scuola e media literacy

Creatori su Instagram: perché lo storytelling digitale è una risorsa

Demonizzare i social per i loro presunti effetti nefasti sui ragazzi o attribuire loro colpe che non hanno è inutile e controproducente. Anzi, possono seriamente diventare strumenti per sviluppare competenze e imprenditorialità. A patto che la scuola cominci a insegnare la media literacy. Ecco qualche consiglio

Pubblicato il 03 Set 2018

Daniela Di Donato

Docente di italiano (Liceo scientifico)

Social media pro campagna vaccinale

Non leggono, non scrivono, non producono, non elaborano. E il web non li aiuta, li distrae. Ho sentito molte volte queste frasi serpeggiare tra le labbra delle mie colleghe o di alcuni genitori (gli stessi che poi regalano ai figli internet illimitato, iPhone di ultima generazione e non si preoccupano di verificare che cosa ci facciano con tutte queste dotazioni i loro figli di dodici anni). E invece no: gli studenti, forse, non hanno mai scritto così tanto e leggono continuamente.

Anzi preferiscono, paradossalmente, scrivere un messaggio che fare una telefonata. Tra chat, Instagram e altri social, scrivono, leggono e pubblicano (producono) come non mai. Ma noi siamo insegnanti: come si può allora trasformare questa consuetudine solitaria in opportunità di apprendimento?

I social strumento per lo sviluppo delle competenze

Credo sia opportuno farsi qualche domanda su questo fenomeno, invece di raccomandare noiosamente ai nostri alunni di staccarsi dalla rete e leggere un libro di carta, magari continuando a proporre loro “Il piccolo principe” e “L’isola del tesoro” (quando la letteratura per ragazzi ha fatto passi da gigante e dovremmo almeno provare a tenere il passo). Va intanto preso atto che tutto questo impellente desiderio di essere presenti, per gli altri, in un altrove digitale (che per loro è concreto e vivido, senza alcun dubbio) e di scrivere di sé rivela una precisa volontà di raccontarsi e che gli altri se ne accorgano, attraverso quello che oggi chiamiamo lo storytelling.

Il digitale ha permesso di sistemare uno spioncino sulle vite degli altri e ha dato però a ciascuno la possibilità di farsi guardare. Sono convinta che i social non siano il demonio, ma solo una occasione per dialogare e possono seriamente diventare strumenti per sviluppare creatività, imprenditorialità e cittadinanza, cioè sviluppare alcune delle importanti competenze chiave per l’apprendimento permanente sulle quali tutti dovremmo lavorare costantemente.

I pericoli sono sempre nascosti e, pur essendo opportuno e importante illuminare le zone buie dei social, puntare sempre e solo sul “non fate” e “non guardate” è perdente in partenza. Come diceva il pedagogista statunitense Grant Wiggins occorre cercare un gancio, che ancori il nuovo apprendimento al vecchio o apra una domanda sul mondo. Quindi usare i social come uno strumento per apprendere o per verificare ciò che si è appreso è una piccola sfida, che per una volta si potrebbe pure accettare.

Uno storytelling planetario

I ragazzi cercano se stessi e il web offre loro una possibile immagine di sé. Pensate ad Instagram: immagini di ragazzi che mostrano visi, muscoli, pezzi di corpi con selfie ben studiati, immagini di cibo, immagini di amici che fanno cose insieme, però anche immagini di strade, luoghi, non luoghi, oggetti, cui danno un senso aggiungendo una didascalia e un mucchietto di hashtag. Ma non c’è solo questo: i nostri studenti raccontano anche ciò che vedono e le emozioni che provano.

Nel 2016 il creatore di Instagram, Kevin Systrom, dichiarò che grazie alla sua piattaforma aveva cambiato il modo, con cui le persone guardano il mondo: “Con quattrocento milioni di fotocamere ovunque, la nostra piattaforma fornisce un racconto in tempo reale di quanto sta accadendo in ogni parte del pianeta”. Uno storytelling planetario, che contempla milioni di punti di vista diversi.

