fortemente dipendenti da componenti sviluppate in Paesi lontani, rendendo critico, quando non impossibile, realizzare localmente prodotti con la necessaria autonomia e rapidità. La ricerca esasperata del profitto ha reso il sistema estremamente fragile, mettendo a rischio potenziale, in primo luogo, tante vite umane ma anche mettendo in ginocchio interi settori produttivi.

Accanto a questo è però vero che possiamo, e anzi dobbiamo, cercare di capire se questa esperienza – sia pure tragica ed estremamente complessa – non possa costituire per noi uno spazio di consapevolezza e offrirci una diversa prospettiva, capace di una visione di più lungo termine.

Le stringenti e controverse misure adottate dal Governo italiano negli ultimi giorni, e per ultimo il DPCM dell’11 marzo sulle ulteriori misure in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 sull’intero territorio nazionale, hanno consentito di “sperimentare” nell’intero sistema Paese gli effetti di una serie di importanti restrizioni individuali e collettive.

La “soluzione” smart working

In particolare, è stata disposta la chiusura di tutte le attività commerciali ad eccezione dei negozi di generi considerati di prima necessità, mentre per tutti i lavoratori della PA è stato previsto lo smart working, fatta eccezione per i servizi indifferibili da rendere al pubblico. Uno straordinario e imprevedibile cambio di rotta, e di abitudini, per limitare in maniera drastica (si spera) il contagio.

Con la circolare n. 1 del 2020, la Ministra Fabiana Dadone ha stabilito il ricorso al lavoro agile anche facendo uso del cloud. Un provvedimento ormai improcrastinabile che sta richiedendo, da parte di una grandissima percentuale del personale della PA, un rapido cambiamento delle proprie abitudini lavorative, un cambiamento tanto coraggioso quanto indispensabile. Ciò che negli scorsi anni era stato richiesto a solo titolo sperimentale, diventa oggi la modalità standard di lavoro per il personale della PA.

In pochi giorni, sebbene in un clima di emergenza, la PA sta scoprendo la possibilità concreta di confrontarsi non solo con le nuove tecnologie ma soprattutto con un nuovo modo di concepire il lavoro, avendo dovuto in molti casi anche ridefinire il suo stesso schema organizzativo e alcuni protocolli procedurali, dove le relazioni tra dipendenti e tra questi e i dirigenti sono sostenute da fiducia reciproca e reciproco supporto e dove ciascuno – in qualche modo – diventa il principale controllore di se stesso. Ovviamente non tutto funziona perfettamente. Alcune valutazioni preliminari sembrano evidenziare come al momento l’utilizzo dello smart working in Italia sia a “macchia di leopardo” e che stia facendo – in media – viaggiare la PA alla metà della sua velocità ordinaria. Ma è solo l’inizio. Del resto, le timide aperture verso le forme di lavoro agile sostenute negli ultimi anni di certo non potevano consentirci una partenza più efficace. Inutile sottolineare come, infatti, spesso il lavoro agile sia stato contrastato proprio nella PA da dirigenti ancora legati a forme di lavoro tradizionali e a volte persino timorosi di autorizzare i propri dipendenti, né è facile dimenticare i ripetuti riferimenti della politica all’intero arsenale di tecniche biometriche per scovare i dipendenti fannulloni e corrotti.

Ma non è questo il punto.

I vantaggi dello smart working

Il punto è che migliaia di lavoratori della PA, e non solo, si stanno in questo momento confrontando per la prima volta con una nuova modalità di lavorare, una modalità moderna che, tra l’altro, offre benefici non banali, locali e globali, che già si stanno palesando: riduzione dell’inquinamento, e quindi una maggiore salubrità dell’aria, con positive ricadute sulla salute di milioni di persone; riduzione del traffico, con conseguente miglioramento della qualità della vita; calo dei consumi energetici…

Oltre la pandemia esiste dunque un mondo nuovo, un mondo che Covid-19 ci ha costretto a iniziare a esplorare.

A pensarci bene, oltre la pandemia, stiamo vivendo la straordinaria opportunità di superare i mille ostacoli che fino a poche settimane fa ci tenevano bloccati e per anni ci hanno impedito di muoverci con la rapidità e la flessibilità necessaria, facendo sì che alcune direttive dettate dall’emergenza diventino, adesso, lo standard nel nostro Paese. Stiamo, cioè, utilizzando l’emergenza per realizzare quel cambiamento indispensabile per affrontare, senza ipocrisie, le sfide del futuro, che partono dal bisogno di promuovere e costruire uno sviluppo sostenibile e inclusivo, in grado anche di accrescere la nostra capacità di affrontare le importanti sfide che sono del domani ma anche del presente. Quella climatica su tutte.

Speriamo prestissimo questa pandemia sia contenuta e azzerata. E speriamo, soprattutto, non passi senza averci insegnato nulla.

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