Il ruolo della scuola e le competenze degli insegnanti

Vedo solo un grande, grandissimo pericolo: se la scuola non comincia immediatamente ad insegnare la media literacy e non fornisce tecniche, strumenti e strategie, anche per distinguere tra un coetaneo che pubblica contenuti per dialogare con gli amici e una azienda che vuole invece venderti qualcosa o, peggio, vuole convincerti di qualcosa, allora i nostri studenti non saranno mai cittadini responsabili ed autonomi, navigheranno alla deriva, in balia di chiunque voglia farli diventare consumatori compulsivi ed elettori imprudenti.

Ecco l’essenziale, che ogni docente dovrebbe sapere (e saper insegnare) per portare instagram tra le file degli strumenti didattici:

  1. Il potere dell’immagine: come si fanno le foto col cellulare (inquadratura, spazio, luce), che cosa si può o non si può fotografare (rispetto della privacy), perché un’immagine è più adatta di un’altra a raccontare ciò che voglio raccontare, uso narrativo dei filtri;
  2. Le parole chiave in rete: che cosa sono e a che cosa servono gli hashtag (se ne possono mettere al massimo trenta, per ogni foto), come si scelgono, che cosa è opportuno controllare prima di usarne uno.
  3. Storytelling digitale: come si racconta con le immagini, il reportage fotografico, le sequenze narrative, personaggi, luoghi e ambienti della storia, climax e altre figure retoriche legate alle immagini, la voce del narratore (didascalia, hashtag, album, storie, video)
  4. Link: quando è opportuno creare connessioni ad altri account social quando invece è meglio di no, quando si può usare il filmato su Instagram e perché, come collegare storie tra loro, predisponendo un diario collettivo.

Per tutto il vasto e intrecciato mondo di applicazioni collegate ad Instagram, per creare album, scaricare e modificare le foto, collegarle ad altri spazi online etc.i nostri studenti saranno molto più bravi e aggiornati di noi.

Il regolamento di Instagram

Hanno meno di tredici anni? Potete creare un account di classe a vostro nome e pubblicare tutto da lì. La pianificazione potrà avvenire in modalità carta e penna, le foto le potranno fare comunque dai loro dispositivi e poi condividerle. Il regolamento di Instagram è in rete e va letto accuratamente. Vi segnalo i quattro punti cardine sul “Chi può usare Instagram”:

  1. L’utente deve avere almeno 13 anni;
  2. Non devono gravare sull’utente divieti relativi alla ricezione di qualsiasi aspetto del nostro Servizio ai sensi della legge in vigore o allo svolgimento di attività di pagamento correlate ai Servizi se l’utente figura su una lista di parti con divieti applicabile;
  3. L’account dell’utente non deve essere stato disabilitato per violazione della legge o di una delle nostre normative;
  4. L’utente non deve essere stato condannato per violenza sessuale.

Già solo questi pochi diktat potrebbero essere un pretesto autentico per discutere e far lavorare l’intera classe su aspetti legati al rispetto della persona, alla responsabilità, all’uso della rete.

Qualche spunto di attività

Se volete qualche spunto di attività potete:

  • consultare le cento schede con attività didattiche di Parole Ostili
  • sbirciare il progetto di una classe del liceo Righi di Bologna guidata dalla collega Matilde Maresca (cercate @freeghi), nato per documentare le giornate del Fai di Primavera
  • cercare su Instagram e Twitter gli hashtag #3h3ireportage2017 e#3h3iBerlin, nati nel 2017 per documentare un Project Based Learning sulla contemporaneità, proposto dalla mia collega Albina Rumeo e da me a cinquantatré tredicenni. L’esperienza ha fatto volare due classi di terza media fino a Berlino, per realizzare un vero reportage fotografico, documentato su Twitter e Instagram, insieme alle loro emozioni e alle loro scoperte.

Un’ultima attenzione: noi possiamo cercare i profili dei nostri studenti per verificare che uso facciano di questo potente mezzo di comunicazione, ma anche loro possono vedere i nostri (e lo hanno fatto per esempio i maturandi quest’anno con i profili dei commissari d’esame). E, forse, anche lì qualche riflessione adulta su come noi usiamo gli strumenti online sarebbe necessaria.

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